Si intitola “Underbrush” il disco d’esordio del batterista Federico Chiarofonte pubblicato dall’etichetta GleAM Records. Un lavoro elegante che si avvicina a uno stile di jazz contemporaneo mantenendo un grande senso melodico e una grande attenzione alla composizione e all’interplay. Hanno partecipato alla nascita di questo progetto Vittorio Solimene al piano e Alessandro Bintzios al contrabbasso.
Underbrush rappresenta un Sottobosco interiore e allo stesso tempo sociale. Perché la scelta di questo titolo? Ha un significato particolare per te?
A un certo punto mi sono ritrovato immerso in una serie di realtà musicali che coesistevano parallelamente andando ognuna nella propria direzione. Nel jazz questo significa sviluppare un gusto “di gruppo”, uno slang, un interesse per alcuni stili o artisti in particolare. Ho immaginato ciascuna di queste realtà come un organismo vivente in un ecosistema: un insieme di ingredienti e di processi in grado di produrre risultati inaspettati e fortemente caratterizzati. Per questo ho voluto chiamare l’insieme di queste realtà “sottobosco” intendendolo come un luogo nascosto, quasi in ombra, in cui abbonda una grande varietà di forme di vita adattatesi a vivere al di sotto dei rami degli alberi. Ovviamente dall’altra parte c’è il lato personale, interiore. La composizione dei brani e la riflessione sul suono sono arrivati in un momento di grande presa di coscienza e di cambiamento (anche musicale) per me. Ho potuto osservare lo sviluppo di alcune linee di pensiero e di alcuni comportamenti molto da vicino, come osservando dei piccoli organismi viventi che, pur emergendo in superficie solo in rari momenti di quiete e di riflessione, direzionano le scelte e le maree dell’animo e, quasi invisibili e inafferrabili, hanno importanti effetti sul percorso principale e quotidiano. In questo senso il titolo è un omaggio alla riflessione e al sentire interiore.
Un progetto in trio con piano, contrabbasso e batteria all’apparenza tradizionale ma che a nostro avviso apre lo sguardo al jazz contemporaneo, alle nuove tendenze discostandosi anche dalla tradizione: sei d’accordo con questo concetto?
Credo che l’esperienza della scrittura e la scelta del suono siano degli elementi controllabili solo in parte: la mia personale esperienza nello scrivere ha portato inevitabilmente e inconsapevolmente ad inseguire ciò che mi piace e che è una somma delle declinazioni musicali che ascolto. Il jazz l’ho conosciuto con i classici, molto hard bop, tornando indietro fino a Baby Dodds e King Oliver e poi saltando in avanti di cento anni. A un certo punto, sia studiando lo strumento che riflettendo e ascoltando il linguaggio, si riescono a intuire rapporti di parentela estremamente forti che legano il jazz contemporaneo con quello delle origini (e con i vari step nel mezzo). Il dialetto sarà anche cambiato ma i meccanismi con i quali questa musica viene suonata sono spesso gli stessi nell’ambito di un contesto di non totale presa di distanza da ciò che è preesistente. Underbrush ha un suono che si avvicina più alle tendenze del jazz contemporaneo, i temi a volte hanno delle melodie non del tutto assimilabili al linguaggio jazzistico tradizionale, lo strato armonico non tiene del tutto conto dei rapporti dell’armonia funzionale e c’è una spruzzata un po’ nostalgica di musica dei primi del Novecento europea che mi affascina come ha affascinato ed è stata studiata da tanti altri. Spiegando tutto questo non possiamo però dimenticarci di Bill Evans, di Bud Powell o di Miles, di Lee Konitz, di Duke Ellington e di Mingus e di tutti gli altri prima e dopo che hanno un ruolo centrale nell’ispirare e definire quello che stiamo suonando.
I musicisti che hanno preso parte a questa tua avventura sono il pianista Vittorio Solimene e il contrabbassista Alessandro Bintzios. Perché hai scelto proprio loro?
Ho conosciuto Alessandro e Vittorio prima che l’idea del trio prendesse forma. Con Alessandro ci siamo frequentati musicalmente in una prima fase, quando studiavamo in Conservatorio. Con Vittorio mi era capitato di suonare dal vivo non più una manciata di volte. Ci siamo incontrati per suonare qualche standard senza nessun impegno a casa di Vittorio a luglio 2022, alla fine della session avevamo voglia di leggere qualcosa e io avevo nella borsa dei piatti alcune parti dei pochi brani che avevo scritto, mi pare fossero Mayas e Upas. Sono rimasto colpito dal modo in cui entrambi si sono approcciati al materiale, il suono semplicemente mi piaceva e così gli ho chiesto se avessero avuto voglia di dedicarsi a un repertorio scritto da me. Hanno accettato. Sono musicisti molto preparati che sanno mettersi in gioco e delle persone squisite con cui è facile interagire a livello umano, questa ultima caratteristica fa particolarmente bene alla musica, secondo me.
