La cantautrice milanese ci racconta il suo nuovo sorprendente album, in uscita per Squilibri
Da Milano a Napoli il passo non è breve, ma Patrizia Cirulli trova una chiave per gettare un ponte tra due mondi e due culture, creando, sul filo dei pensieri arguti e delle parole fantasiose di Eduardo, un’opera coesa e credibile, per nulla scontata. Chi meglio di lei può accompagnarci in un percorso attraverso le ragioni, le intenzioni e la genesi del progetto?
AH: Nel tuo nuovo disco si incontrano geografie – non solo fisiche, ma anche “sentimentali” – apparentemente molto distanti tra loro. La prima ovvia domanda riguarda l’origine della tua fascinazione per Eduardo e per l’universo della canzone napoletana.
PC: Ho sempre apprezzato molto la canzone napoletana, ma non mi ero mai avvicinata a quel tipo di repertorio. La prima poesia di Eduardo che ho musicato è stata “Quanno parlo cu te”. Bisogna fare un passo indietro e tornare all’album “Mille baci” che ho pubblicato nel 2016, un lavoro in cui avevavo musicato poesie di grandi poeti (Quasimodo, Catullo, D’Annunzio, Pessoa, Merini e altri) in forma canzone. In quel progetto compariva anche la poesia di Eduardo. E’ stata una cosa misteriosa e magica. Incontrando le sue poesie è scattato qualcosa che mi ha portato in quel mondo, mi ha affascinato e quasi rapito. Ho musicato le dieci poesie di Eduardo tra febbraio e marzo 2013. Dopo la prima, mi sono innamorata e sono andata avanti. Testi straordinari di grande bellezza e profondità. E’ stato davvero sorprendente e straordinario entrare nel mondo musicale in cui mi hanno portato quei testi.
AH: Una delle cose più sorprendenti, all’ascolto, è il fatto che le canzoni del disco non sembrino l’elaborazione musicale di testi a sé stanti, ma piuttosto delle canzoni già concepite in questa forma. E’ come se tu fossi entrata in punta di piedi in casa di Eduardo ma senza chiudere fuori dalla porta Patrizia. Come si è svolto il lavoro di adattamento e quali difficoltà hai incontrato (se ne hai incontrate)?
PC: Sono d’accordo con quello che dici, ed è in effetti proprio quello che succede quando musico poesie. L’obiettivo è farle “suonare” come delle canzoni, i poeti fanno la parte dei “parolieri” in qualche modo. E’ un’arte in cui mi sono un po’ specializzata nel tempo, tanto da guadagnarmi la definizione di “musicapoeti”!!! E poi, sì, entro proprio in punta di piedi, con grande rispetto nei confronti del testo e del suo autore. Attraverso la mia percezione emotiva e musicale entro nel “suono” delle parole e nel loro significato per ricavarne quella musica che si va poi a sposare con loro. Parto quindi dall’ascolto del testo in ogni sua declinazione e in qualche modo inizia spontaneamente a crearsi un’idea musicale che vado a svilippare. Non ho incontrato nessuna difficoltà nella composizione, è stato un processo creativo molto spontaneo e naturale. Ho dovuto studiare per avere una corretta pronuncia del napoletano e mi sono attenuta alle versioni interpretate da Eduardo che ho trovato. Un ringraziamento particolare lo rivolgo agli eredi De Filippo per avermi accordato i permessi per poter realizzare questo disco.
AH: E’ proprio per mantenere questo equilibrio di personalità e linguaggi che nella definizione della veste sonora e in determinate inflessioni stilistiche hai fatto scelte non “filologiche”?
