Lorenzo Del Però è un’artista vero. Questa è la sensazione immediata che si ricava dalla sua musica e dalle risposte a questa intervista. Sui social è molto attivo, soprattutto come uomo, lo si trova in prima linea su battaglie sociale ed umanitarie, non teme di esprimere la propria opinione. E si comprende che la musica è solo un tassello di una personalità complessa e creativa. ll suo ultimo album “Dell’amore animale, dell’amore dell’uomo, dell’amore di un Dio“, mi ha folgorato sin dal titolo, ma in questa chiacchierata ho cercato di far emergere quelle meravigliose zone d’ombra che alimentano la sua poetica.
Non ho trovato molte informazioni sul tuo passato artistico. Puoi aiutarmi a ricostrurlo per i nostri lettori?
Il mio passato artistico è tormentato e caratterizzato da periodi convulsi, prolifici e frenetici, alternati a lunghe pause dovute all’abuso di alcool e farmaci. Dipendenze che mi sono lasciato alle spalle molti anni fa. Ho pubblicato tre album in inglese tra il 2000 e il 2006 di matrice rock. Mi piacerebbe, un giorno, ristamparli in un’única soluzione. Vedremo. Periodo in cui ho collaborato con molte etichette indipendenti sia italiane che europee. Ho suonato molto in giro, anche se non abbastanza. Mi sono spostato tra Berlino e Londra dove ho rischiato di firmare per la Universal. Cosa che non è andata in porto. Dal 2007 al 2012 ho praticamente smesso di suonare live, ma non di scrivere. Nel 2012 firmo con l’etichetta indipendente Forears e pubblico il primo lavoro “Omonimo” in italiano. Poi, altro silenzio.
Mi chiudo a scrivere e nasce Dell’amore animale, dell’amore dell’uomo,dell’amore di un dio. Era da tempo che conoscevo David Bonato per “colpa” del Pistoia Blues Festival dove ho suonato in 3 edizioni, aprendo i concerti di BB King, Robert Plant e Joe Satriani. Parlavamo di lavorare insieme già da tempo quando gli ho spedito la demo del disco. Abbiamo firmato il contratto nella primavera del 2019 e a dicembre è uscito il disco per Vrec music Label con la collaborazione dell’associazione New Generation di Pistoia.
Adesso siamo qui.
In questi giorni di quarantena ho imparato a conoscerti sulla tua pagina social, dove posti video di rifacimenti in acustico di tanti brani, mostrando un’ampiezza di ascolti che stupisce?
Ho ascoltato voracemente e con avidità qualsiasi genere musicale cercando di imparare a suonarlo, ma soprattutto di farlo mio. Con risultati alterni. Eccezion fatta per la spazzatura più patinata e inutile fatta di contenitori luccicanti e contenuti vuoti. Ovviamente ho delle preferenze, ma in linea di massima sono troppo curioso per non cercare sempre nuovi ascolti. Potrei fare esempi che necessiterebbero tre pagine per elencarli. Provo una fascinazione particolare per quei musicisti che sentono come urgenza il mettersi a nudo e che non hanno la minima sovrattura ad impedire loro di essere quello che sono, incapaci di barattarlo in cambio di un effimero consenso.
Sei un’artista vero per me, uno che scortica l’anima. Come tieni viva la tua musica? Quando scrivi, come concepisci l’arte? Che limiti ti dai nei testi?
Ti ringrazio e spero sia vero. Probabilmente è proprio per amore dell’autenticità che ho imparato da artisti meravigliosi durante la mia formazione, oltre ad una naturale idiosincrasia verso ogni castrazione o limitazione o censura. Un’istanza che alimenta la necessità di scrivere senza compromessi. Gli unici vincoli che mi impongo nella stesura dei testi, sono di leggerli e rileggerli. Di solito scrivo la notte e rileggo quello che scrivo la mattina dopo. Scrivere con le viscere e rileggere con la testa.
Senti di meritare di più o questa sensazione non ti appartiene e ti basta sentirti a posto con la tua creatività?
Questo è un tasto dolente per chiunque scriva canzoni. Forse tutti pensano di meritare di più. Quando ero più giovane non lo pensavo, ne ero assolutamente convinto. Adesso è tutto molto ridimensionato. Ho smesso di cercare di dare risposte a domande che in realtà non ne prevedono una.
Sono contento di essere libero di scrivere come voglio e di questo devo ringraziare David, che non mi ha mai chiesto niente di diverso, arrivando a pubblicare un singolo, “Vola il corvo”, scritto in questo periodo di isolamento in collaborazione com Marco Olivotto e che dura 9.12 minuti.
Non proprio una operazione commerciale.
Oltre alla musica cosa altro attira la tua sensibilità?
Come ho detto, sono una persona curiosa. Non riesco ad entrare in una libreria e uscirne senza aver speso tutti i pochi soldi che ho in tasca. In realtà mi attira tutto ciò che riguarda l’essere umano , con uno sguardo privilegiato verso le fragilità, le debolezze, le storture, le ingiustizie.
In questo periodo di pandemia cosa pensi di aver perso e al contrario trovato?
Ho perso delle persone care. Persone che conoscevo da tutta la vita. Ho perso la possibilità di scegliere o meglio, il ventaglio delle scelte si è ridotto fino quasi a sparire, consapevole che le limitazioni alle libertà personali fossero necessarie e che la tutela della salute di tutti fosse prioritaria. Ho perso tempo, il mio tempo e, con il mio, intendo quello che sono libero di scegliere.
Ho trovato un po’ di pace.
Non troppa.