Intervista ad Andrea Mancini, tra Colosseum, Cream, King Crimson, Franco Basaglia, Giuliano Scabia ..

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La mostra Sentiero del Teatro accanto alla Follia, l’incontro con le realtà toscane che lavorano con il disagio e la follia, la partecipazione alla Settimana Lucana a Firenze e tanto altro: di questo ho parlato in una calda mattina agostana con lui e ci ha preso lo sconforto, perché tutti i bar erano chiusi! Nella foto di Duccio Scheggi, Andrea Mancini è al microfono, ma alle sue spalle compare il ritratto di Alfred Jarry, inventore della Patafisica e del teatro del ‘900..

Un bentrovato ad Andrea Mancini; vogliamo raccontare come sei coinvolto nella Fondazione Giuliano Scabia? E’ nata pochi mesi dopo la morte del poeta, avvenuta il 21 Maggio 2021. Io sono stato coinvolto da subito, in quanto amico e collaboratore di Scabia, questo per più di quarant’anni: per me, ma anche per moltissime altre persone, in Italia e anche all’estero, è sempre stato un ispiratore e una guida, in tutto il suo lavoro, legato soprattutto alla ricerca poetica, ma anche ad un teatro di impegno. Scabia ha realizzato progetti di grande valore, legati ai ragazzi, al teatro di comunità, al teatro con il disagio mentale.

Dal 29 Agosto sino al 26 Settembre al Murate Art District un progetto intitolato Sentiero del Teatro accanto alla Follia: puoi parlarcene? La mostra e il progetto hanno per sottotitolo: Giuliano Scabia Franco Basaglia e raccontano il rapporto tra questi due giganti, nei loro rispettivi settori, il teatro e la psichiatria. Nel 1973, Basaglia invitò Scabia dentro l’ospedale psichiatrico di Trieste, che lui dirigeva, gli disse:- Venite fate quello che volete! Per due mesi, all’interno del Laboratorio P, in una zona dismessa del manicomio, Scabia e altri suoi collaboratori lavorarono con i matti: da qui nacque tra l’altro quel grande cavallo azzurro: Marco Cavallo, diventato simbolo della liberazione dalla disumanità degli ospedali psichiatrici. Nella mostra delle Murate, si potranno vedere materiali straordinari provenienti da quei giorni, filmati inediti e spettacoli su testi dello stesso Scabia,realizzati da alcuni attori, tra i migliori del nostro teatro.


Il 13 Settembre sarete nostri ospiti alla giornata che dedichiamo a Franco Basaglia all’interno della Settimana Lucana: cosa ci puoi anticipare del vostro intervento? Quest’anno si ricorda il centenario della nascita del grande psichiatra veneziano, ci è sembrato giusto raccontarlo attraverso un suo importante collaboratore, Giuliano Scabia, che ha dato vita a Marco Cavallo. Basaglia entrò direttamente dentro la storia del cavallo azzurro, quando decise di portarlo nella città. Trieste non era abituata a vedere la follia, rinchiusa a doppia mandata nel manicomio. Ebbene in quel giorno del 1973, i matti uscirono in corteo, ma il cavallo non passava dalla porta esterna, allora Basaglia, insieme agli altri, prese una panchina e abbatté (non solo simbolicamente) quell’architrave.

Sono curioso di conoscere qualcosa su di te a livello artistico: con quali cantanti sei cresciuto? Mi sono formato con il grande rock inglese e americana (Colosseum, Cream, Genesis, Deep Purple, Pink Floyd, Jethro Tull, King Crimson, Emerson Lake and Palmer), ma anche con le canzoni di Kurt Weill e di Hans Eisler, quelle scritte per Bertolt Brecht. Tra gli italiani citerò Milva, Ornella Vanoni, Patti Pravo, Zucchero e Franco Battiato.


Il 25 Settembre (all’interno della rassegna al Murate Art District) avete previsto un incontro con le realtà toscane che lavorano con il disagio e la follia. Puoi parlarmene? Si tratterà di una giornata importante, ne avevo a lungo discusso anche insieme a Scabia, vorremmo confrontarci con tutta una serie di interlocutori che apparentemente non esistono, ma che da sempre operano all’interno di un’azione teatrale che non cerca il grande pubblico, ma va a lavorare nelle strade e nelle piazze, nei luoghi anche del disagio. Vorremmo dar vita a questa giornata dove si comincia a discutere di un teatro necessario, al quale le amministrazioni pubbliche e private devono offrire il loro sostegno, ammesso – appunto – che ne riconoscano l’esistenza.