Quali sono le composizioni a cui sei più legato e che maggiormente ti rappresentano in questo disco? Ce ne vuoi descrivere qualcuna e motivarci la scelta?
Non è una scelta semplice. Alcune che richiamano periodi della vita più lontani sono state le composizioni che hanno delineato il suono del trio e da cui sono poi partito per la scrittura degli altri brani. Altre sono più legate a esperienze recenti. Sceglierei Porto Cupo perché narra della vita di una lingua di spiaggia libera collocata in una piccola insenatura sul litorale salentino in cui spesso passo alcuni giorni di estate da quando sono piccolo (il meccanismo compositivo descrive il ridursi della zona libera di spiaggia a causa di uno stabilimento che si allarga sempre di più tramite il progressivo accorciarsi dei periodi musicali nell’esposizione del tema). Un altro brano che mi piace molto è Mayas: il primo che Vittorio e Alessandro hanno suonato e che mi ha ispirato nel portare avanti il progetto.
Fino a poco tempo fa trovarsi alla sezione ritmica significava solo stare nelle retrovie ora il ruolo del batterista è cambiato. Come ci si approccia in una band da leader e soprattutto alla composizione?
Il jazz non vive grazie alle prescrizioni della partitura e anche quando queste sono molte e dettagliate c’è bisogno che i brani vengano interpretati. Comporre avendo un background essenzialmente da batterista significa ottenere il risultato della scrittura di un brano affidandolo all’interpretazione di altre persone. Di certo ci si può spiegare a parole e comunicare suonando in gruppo ma comunque la parte iniziale del progetto deve partire dalla scelta dei musicisti. Nel mio fortunato caso ho trovato delle persone che si sono adattate ai miei “bisogni da compositore” senza troppi problemi, per questo ho poi voluto scrivere dei brani sempre più legati alle personalità e alle possibilità dei musicisti. Mi è sembrato un buon punto di partenza per immaginare delle sonorità e per dare al trio modo di divertirsi suonando.
Raccontaci anche il percorso di Underbrush. Come sono nati i brani e poi come avete lavorato alla registrazione di questo disco…
Alcuni brani sono nati velocemente, altri hanno avuto periodi di incubazione più lunghi e molti sono stati messi da parte. Il processo compositivo è partito sempre da me e poi, in sala, i ragazzi hanno dato dei consigli, mi hanno spiegato come far funzionare meglio alcune cose e siamo così giunti al prodotto finale. La seduta di registrazione è durata 9 ore, in un solo giorno. Ci siamo affidati a Clive Simpson e al suo Extrabeat Recording Studio, nella zona nord di Roma e ci siamo trovati benissimo umanamente e professionalmente. Con la registrazione alla mano ho contattato le etichette e gli editori italiani che si occupano di pubblicare jazz e, tra tutti, ho scelto e sceglierei di nuovo GleAM Records di Angelo Mastronardi: un editore giovane e determinato con sede in Puglia. Ho lavorato a distanza con Angelo per l’uscita del disco che è avvenuta il 22 Marzo 2024.
Proiettandoci verso il futuro invece hai in mente già qualcosa a cui stai lavorando e vuoi darci qualche anticipazione?
Sto lavorando ad altra musica per il trio, vorrei che fosse un modo per proseguire e sviluppare il sound che già abbiamo andando però a lavorare su differenti soluzioni formali e migliorando ciò che c’è da migliorare. Un brano inedito è già stato suonato e registrato durante il nostro concerto di presentazione per Agus Collective a Roma (il Cantiere, via Gustavo Modena). Abbiamo in calendario qualche concerto e stiamo lavorando con GleAM per trovarne degli altri presto e far crescere il trio. Nel frattempo sia Alessandro che Vittorio sono impegnati nei loro progetti che vi invito ad andare a conoscere: si tratta di ottima musica suonata da ragazzi giovani e preparatissimi. Contemporaneamente al trio sto scrivendo per altre formazioni completamente diverse che però conserveranno un filo conduttore con alcuni dei brani già composti per Underbrush. Spero di potervi fare ascoltare qualcosa presto!