Pubblicato dall’etichetta Filibusta Records, “Casa” è il disco d’esordio di Federica Cerizza. Un progetto interamente registrato in piano solo in cui il jazz si sposa alla perfezione con la musica classica. Ne abbiamo parlato a tu per tu con la musicista.
Federica per cominciare come descriveresti il tuo album
“Casa” è un album che racchiude un’idea: la musica è un’attività autenticamente umana, aggregante, vitale. Ovunque bisognerebbe fare musica dal vivo, in ogni angolo. Per stare bene e far star bene gli altri. Io ho iniziato da casa mia, aprendola a degli house concert dove chiunque può godere della musica in un contesto intimo e famigliare, come accadeva per la musica da camera di qualche secolo fa o in alcuni loft americani negli anni ‘70. E’ come un segnale di rinascita, di vita, in contrapposizione alla solitudine e alla tristezza che ci circondano in questo periodo storico. Mi sento in prima linea per contribuire a cambiare le cose, partendo dal piccolo. Casa diventa quindi un luogo fisico e interiore: sentirsi a casa, da qui titolo dell’album. La musica del disco nasce dall’unione dei mondi musicali a cui sono più affezionata: il jazz, la musica classica, l’improvvisazione libera e alcune atmosfere del rock progressive.
In un panorama di dischi in trio, quartetto, o al limite in duo, cosa ti ha spinto a un album di piano solo?
Il piano solo è la dimensione più antica e personale che ho, mi accompagna da sempre, dall’infanzia ad oggi. Sedersi al pianoforte con lo scopo di cercare i miei suoni e dar loro senso e logica fino a costruire un discorso è qualcosa di cui ho ricordo dal momento stesso in cui ho messo le mani su un pianoforte. E’ la mia parte più autentica e personale, la cosa più onesta che posso offrire. Quando ho pensato al mio primo album è stato quasi automatico pensare ad un piano solo.
In questi anni ho avuto occasione di suonare in tante formazioni, dal duo a piccoli collettivi di improvvisatori, suonare con gli altri è meraviglioso e fa parte delle esperienze più belle che la musica e la vita possano regalare. Tuttavia per ora nulla mi è più caro e sento più vero dell’immaginario musicale che ho creato al pianoforte nell’arco di questi vent’anni di musica e di studio. E’ la mia fantasia, il mio modo di sentire la musica. In questo momento non c’è niente che mi rappresenti di più del piano solo.
Il rapporto tra le canzoni e i quadri ai quali sono abbinati? Da dove è partita l’ispirazione?
Prima c’è sempre la musica. Sono convinta che la musica abbia un significato intrinseco in sé, come pura arte del suono, e non necessiti di parole per essere spiegata o immagini per essere resa meno astratta. Esiste però un pubblico oltre al musicista e io sono assolutamente convinta della necessità di andare oltre una nicchia di soli amatori o appassionati. La musica deve e può arrivare a tutti, a volte basta poco per superare certe barriere. Con gli house concert che organizzo a casa mia tocco con mano questa consapevolezza, tutti restano affascinati dalla musica e dall’energia che si crea.
Quando ho incontrato Laura Cignacco, l’autrice dei quadri, abbiamo ragionato su questo: dare una chiave di lettura in più per immergersi nella musica, pensando soprattutto a un tipo di ascoltatore che magari è sì affascinato dalla musica, che la cerca, ma che non è il classico appassionato di jazz, di classica. Dal mio punto di vista è un ottimo pubblico quello che dal nulla resta colpito da un tipo di musica che non ha mai ascoltato prima. I quadri sono un linguaggio in più e sono pensati per circondare il pianoforte durante i concerti. Laura è stata completamente libera di creare le tele, non le ho dato nessun tipo di indicazione, le ho solo fatto ascoltare i brani. Per me sono quadri bellissimi, ad altissimo impatto visivo.
C’è un filo conduttore all’interno dell’album?
Musicalmente il filo conduttore è il linguaggio dell’improvvisazione. Nulla di questa musica è scritta a tavolino, tutto nasce da idee fiorite al pianoforte e lavorate per molti mesi.
L’altro tema che unisce i brani è proprio il concetto di Casa, di cui ho parlato prima.
Fare da soli porta a decisioni più rapide o a riflessioni più lunghe?
Un po’ a entrambe le cose. Fare da soli rende tutto il lavoro snello nelle sue parti più pratiche: da scegliere la data in cui registrare fino a cercare date per i concerti live. Tutto va via liscio. Sulla quantità di riflessioni e ripensamenti lascio immaginare. Quando è tutta farina del proprio sacco l’unica testa che è davvero dentro al progetto è la propria. Non ci sono molti altri a cui chiedere consigli!
Come evolverà il lavoro in futuro, ti vedi ancora al piano solo o pensi ad un album con altri musicisti, o solo come featuring?
Il prossimo album sarà sicuramente pensato per una formazione, dal trio in su. Ho in mente una sonorità da raggiungere, le persone che mi piacerebbe avere al mio fianco e dei brani nuovi su cui lavorare. La dimensione del piano solo in ogni caso mi accompagnerà per tutta la vita.
Come porterai lo spettacolo dal vivo, sempre in solo, o ci saranno delle occasioni dove non suonerai da sola?
Questo spettacolo in particolare è pensato come piano solo, con il pianoforte circondato dalle tele di Laura. Non escludo però occasioni in cui durante il concerto suonerò con musicisti che stimo e che mi stanno accompagnando nel mio percorso. Credo che anche alcuni brani dell’album possano essere adattabili a formazioni diverse dal piano solo. Sperimenterò!