Come si rende felice un musicista? Basta lasciarlo suonare libero, senza la preoccupazione costante del domani. Se ne è parlato ieri al Festival dell’Economia di Trento, organizzato dal Gruppo 24 ORE insieme a Trentino Marketing per conto della Provincia Autonoma di Trento e con il contributo del Comune di Trento e dell’Università di Trento, durante il talk organizzato su invito dell’Università di Trento da Rete Doc, la più grande e longeva rete cooperativa del settore artistico in Italia.
Sul palco sono saliti Francesca Martinelli, direttrice della Fondazione Centro Studi Doc, Andrea Ponzoni, CEO Freecom Hub, e l’artista Omar Pedrini. I relatori hanno puntato il dito su un sistema che non tutela i musicisti in Italia: oltre 43mila persone che sono esposte alla precarietà estrema, aggrappate a un mercato che soffoca la visione creativa e genera un sistema invivibile. Nonostante il settore appaia in salute, con una continua crescita sia del mercato discografico, trainato soprattutto dallo streaming, sia della musica live, vi sono alcune criticità, come le difficoltà a riscontrare delle realtà piccole e indipendenti e il modello organizzativo dell’industria discografica sempre più orientato al successo immediato, con i noti casi di burnout degli artisti, che faticano a costruire carriere di lungo corso. Vivere facendo il mestiere di musicista è arduo, al punto che in media i musicisti e le musiciste guadagnano 6.800 euro all’anno (dati INPS 2022), appena al di sotto della soglia di povertà. La retribuzione così bassa è legata al fatto che spesso il lavoro nello spettacolo – per sopravvivere – non solo è combinato con un’altra occupazione, ma sovente è anche retribuito in nero. Tanto che il lavoro sommerso, secondo una ricerca di Fondazione Centro Studi Doc, nel 2018 ammontava a circa 4 miliardi di euro solo nella musica dal vivo. In questo panorama desolante, hanno sostenuto i relatori, si possono individuare strade differenti grazie al modello cooperativo. Nel presentare Rete Doc, Francesca Martinelli ha spiegato la filosofia della cooperazione, che “permette di conservare la componente umana del lavoro, ragionando come rete e non come singoli. Nel 1990, un gruppo di musicisti ha creato una cooperativa per ottenere migliori condizioni di lavoro e uscire dal sommerso. Auto-assumendosi in cooperativa già i primi soci e socie hanno iniziato a godere dei vantaggi del lavoro dipendente, come le tutele in caso di infortuni, malattia, disoccupazione, maternità, ma conservando l’autonomia dei freelance. Oggi siamo 9mila tra soci e socie, che svolgono tutte le professioni dello spettacolo e dell’industria culturale e creativa. Nel corso degli anni, per migliorare la nostra professionalità, abbiamo anche introdotto alcuni strumenti, come l’etichetta discografica per edizioni, promozione e distribuzione, l’ufficio legale e contratti, l’ufficio bandi e progetti e tutti i servizi di cui ogni artista ha bisogno. Perfino un’agenzia viaggi, che, oggi, oltre ad aiutare soci e socie a organizzare i propri viaggi di lavoro, gestisce anche la logistica dei più importanti tour nazionali”.
A dimostrare il valore aggiunto di questo modello sono anche i numeri, con le migliaia di musicisti di Rete Doc che guadagnano il 65% in più rispetto alla media italiana, pari a oltre 11.000 euro in media all’anno. Oltre al supporto dei diversi servizi che i soci e le socie hanno costruito negli anni per migliorare la propria professionalità, essere in cooperativa consente di gestire con un unico interlocutore le diverse attività svolte (concerti, vendita merchandise, raccolta royalties, insegnamento e altre professioni parallele), di essere remunerati con la paga base anche prima che il committente saldi il cachet e di monitorare l’andamento della propria attività grazie a una piattaforma che in modo trasparente evidenzia tutti gli introiti. Nonostante la natura del lavoro resti discontinua, questo meccanismo permette di fare un minimo di programmazione per quanto riguarda sia lo svolgimento del lavoro sia la gestione della vita privata. Andrea Ponzoni, Ceo di Freecom Hub, società di servizi della galassia di Rete Doc specializzata in produzione artistica, musicale e discografica, è partito dall’analisi impietosa della situazione: burnout, carriere a singhiozzo, cantanti-meteora scomparsi nell’oblio, rincorsa dei trend del momento, banalità creativa. “Partiamo da qui: senza investimento di tempo su musicisti e musiciste non possono esistere progetti musicali di valore. Rappresentiamo un argine a questa deriva e permettiamo agli artisti e ai manager di costruire insieme modelli sostenibili di produzione artistica. Chiunque voglia avviare un percorso di questo tipo trova all’interno della rete tutte le professionalità e i servizi che gli possono essere utili”. Tra gli esempi virtuosi citati, il progetto creato intorno a Karma Klima, il disco dei Marlene Kuntz che nel 2021 ha aperto la strada a tre residenze artistiche nel cuore del Piemonte rurale. In un territorio marginale è nata una music factory aperta al pubblico, che ha stimolato una presa di coscienza riguardo ai temi ambientali.
Infine, spazio a Omar Pedrini, membro fondatore e principale autore dei Timoria e protagonista di un apprezzato percorso da solista, che ha raccontato la sua esperienza con il mondo cooperativo. “Io vengo da quella famosa generazione di passaggio, la X, schiacciata tra i boomers e i millenials, che ha affrontato la grande rivoluzione della musica in Italia. Ho avuto la fortuna di avere successo giovanissimo con i Timoria: a 23 anni ero sul palco di Sanremo, a 25 anni ottenevo il disco d’oro. Quindi la musica è diventata presto un lavoro. Già allora noi ci rendevamo conto di quanto mancassero degli appoggi dal punto di vista della gestione. Non esistevano commercialisti specializzati nel campo musicale. Negli anni 2000 l’impatto fu devastante. Bisognava pensare a come gestirsi: l’avvocato per una cosa, il commercialista per un’altra, la SIAE, l’editore, il discografico, il distributore. Era il boom del rock. Decidemmo all’epoca di entrare nel mondo delle cooperative. È un falso mito che convengano solo ai piccoli artisti e i grandi abbiano grandi società. Io consiglio tutt’oggi la cooperativa, perché aiuta la gestione dalla A alla Z di tutto il lavoro dell’artista; ti rassicura dalla paura di sbagliare, di prendere multe. Nel 2002, con la carriera solistica, sono stato costretto ad assumere. Sono passato da 5 soci paritari a dare lavoro a 8 persone. Ero responsabile della tutela e della sicurezza sul lavoro, non dovevo occuparmi solo di fatture, tasse e permessi. La cooperativa in un attimo ha risolto tutte queste mie problematiche. La consiglio anche a chi ha grossi volumi di lavoro e anche per l’etica del lavoro, ovvero quella di partecipare al lavoro di tutti. In un mondo in cui le case discografiche non investono più sulle carriere, con tutto quello che ne consegue – burn-out, depressione – sapere che i miei proventi vanno a finire in una cooperativa che si occupa anche degli ultimi, mi fa molto piacere. Tutto questo in modo assolutamente trasparente. Inoltre l’assistenza legale, fondamentale. Spesso rinunci a difendere i tuoi diritti, perché non hai i soldi per un avvocato. Una cooperativa ti garantisce anche un ufficio legale. Eticamente mi fa piacere pensare che questa rete aiuti anche i giovani musicisti, o i musicisti in disgrazia”.