In radio e su tutte le piattaforme digitali è uscito “Marta D”, il singolo d’esordio di Evelina. Si tratta di un progetto artistico anonimo e queer che propone di andare oltre i confini e l’apparenza per provare a lasciar spazio unicamente alla musica, alle visioni e alle parole. Il brano è prodotto e arrangiato da MuČe Čengić, chitarrista bosniaco tra i fondatori dei Zabranjeno Pušenje – gruppo rock molto popolare nella ex Jugoslavia – produttore discografico e ingegnere del suono, trasferitosi in Italia da Sarajevo alla metà degli anni ’90 dopo il conflitto in Bosnia ed Erzegovina. Evelina è una nomade delle arti e dei paesaggi e narratrice e tessitrice di quel che resta. È una creatura fragile, oscilla tra il trauma e la gentilezza. Danza liberata e leggera, finché potrà, tra gli specchi di questa fraintesa realtà, sul piano inclinato di questa slavina. Ecco cosa ci ha raccontato.
Cominciamo parlando del tuo singolo d’esordio, “Marta D”. Qual è stata l’ispirazione dietro questa canzone e cosa ti ha spinto a scegliere proprio questo brano per il debutto del tuo progetto artistico?
Il progetto è molto ambiguo. La lavorazione è durata ben 7 anni e questo pezzo ha aperto le danze di tutto il lavoro. La musica nacque tanti anni prima; il testo invece è stato scritto nel suo embrione da un’altra persona e poi si è unito insieme alla musica. Altre due persone hanno rimesso mano al testo e all’arrangiamento. Nel momento in cui il pezzo ha preso forma è come se avesse inquadrato il senso stesso dell’album. La nascita di questo pezzo e la scelta di portarlo come prima uscita è stato un atto dovuto.
Hai menzionato che “Marta D” è il risultato e il racconto di una lotta personale. Puoi approfondire di più su questo tema? Quali sono i sentimenti e le emozioni che hai cercato di trasmettere attraverso questa canzone?
Non è un chi, ma è un cosa sta dentro uno stesso individuo. E’ la parte oscura, che può essere incarnata da una depressione, da una dipendenza e da tutte le cose possibili che si possono associare all’ombra. E’ un pezzo condotto come una lotta e su quali esiti non c’è certezza. Nel video, per esempio, prende la forma di una lotta di wrestling. E anche nel finale del video non è certo che c’è una vittoria contro il lato oscuro. Il brano vuole rappresentare il conflitto come se ci fossero due forse interiori che cercano di prevalere l’uno sull’altra.
Il tuo singolo è stato prodotto e arrangiato da MuČe Čengić, un musicista con una storia molto interessante. Come è nata la collaborazione con lui e in che modo ha influenzato il risultato finale di “Marta D”?
MuČe Čengić è stato ed è ancora considerato insieme a Goran Bregovic una delle rock star dalla ex Jugoslavia. E’ una persona che già durante l’occupazione di Sarajevo era impegnato in attività culturali volte a sostenere la città, e dunque una persona molto impegnata anche nella storia di quel paese. Grazie a Vasco Rossi riuscì con il fratello e altri amici ad andare via e a venire in Italia, dove ha cominciato a lavorare. Ci siamo incontrati per puro caso. Gli ho fatto sentire i provini. Lui è una persona molto dura. Con discreto timore, lui ha accettato di produrlo e di farlo pro bono. Ci disse però che dovevamo stare ai suoi tempi, che sono molto lungi, con una cura del dettaglio assoluta. E in effetti ci sono voluti 7 anni tra la preproduzione e il lavoro sui singoli pezzi. E’ lui che ha preso le nostre idee embrionali e le ha restituite a una dimensione che pur essendo indipendenti, hanno una cura e un dettaglio da industria discografica.
La cover del singolo fa parte del progetto fotografico Eclissi: un oltreconfine, che sarà svelato interamente con l’uscita dell’album. Puoi dirci di più su questo progetto e su come si lega alla tua musica?
Si lega nella misura in cui Evelina non è solo un progetto musicale, ma artistico a 360 gradi. Il progetto Eclissi è altrettanto lungo che si è piano piano incontrato con quello del disco. Le persone del disco riveleranno una sorta di libro dove i testi delle canzoni, le immagini e la musica saranno all’interno come tre sorelle, poesia, musica e poesia, assolutamente equipollenti. E’ un progetto sulla rappresentazione del corpo femminile, in cui viene messa in evidenza la sottrazione del corpo femminile al desiderio maschile.
Il tuo progetto artistico è definito anonimo e queer. Cosa significa per te portare avanti un progetto musicale con queste caratteristiche e quali sfide hai affrontato lungo il percorso?
C’è l’idea dell’anonimato. Non abbiam una potenza di fuoco di un progetto che si può blindare come nel caso di Liberato o della Ferrante nella letteratura. L’intenzione di Evelina è quella di sottrarre l’aspetto dell’immagine. C’è poi una coralità. Non si poneva il problema di creare il personaggio. L’anonimato è la cosa migliore per sottrare potenziali pregiudizi. Quello che diciamo è; ascoltate questa musica, ascoltate queste parole. Che dietro ci sia una donna o un uomo, nero o bianco, non importa. Se non mi piace è per questo. Più che una strategia di marketing, è una proposta: siamo capaci di avvicinarci a un prodotto culturale, senza sapere chi c’è dietro questo prodotto culturale? C’è il desiderio e la volontà di essere trasversali non solo rispetto ai generi. In quell’istante, anche attraverso la sua trasversalità mediatica. Evelina queer è il desiderio di non avere confini.
Oltre alla musica, sei anche una nomade delle arti e dei paesaggi. In che modo questa tua natura nomade influisce sulla tua musica e sulla tua creatività?
In questa trasversalità, anche rispetto all’origine artistica e performativa che è nata molti anni prima del progetto Evelina, si è occupato di arte visiva e performativa, concentrata anche sullo spazio urbano. Una sorta di collettività che si dispiega in diverse ricerche artistiche, e che in questo momento ha assunto una forma per portare la musica e che quando arriverà sarà anche uno spettacolo teatrale.
Mi hai anticipato l’ultima domanda. L’album avrà un’evoluzione dal vivo?
Il progetto ha tutta l’intenzione d’assumere una sua fisicità. Un’altra sfida di Evelina, in un’epoca in cui negli anni ‘80 e ‘90 era più facile. È un progetto totalmente indipendente. Avendo avuto la fortuna adi aver avuto un produttore che ci ha messo in condizione di avere un prodotto discografico, senza avere un’etichetta, ogni passaggio deve muovere delle cose, affinché ne attivi altre. L’obiettivo è aggregare interesse il più possibile, senza doverci porre il problema del tempo. Emergerà anche in quella dimensione, prima di arrivare alla dimensione live. Del resto è un disco completamente suonato e per questo sarà anche molto piacevole suonarlo dal vivo.