Il compositore Paolo Cavallone, tra i più stimati e riconosciuti in ambito internazionale, conferma la sua poliedricità anche dal punto di vista letterario. E’ uscito di recente il volume “Suoni ulteriori” (edito dal Gruppo Santelli Poetica), che contiene 46 testi poetici che l’autore ha composto nell’arco di 24 anni. Musica e poesia procedono all’unisono, soprattutto se inquadrati nel fertile panorama della musica classico-contemporanea. Ne abbiamo parlato con l’autore, che attualmente si trova a Parigi, dove vive e lavora.
Nel tuo libro “Suoni Ulteriori”, si parla della tua concezione di “poesica”, un concetto che fonde inscindibilmente poesia e musica. Puoi spiegarci meglio questa idea e come si riflette nel tuo lavoro compositivo?
In generale, non faccio distinzione fra musica e poesia, perché la parola contiene in sé sia un elemento fonetico, sia un elemento semantico. L’elemento fonetico è suono puro. Per mezzo dell’elemento semantico, invece, il significante sonoro acquista un significato ulteriore, che aggiunge uno strato “di superfice” (per non dire “più esplicito”) ai vari significati che la musica ed il suono possono veicolare ed acquisire. Inoltre, nel mondo della globalizzazione, inquadrando da diverse prospettive l’oggetto sonoro, esso può assumere configurazioni e significati sempre diversi (talvolta addirittura opposti, almeno apparentemente). Ad esempio, il suono fonetico “Dai”, in italiano vuol dire “sbrigati”, mentre in inglese “muori”. In senso strettamente musicale, ad esempio, l’ambito di un semitono potrebbe rappresentare sia la distanza più piccola fra due suoni (nel sistema temperato), sia una distanza enorme in una dimensione che Giacinto Scelsi avrebbe definito “sferica” (vale a dire in un ambito interno al suono, che procede per terzi e quarti di tono). Nel Vangelo di Giovanni, l’artista Dio crea per mezzo del suono/parola: “In principio era il Verbo”. Tornando alla tua domanda, “poesica” è un neologismo creato dal musicologo Renzo Cresti (autore della prefazione di “Suoni ulteriori”) proprio ad indicare, nei miei lavori, la fusione del suono-parola; “poesia e musica contratte in un solo termine”.
Nei tuoi brani musicali, come trasformi le emozioni e le visioni poetiche in suoni? C’è un processo particolare che segui per catturare l’essenza di un testo poetico nella tua musica?
Prima di tutto, vorrei dire che la parola e il suono, quando scrivo un lavoro, nascono insieme nell’atto creativo, inscindibilmente. Tutto nasce dal confronto con la realtà, con la contingenza storica che ci accoglie. Distinguo un reale sociale da un reale effettuale. Il primo, è costituito dalla rete invisibile, le costruzioni ramificate create dalla nostra società e che rendono difficile la ricerca della Verità poetica. Paradossalmente, si assiste alla cristallizzazione del modus operandi e dei vari “colori” generati dalla nostra cultura – dei vari modi che nel passato ci consentivano di essere uomini – tanto che si è generata una vera e propria standardizzazione della creazione artistica, come pure dell’interpretazione (ciò vale anche per la musica Pop e spesso, purtroppo, anche per la musica di ricerca). Allo stesso tempo tale cristallizzazione ha generato una sorta di caleidoscopio in cui risulta chiara la complementarità di atteggiamenti o configurazioni che in passato apparivano contrastanti. Certe figurazioni musicali e conseguenti sonorità durante il periodo della Guerra fredda, ad esempio, che erano etichettate come di Destra nel blocco orientale, erano in effetti di Sinistra nel blocco occidentale. Dunque, tutto dipende dall’angolazione dalla quale inquadriamo l’oggetto sonoro. Tornando alla domanda, avere a disposizione una tavolozza di colori molto ampia e considerare le varie prospettive di lettura, consente di superare – lo dico senza cautela – la barriera creata da tale caleidoscopio (le costruzioni ramificate) e di proseguire, tramite il suono, il cammino verso la Verità poetica nascosta dietro le cose (parafrasando Pascoli). Riguardo ai processi utilizzati, io credo molto nell’artigianato e amo i procedimenti “invisibili” presenti nella musica dei fiamminghi ed in Bach. Nelle possibili riletture contemporanee di tali procedimenti, si può lavorare a più livelli, sia per quel che concerne la composizione musicale, sia per la composizione poetica. Mi riferisco a rifrazioni di suoni (più o meno simmetriche). Anche formalmente l’organizzazione dei suoni investe sia la dimensione della parola, sia quella del suono. In generale, il senso della forma è comune a tutte le arti, perché appartiene al dominio della percezione umana. Naturalmente, in ciascun contesto il materiale prende forma secondo le differenti caratteristiche tecnico-realizzative (visive, sonore, etc.).
Riguardo ai procedimenti, nella raccolta sono presenti quattro sonetti, ma in genere le poesie sono composte in versi sciolti (anche se ho notato riferimenti più o meno liberi a distici, quartine e terzine). Puoi spiegarci l’importanza del metro e del ritmo nelle tue poesie?
