Il gran finale della trentasettesima edizione del Romaeuropa Festival rappresenta la rara opportunità di riscoprire uno dei massimi capolavori del XX secolo. Dopo l’esecuzione di Drumming di Anne Teresa De Keersmaeker e di O Sentimental Machine di François Sarhan, Ictus Ensemble torna al festival, domenica 20 novembre all’Auditorium Parco della Musica “Ennio Morricone” (ore 17), in corealizzazione con Musica per Roma per presentare, in prima nazionale, la propria versione di Einstein on the Beach, il grande classico della seconda metà del Novecento scritto da Philip Glass.
Una versione musicale eseguita in esclusiva italiana al REF2022 nell’ambito del tour che ha portato l’ensemble fiammingo nelle più importanti istituzioni musicali europee al fianco del coro Collegium Vocale Gent e dell’acclamata Suzanne Vega nel ruolo di narratrice. 200 minuti di musica che rappresentano una vera e propria sfida fisica e mentale per i musicisti coinvolti, disegnando un tempo e uno spazio di condivisione con il pubblico, strutturato dal suono ma caratterizzato da una fruizione libera e personale. Questa esecuzione di Einstein on the Beach cancella, infatti, il divario tra platea e palcoscenico: le porte del teatro saranno aperte per tutta la durata della performance musicale permettendo agli strumentisti di muoversi sul palco e al pubblico di entrare ed uscire liberamente dalla sala come nelle indicazioni originali degli autori. «Presentiamo un approccio musicale puro all’intera partitura della leggendaria opera Glass/Wilson in cui le parti strumentali e canore virtuose e la struttura cristallina del pezzo sono esaltate da un approccio site-specific e da un sofisticato sound design», racconta l’ensemble Ictus, «Il fulcro di questa produzione è la partitura musicale stessa e il suono musicale del libretto. Optiamo per un’esibizione di lunga durata (molto vicina alla partitura completa composta per l’opera vera e propria). In questo modo vogliamo creare un bagno sonoro minimalista di oltre 3 ore di durata che si ricollega alla freschezza e alla radicalità del primo minimalismo. Le porte della sala da concerto saranno aperte per tutta la sua durata (il pubblico è libero di entrare e uscire), il divario tra palcoscenico e pubblico si offusca grazie all’intervento visivo di Germaine Kruip per essere visto come un’installazione di arte contemporanea».
Einstein on the Beach viene presentato per la prima volta nel 1976 nella sua versione originale da Philip Glass e Bob Wilson, coautore e regista, lo stesso anno di “Music for Eighteen Musicians” di Steve Reich: con questi due capolavori il minimalismo americano esce finalmente dall’ombra della scena underground per incontrare improvvisamente un vasto pubblico. Il lavoro si discosta notevolmente dalla concezione tradizionale di opera: non prevede ruoli cantati o una trama lineare – il libretto è piuttosto composto da frammenti di testi firmati principalmente da Christopher Knowles, un giovane autistico che Wilson (che all’epoca lavorava ancora come assistente sociale) aveva in carico. A questo si aggiungono i testi di due collaboratori dello spettacolo, l’attore Samuel Johnson e la danzatrice-coreografa Lucinda Childs. Il coro intona per tutta la parte testuale, serie di numeri o nomi di note, consentendo all’ascoltatore di concentrare la propria attenzione sugli schemi ritmici e sul contenuto armonico della musica. Un tipo di opera, dunque, mai visto fino ad allora: non narrativa, statica, basata su immagini e testi associativi e un dispiegamento quasi rituale in cui il minimo movimento è coreografato con precisione chirurgica.
«Einstein on the Beach si inscrive nella breve e ricca storia dell’anti-opera. La disgiunzione testo-musica ne è la regola. I cori non cantano altro che il nome delle note secondo il sistema latino (do re mi fa sol…) o i numeri in inglese (uno due tre…) Il libretto stesso – sempre parlato, mai cantato, consiste di un insieme di testi poetici affidati a interpreti (qui, in questo caso specifico, alla sola Suzanne Vega) e suscettibili di diverse combinazioni. Parte di esso dovrà essere recitato a velocità elevata, senza favorire la comprensione, per le sole qualità musicali e strutturali del discorso. “È uno spettacolo codificato come la musica. Come una cantata o una fuga, procede per combinazioni di pensieri ripetuti e variazioni», osservava Bob Wilson. Nella versione di Ictus Enseble Suzanne Vega fornisce una lettura personale del libretto astratto originale. Ampiamente conosciuta per i suoi brani in cima alle classifiche degli anni ’80 come “Tom’s Diner” e “Marlene On The Wall”, funge da narratore multi-personaggio, mettendo in risalto il collage di voci nei testi di Christopher Knowles, Samuel M. Johnson e Lucinda Childs per fornire un’unità drammaturgica tra tutti i componenti. Einstein on the beach porta ancora le tracce degli esperimenti musicali radicali che Philip Glass condusse nella sua giovinezza, pensati come ‘studi’ formali (musica in quinte, musica in movimento contrario) e si sviluppa accumulando brevissimi brani musicali e motivi sottoposti a processi di aumento o sottrazione aritmetica che abbagliano l’ascoltatore. L’opera è scritta per coro e ensemble amplificato, una formula ibrida tra ensemble da camera e un gruppo pop (all’epoca modellato sul Philip Glass Ensemble): due tastieristi che suonano organi e sintetizzatori, sassofoni, flauti e clarinetto. In aggiunta a ciò Glass chiede un violinista solista, che avrebbe dovuto essere l’incarnazione del personaggio dello stesso Albert Einstein. «Alcuni amanti della musica potrebbero preferire che la musica di Philip Glass sia suonata pomposa e neoclassica; suggeriamo loro di restare a casa. Il nostro cuore è decisamente con l’estetica del suo primo disco in vinile North Star, 1977, in cui ricorre un certo approccio che alcuni critici hanno definito “alterminimalismo”» conclude Ictus