Convinto che noi tutti viviamo attraverso i nostri figli, generazione dopo generazione, Eric Clapton scrive un altro pezzo, dopo Tears In Heaven, nel quale racconta di vedere gli occhi di suo padre attraverso quelli del figlioletto Conor: My Father’s Eyes
Il 20 marzo 1991 il piccolo Conor, 4 anni, figlio della soubrette italiana Lory Del Santo e della leggenda del rock Eric Clapton precipita dal 53esimo piano di un grattacielo a Manhattan.
L’incidente, avvenuto perché una donna delle pulizie pare avesse incautamente lasciato aperta una finestra, accade poche ore prima che Clapton andasse a prendere suo figlio per portarlo al circo.
Segnato in modo profondo da questa tragedia, il grande chitarrista trova la forza e il coraggio di comporre una canzone, Tears in Heaven, dedicata al bimbo che non c’è più.
Rifugiatosi nell’isola di Antigua, nel mar dei Caraibi, Clapton usa la musica come terapia. Convinto che noi tutti viviamo attraverso i nostri figli, generazione dopo generazione, scrive un altro pezzo nel quale racconta di vedere gli occhi di suo padre attraverso quelli del figlioletto Conor.
Cresciuto con i nonni (convinto, sino ai 12 anni che fossero i suoi genitori) Eric non ha mai conosciuto suo padre che si sarebbe fatto vivo con lui solo dopo che il musicista aveva raggiunto successo e notorietà internazionali.
Il brano in questione, My Father’s Eyes, trasmette in modo esplicito il dispiacere del grande chitarrista per non aver potuto avere una vera relazione con suo papà. Pubblicato nel 1998 nell’album Pilgrim, la canzone (così come Tears in Heaven) dal 2004 non verrà più eseguita dal vivo. Perché, spiega lo stesso Clapton, non prova più il senso di perdita e di dolore che, con il tempo, sono stati elaborati. Lui ha bisogno di emozionarsi. Riprenderà quelle canzoni più recentemente, probabilmente osservandole da una diversa prospettiva.