Metro e ritmo sono due elementi fondamentali ed il loro utilizzo è sempre rigoroso, anche quando non ho utilizzato una forma poetica storicamente sedimentata, come appunto quella del sonetto. Da un punto di vista ritmico, i versi sciolti contengono un gioco di rimandi e di proporzioni numeriche tali da risultare rigorosi, quindi apparentemente sciolti (nel senso di liberi tout court). Molti dei procedimenti sono presi in prestito o, meglio, trasposti, da strategie compositive tipicamente musicali. Alcune poesie non utilizzano la punteggiatura, ma scandiscono il ritmo per mezzo del suono di sillabe e verso, degli enjambement e della conformazione simmetrica o asimmetrica delle strofe.
Perché, dunque, inserisci quattro sonetti nella raccolta?
È stata una necessità interiore-creativa. Mi considero un cittadino del mondo, nel senso che la dimensione del viaggio ha sempre rappresentato un valore fondamentale anche esteticamente, per scoprire nuove possibili angolazioni e prospettive da abitare e dalle quali poter inquadrare la realtà. Allo stesso tempo, ciò non vuole dire perdere la propria essenza: anzi, questa, pur modificandosi, si rafforza soprattutto in termini di radici culturali ed esistenziali. Il Sonetto è un genere letterario tipicamente italiano, stilnovistico. Dunque, il suo utilizzo è come abitare e rivendicare la mia nazionalità letteraria, culturale ed anagrafica.
Quasi tutte le poesie in Suoni ulteriori presentano una data, ma non sono disposte in ordine cronologico. Qual è il motivo di tale scelta?
Ho organizzato Suoni ulteriori secondo un ordine logico, dunque non cronologico. Il motivo di ciò lo si trova – te lo esprimo poeticamente – nella ricerca di un “tempo altro, astorico, o metastorico” (seguendo i versi di Stanze), da cui poter estrapolare degli elementi che nel tempo restituiscano la metafora della realtà che ho vissuto e, nel dettaglio cronologico, ne divengano “fotogramma di un ricordo”. Cerco quasi una dimensione atemporale… Il tuo lavoro compositivo sembra spaziare attraverso diverse forme e stili musicali, come lascia forse intendere l'”intrasonico polifonico” descritto dai versi della poesia “Madrigale”. Come integri queste influenze e tecniche nella tua composizione per creare un’esperienza sonora unica?
Lavorando all’interno del suono e “fuori” da esso, in un ambito più tradizionale, si ha la possibilità di modificare la nostra distanza dall’oggetto sonoro e, dunque, anche la prospettiva di lettura. È come osservare un prato e poi inquadrare in dettaglio un filo d’erba e coglierne, al microscopio, le dinamiche interne. Una sorta di “ipotiposi percettiva” nel rapporto con la realtà e, nella fattispecie, con il suo corrispettivo musicale.
Il tuo libro è arricchito dalla copertina tratta dall’opera “Il vento dell’ovest” della pittrice Emma D’Alessandro. Qual è il legame tra le arti visive e la tua musica, e come quest’opera pittorica si collega al contenuto del libro?
La sillaba, le vocali, il suono delle consonanti, le emissioni sonore provenienti dalle parole, dalla voce o dagli strumenti musicali rappresentano per me un insieme di tasselli di “mosaico” che prendono forma sempre diversa nelle “tensioni” generate dalla loro collisione, fra gli intervalli e all’interno degli intervalli quando diventano suono puro. In alcuni miei versi, nei frammenti di testo che ho utilizzato per il mio brano per soprano e violino Frammenti Lirici, ad esempio, l’elemento fonetico diventa quasi totalmente determinante. Ho addirittura una sensazione tattile e visiva durante l’atto creativo sonoro (sia musicale, sia poetico). In questo senso, realizzare un film di animazione d’arte come Magasin de métaphores (Cavallone si è avvalso della collaborazione di un illustratore, Cristiano Morandini, ed ha curato la regia, le musiche e la sceneggiatura poetica, nda) è stata la naturale conseguenza di un confronto col reale inteso come restituzione sensoriale totale. Posso dire senza esitazione che, nei miei lavori musicali e di poesia, il passaggio dall’immagine al fonema, dal suono significante al significato semantico (molteplice) avviene inevitabilmente senza soluzione di continuità. Il quadro Il vento dell’ovest, in copertina, mostra il vento che soffia sugli alberi, sembra quasi di udirlo e di percepirlo: mi sembra l’immagine giusta per descrivere e sintetizzare la raccolta; dunque, ho chiesto all’autrice di poter utilizzare questa sua opera davvero suggestiva.
“Suoni Ulteriori” offre chiaramente un’introspezione profonda nella tua vita e nel tuo percorso artistico. Qual è il messaggio principale che desideri trasmettere ai lettori attraverso questo libro e la tua musica in generale?
La mia è una restituzione sincera dell’esito del mio confronto totale col reale. Si tratta di una ricerca percettiva in fieri, di una libera offerta che coinvolge tutti gli aspetti della mia esistenza e che diviene scambio continuo con il pubblico e con chi si avvicina al mio lavoro.