Il titolo completo è “1973, l’anno cruciale della musica raccontato in 73 dischi leggendari”. Premesso che per me ogni anno, dal fatidico 1954 di “That’s All Right, Mama” di Elvis, il rock ha prodotto dischi grandiosi e non ci credo alle linee di confine, dove c’è un prima ed un dopo. La storia del rock è lineare, ha periodi importanti sempre, serve solo aver voglia di cercare e di scendere dal podio delle nostre certezze. Non c’è dubbio che qualche anno abbia prodotto momenti più significativi di altri e il 1973 è uno di questi.
Quindi accettiamo la teoria del valente trittico di autori che coordina questo corposo volume, che vede nel 1973 un istante indimenticabile, creativo e produttivo per la storia del rock e ci addentriamo nella lettura. Piace e tanto la parte introduttiva, dove i tre redattori aprono lo scrigno dei ricordi e ci raccontano non solo il loro 1973, ma soprattutto cosa ha significato nelle loro vite la musica. E ci si emoziona, perché in ogni parola che leggiamo ci siamo anche noi, malati cronici di musica.
Segue la parte delle schede analitiche dei dischi, affidata, oltre ai tre autori, anche a numerosi collaboratori, tutti nomi di peso nel giornalismo musicale italiano, come dimostra la qualità della scrittura, le argomentazioni e la narrazione, che parte dalla musica per arrivare a toccare gli argomenti più disparati. Ogni disco è raccontato dal punto di vista artistico, creativo, con analisi profonde, dove scendono in campo nozioni biografiche, comparazioni stilistiche con il periodo, ma anche all’interno della discografia stessa della band o dell’artista in questione.
Naturalmente la selezione non si è fermata alla superficie, andando a pescare anche dischi apparentemente marginali, ma che il tempo ha invece certificato come significativi, spesso ad un passo dal capolavoro. E per me è questo il motivo di maggior interesse del libro, in fondo non è così importante leggere l’ennesima recensione di “The Dark Side Of The Moon” dei… (va bè lasciamo perdere) o di dischi di Genesis, Stooges, David Bowie, Uriah Heep e Deep Purple, mentre è molto più interessante scoprire cosa è stato scritto di “Zarathustra” del Museo Rosenbach o perché è stato giustamente trovato spazio per “High On The Hog” dei Black Oak Arkansas o per “Inside” degli Eloy. In fondo in un libro non cerchiamo la superficialità dei social, dove tutti si sono trasformati in esperti, nel tempo di un “reel” o di un “tik tok”, sulle pagine di carta voglio trovare la competenza, la passione, l’accuratezza di informazioni che vadano oltre i copia/incolla da Wikipedia. E, fidatevi, in questo volume la competenza scorre in abbondanza.
Manca qualche disco importante? Probabilmente si, non ho assunto un detective per scoprirlo, ma io qualcosa avrei cambiato, ma si tratta di considerazioni personali, che non intaccano la bellezza di un volume che si auspica venga replicato anche per qualche altro anno, altrettanto significativo. Magari il… Alt, non cado nel tranello, la storia del rock non ha limiti, oggi è già ieri.
Libro bello che trabocca amore e conoscenza!
Una considerazione a margine: prima di stendere questo pezzo mi sono chiesto se fosse corretto deontologicamente scrivere di un libro a cui ho contribuito. Poi ho pensato che quattro pagine su 446, non potevano diventare motivo di discussione. Amen!