E’ disponibile in digitale “#PACE” (Verba Manent / Ada Music Italy), il nuovo album di Vincenzo Incenzo, cantautore di grande talento, autore per i più grandi cantautori italiani (da Renato Zero ad Antonello Venditti) e figura poliedrica nel panorama culturale, in qualità di scrittore, regista e drammaturgo. Con questo nuovo progetto, Incenzo ci offre undici tracce che raccontano una visione emozionale e poetica del nostro tempo, un viaggio sonoro che mescola lirismo e riflessioni sulla condizione umana. Tra temi di denuncia e speranza, l’album esplora conflitti, disuguaglianze, ma anche il desiderio di ricostruire e di abbracciare un messaggio universale di pace. A pochi giorni dall’uscita, Vincenzo ci racconta la genesi di “#PACE”, il suo processo creativo e il profondo significato che questa parola riveste oggi. Con il singolo “Lontano e Qui” già online e un tour imminente, è il momento giusto per immergersi nel cuore del suo nuovo lavoro. Lo abbiamo intervistato e ci ha guidato attraverso le sue riflessioni, emozioni e sfide artistiche che hanno dato vita a “#PACE”.
Cosa ti ha spinto a intitolare il tuo nuovo album “#PACE” e quale significato attribuisci oggi a questa parola, spesso abusata e fraintesa?
Il tentativo è proprio questo. Riposizionare questa parola in una giusta posizione. Una parola abusata, svilita e depotenziata di tutto il suo valore e il suo potere. Oggi addirittura si parla di guerre giuste e paci ingiuste. La pace è qualcosa che dovrebbe stare sopra di tutto. Non mi riferisco solo alla pace geopolitica, ma anche alla pace interiore per ognuno di noi. Viviamo in un momento in cui si è diffusa la cultura dell’odio e dell’isolamento. La rete ci da occasione di connetterci con chiunque e ovunque, ma ci sta letteralmente isolando. Ognuno di noi crede nella sua individualità e non si relaziona più con gli altri. Per questo per me la parola Pace vuole ridisegnare un confine, un abbattimento di tutte le distanze, non sono culturali, ma anche religiose e di genere. Inoltre, ho aggiunto all’inizio un hashtag (#): mi sembra di buon augurio come se la parola potesse veicolarsi in maniera più veloce a 360 gradi. Ho voluto usare un segno della contemporaneità per comunicare il più possibile questo termine.
“#PACE” è un viaggio fisico ed emotivo che parte dalla voce di Siri (l’assistente virtuale sviluppato dalla Apple, nda) e si conclude con quella dei bambini colombiani. Come mai hai scelto di aprire e chiudere l’album con queste voci, e cosa rappresentano per te?
La voce di Siri è forse oggi la nostra compagna di viaggio più accreditata e purtroppo dico io. Il disco parte da una situazione di gelo, con una voce meccanica. Ma nel corso del disco si arriva al coro di questi bambini, che ho registrato personalmente in Colombia. C’è un messaggio di speranza che arriva da questi bambini, che non hanno veramente nulla e che io seguo da tanti anni. Loro ti insegnano molto: dalla semplicità a quante cose possiamo fare davvero a meno.
Nel disco esplori temi come i conflitti, le morti in mare e la situazione nelle carceri, ma allo stesso tempo ci sono momenti di speranza e bellezza. Come sei riuscito a trovare questo equilibrio tra la denuncia sociale e la ricerca di luce nella vita?
Io credo che la risposta è proprio nella domanda. Non può esserci luce senza il buio. Il buio deve essere una fonte di motivazioni. Per quanto riguarda il brano sulle carceri, ho avuto l’occasione di fare alcune esperienze, come nel carcere di Eboli in Campania. Qui ho avuto modo di conoscere detenuti e vedere percorsi virtuosi e luminosi di alcuni che, oggi, sono diventati insegnanti. Anche il peggiore dei mondi possibili può dare luce a qualcosa di positiva. Ho cercato di fotografare lo stato delle cose, ma rispetto ad altri dischi, dove ero critico e basta, mi sembrava opportuno dare un segnale di luce e speranza. C’è possibilità per queste persone, di chi vuole provare a cambiare le cose e non accettare solo quello che ci viene imposto dall’alto.
