Il live della band di Brighton al Covo di Bologna il 5 Ottobre 2024 – C’è un filo stranissimo che negli ultimi anni mi riconduce spesso al colore blu, da sempre amato nella sfumatura “elettrico ‘80”, ora ricercato con cura negli accessori a contatto con la pelle e oltre, fino alla musica degli Egyptian Blue, band sconosciuta ai più, originaria di Colchester e fiorita a Brighton.
ARTICOLO A CURA DI FRANCESCA TRINCA
Mi interrogo sulla pulsione che impone una trasferta a Bologna per ascoltarli nel live al Covo in una serata piovosa di ottobre. Ripenso alla puntualità con cui i loro EP accompagnavano le mie giornate durante l’isolamento pandemico, con una perseveranza non esattamente consona all’età matura: un’urgenza simile all’irritazione di un prurito implacabile post adolescenziale.
Il suono ruvido e il malessere di Collateral, Contain It e Nylon Wire mentre improvvisavo goffi tentativi di workout sul pavimento di casa erano un tutt’uno con l’immobilità e gli interrogativi sul presente/futuro. Speravo che quelle tracce maturassero e trovassero compimento in un album.
“Death in the family / blank, on track, in suburbia / where the structure / and the anger It is collapsing / right in your home / right in your living room / right under your nose / and you must learn / to contain everything / that’s been before”.
Egyptian Blue
Parole che suonavano fin troppo vicine al mio vissuto, constatazione di rabbia impotente e beffarda.
Quattro anni dopo il disco è realtà, A Living Commodity, arricchito dalla produzione di Theo Verney (si veda English Teacher e FUR), ma soprattutto della crescita artistica di una band che, con ferrea disciplina, ha acquisito una levatura invidiabile conquistando Foals e Murder Capital.
Il live degli Egyptian Blue al Covo di Bologna – 5 ottobre 2024.
Il live rende onore al suono vinilico con una scaletta ambiziosa in fatto di esecuzione e struttura. I brani alternano fasi minimali a fragori impetuosi (Belgrade Shade, Skin, A Living Commodity) che ricondurre unicamente agli umori post punk risulta riduttivo. Da un lato c’è lo sporco vivace degli esordi, dall’altro la maestria, la precisione esecutiva condotta dalla voce di Andy Buss, che canta e incanta con la chitarra, affiancato dall’amico d’infanzia Leith Ambrose. Le geometrie sono sghembe e imprevedibili, richiedono attenzione, invitano a raffinare l’intelletto e restituiscono esigenza di condivisione, verità emotive. La sessione ritmica (Luke Phelps e Isaac Ide) a tratti è vorticosa e incalzante per poi spegnersi su toni rarefatti che riportano ai Radiohead. Echi, mai spenti, di Gang of Four. Four is the Last Four arriva verso fine serata, serrata ed esaltante.
“Anxiety takes hold”, appunto, è l’irrequietezza di chi si interroga sul sé in relazione al mondo, ne coglie ogni stortura, lo deride subendolo, ma stende la mano e regala un abbraccio comprensivo e consapevole, al di là delle distanze generazionali e geografiche. Il disagio è comune.
A fine concerto i volti sul palco sono soddisfatti, tra il pubblico qualcuno è perplesso; io conquisto soddisfatta l’ultima tshirt disponibile, mi congratulo e il sorriso di Andy traduce la gioia del compimento di un sogno coltivato a lungo. Ho molto da imparare.
Il colore dei lapis lazuli ispira visioni spirituali e favorisce l’espressione dell’io, l’Egyptian Blue che voglio sentire addosso ancora a lungo.
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