La notizia della morte di Paul Di’Anno ieri si è diffusa rapidamente su tutti i siti e social del mondo, scatenando un’enorme ondata di commozione generale, che ha coinvolto non solo i fan dell’heavy metal, ma anche i musicisti. Sono stati infatti tantissimi i componenti di band, anche molto famose, ad aver lasciato un ricordo, un segnale, una preghiera per omaggiare questo cantante, noto per essere stato il primo vero frontman degli Iron Maiden agli albori della nascita del metal. Ma come è possibile che un artista, noto principalmente per due dischi pubblicati nel 1980 e 1981 (oltre a due leggendari ep), sia rimasto in modo indelebile nel cuore di così tante persone? Al punto che non sono pochi che ritengono che i veri Iron Maiden sia solo quelli di “Iron Maiden ” e “Killers”, appunto i primi due lavori del gruppo inglese.
La risposta è semplice, la voce, la presenza scenica e soprattutto la vita di Paul, hanno respirato una sola cosa: libertà. Con tutte le conseguenze del caso. Infatti, come racconta nella sua autobiografia “La bestia”, Paul ha vissuto sempre al limite, pagando anche con il carcere per i suoi errori, senza dimenticare malattie ed altri gravi problemi fisici. Ed è proprio questa sua fragilità, l’ammissione dei suoi errori, che contrastano con la sua figura possente ed un percorso di vita complicato, che lo hanno reso umano davanti ai suoi fan, che hanno potuto apprezzarlo negli ultimi anni in concerti, in giro per il mondo, dove, seduto su una sedia a rotelle, cantava con intensità ed emozione i brani dei Maiden, ma anche di altri suoi progetti. Non tutti infatti sanno che Paul Di’Anno si è misurato con il prog rock con i Di’Anno, con l’hard rock nei Gogmagog per poi tornare al metal con I Battlezone e i Killers e variare ancora con Dennis Stratton, compagno nei Maiden appunto, oltre ad aver partecipato a tantissimi progetti e tributi.
Lo aspettavamo in Italia in dicembre, ma Paul Di’Anno ieri, dopo 66 anni di vita terrena, si è trasformato da idolo di gioventù per molti di noi in una leggenda. Ed inevitabilmente scattano i ricordi di chi scrive, che ha avuto la fortuna di vederlo due volte dal vivo con gli Iron Maiden, la prima il 2 settembre del 1980 a Milano di spalla ai Kiss, on la band inglese che travolse anche chi non la conosceva, mettendo a dura prova i Kiss, che faticarono a reggere il confronto. E la seconda il 31 marzo dell’anno successivo al Palasport di Reggio Emilia, dove si erano già conquistati un tour da headliner. Un concerto meraviglioso, dove si coglieva appieno che l’heavy metal stava crescendo di popolarità e dove la band, con Saxon, Judas Priest, Tygers Of Pan Tang e tanti eroi minori, stava segnando il confine definitivo della NWOBHM (New Wave Of British Heavy Metal), la nuova ondata di musica ed energia che avrebbe ben presto conquistato il mondo intero. E Paul, al centro della scena, con quella sua voce roca e grintosa, con l’immagine riottosa tra punk e metal, dimostrò a tutti come doveva essere un frontman di una band heavy metal. Ma andando oltre i ricordi, di una cosa siamo certi, senza Paul Di’Anno l’heavy metal si sarebbe sviluppato in modo diverso e forse meno penetrante, perché la sua figura ha influenzato centinaia di cantanti, ecco perché oggi non è solo il giorno del dolore, ma soprattutto è il giorno dove dobbiamo dirgli “grazie”. Grazie Paul, per la tua energia, la tua voce e la tua sincerità. Adesso hai sconfitto la bestia, che tu possa riposare in pace. La musica, non solo quella metal, non ti dimenticherà mai!
Now you are running free Paul!