Hai collaborato con musicisti di grande calibro come Alfredo Paixao e Daniele Bonaviri. Qual è stato il processo creativo dietro le sonorità dell’album, che mescolano elementi acustici ed elettronici?
Volevo fare un disco che fosse riproducibile dal vivo. Perché odio quei dischi che ti danno un’immagine, e poi dal vivo la perdi completamente. Non c’è l’intelligenza artificiale e non c’è l’autotune. Tutto è suonato da questi grandi musicisti, che mi ha dato la possibilità di conoscere Jurij Ricotti, che è il mio produttore, e che nel corso della sua carriera ha lavorato con tutti, da Andrea Bocelli a Eminem, e che è un grande esploratore di nuovi macchinari. A volte facciamo un po’ da cavie per nuovi strumenti. Per i nuovi brani abbiamo fatto una prima stesura acustica e poi abbiamo bagnato queste tracce con alcuni elementi di nuova generazione, che sono perfettamente riproducibili dal vivo. A breve fare delle date: il 7 saremo a Napoli, Roma e a La Spezia per il Premio Lunezia.
A proposito, il brano “Ti Perdi” ha ricevuto il Premio Lunezia per il valore musical-letterario. Cosa rappresenta questa canzone per te, e cosa pensi che l’abbia resa così speciale?
Penso che la commissione abbia letto questa doppia lettura che c’è nella canzone. Da una parte racconto uno smarrimento personale, in seguito a un ricordo che dopo tanto tempo torna a farti male e ti rendi conto che il tempo non è passato. Dall’altra parte questo “ti perdi” è un grido più sociale: tutti noi viviamo un momento di smarrimento per questo senso di appartenenza che è andato a perdersi nel tempo. Siamo tutti un po’ più soli. E’ un monito non solo per una vicenda personale e sentimentale, ma anche per un discorso più allargato e sociale. Il bene è che non ci crei soltanto ostacoli e che in qualche modo ci riunisca. La musica ha avuto questo compito in altri tempi.
Ecco, perché secondo te la musica ha perso un po’ questo compito?
Non è soltanto un discorso legato alla musica, ma a come la comunicazione ha fatto questa inversione in tutt’altra direzione. Se pubblicizziamo un libro su Instagram avremo 10 like. Se mettiamo una donna in costume 10 milioni. La comunicazione è andata su un impatto visivo e molto superficiale e tutte le arti ne hanno più o meno risentito, la musica in particolare. Aggiungi che nel frattempo c’è stato questo monopolio del mercato delle piattaforme che hanno abbattuto le risorse per gli autori, che devono cercare altrove qualche sostegno. Io ho fatto un disco in un anno di lavoro. E’ triste vedere che prima che esca nei negozi venga spiattellato online, senza neanche il tempo di decantarlo. Prima si uscita con un singolo, poi un secondo e poi arrivata l’album. Adesso escono 70 mila canzoni al giorno. Dall’altra parte c’è una possibilità di farsi sentire ovunque da tutti. Per questo meccanismo ha sdoganato il dilettantismo. E secondo me non è sano.
Il 19 dicembre presenterai il nuovo album dal vivo al Teatro Golden di Roma. Come immagini che il pubblico reagirà a questa nuova dimensione musicale di “#PACE” durante il concerto, rispetto ai tuoi precedenti lavori?
Ci sarà sicuramente la presentazione dell’album. Però farò anche un viaggio parallelo con i grandi successi che ho scritto per artisti come Renato Zero, Antonello Venditti, Lucio Dalla e Michele Zarrillo. L’idea è di raccontare la genesi delle canzoni. E’ importante per il pubblico capire come sono nate alcune canzoni. Il concerto viaggia su questi due binari.