PC: Come ti dicevo mi avvicino al testo, che considero sacro nella sua forma originale, con grande rispetto e umità. Non tocco nulla, nemmeno una singola parola. Riesco a individuare quelle che possono essere le strofe ed un eventuale ritornello per poter costruire la forma canzone. Da qui, nel caso, vado a riperete alcune parti del testo per creare al meglio il brano. Le musiche che sono nate hanno echi che rimandano alla musica da camera, antica, mescolando anche il contemporaneo fra canzone d’autore e folk. Le parole mi hanno condotto a questo mondo sonoro, è stato davvero come entrare in un’altra epoca. Vorrei citare e ringraziare i musicisti straordinari che hanno suonato nel disco, a cominciare da Marcello Peghin che ha suonato tutte le chitarre e a cui è stata affidata la direzione musicale del disco. Poi Maria Vicentini, Salvatore Maltana, Mauro Palmas, Paolo Zuddas e Salvatore Corazza. E ringrazio profondamente i due grandi artisti che hanno duettato con me in due brani: Fausta Vetere (NCCP) e Dario Sansone (FOJA).
AH: Squilibri è una delle realtà italiane più attente nei confronti della musica tradizionale e d’autore e non mi stancherò mai di ripetere che le sue edizioni, sempre estremamente curate, testimoniano una radicata cultura del rispetto per l’opera, per gli artisti e per gli ambiti di indagine. Come è nata la vostra collaborazione?
PC: Corcordo su quanto dici riguardo a Squilibri, proprio per queste motivazioni ho pensato subito a questo tipo di scelta per il progetto su Eduardo. Squilibri è un editore che valorizza la musica d’autore, tradizionale e i progetti culturali. Queste poesie musicate erano nel cassetto dai primi mesi del 2013. Quando ho deciso di pubblicare il disco ho fatto ascoltare i brani a Squilibri che ha da subito apprezzato il lavoro e deciso quindi di pubblicarlo con grande interesse ed entusiamo. Vorrei anche segnalare la bellissima introduzione al disco scritta da Pasquale Scialò e i dipinti creati da Beppe Stasi che si trovano nel libretto.
AH: Porterai il disco in tour? Ci sono già delle date?
PC: Certo; abbiamo presentato il disco a Milano e stiamo organizzando le date che verranno. Il 10 e 11 gennaio al MA di Catania, il 12 gennaio a Palermo al Teatro Jolly, poi ci sarà Napoli, Roma, la Sardegna. Fra l’altro il disco è stato registrato ad Alghero e sarò felice di poter presentare il lavoro anche in questa città bellissima e mi auguro di poter portare questo lavoro anche all’estero.
AH: Pensi di tornare a proporre in futuro materiale completamente originale o gli spazi per il nuovo si sono ormai talmente ristretti da obbligare gli artisti a cercare ossigeno, attenzione e pubblico in progetti a tema?
PC: Arriverà sicuramente il momento in cui presenterò anche materiale completamente inedito, ma sai considero questo disco, cosi come l’album “Mille baci”, una sorta di “nuovo” perchè nuova è la veste che indossano i testi dei poeti che ho scelto. Poi io mi muovo seguendo quello che mi appassiona, senza cercare scorciatoie. È vero che gli spazi oggi sono pochi e talvolta anche ridotti per le proposte musicali di un certo tipo, ma il motore che innesca il mio interesse verso un fatto artistico è sempre qualcosa che viene da quello che sento e crea in me entusiasmo.
AH: Più in generale, come vedi il panorama musicale e culturale in Italia e in Europa in tempo di guerra e pandemia?
PC: Non è il momento più felice che ci si possa augurare ovviamente. La musica è da sempre elemento anche consolatorio. E’ bene avere una “musica” dentro di sé, che a volte può coincidere anche con il silenzio, perchè anche il silenzio è musica. Riscoprire il silenzio può essere un passaggio importante anche per arrivare a fare chiarezza e magari riscoprire la bellezza dell’essenziale. Anche, e forse soprattutto, in questo momento. Superando il superfluo e, talvolta, anche l’inutile, si può puntare ad abbracciare la verità delle cose e quindi anche una sorta di verità nella musica.
AH: La bellezza può ancora salvare il mondo o tutto sommato meritiamo di estinguerci?
PC: Può farlo, ma dipende da noi. Ognuno deve contribuire come può e con quello che ha a disposizione. Fare le cose tanto per fare non ha senso. Bisogna impegnarsi, avere cura, affinchè la bellezza non rimanga solo una parola, ma diventi pratica quotidiana da coltivare in ogni campo dell’esistenza. Musica compresa.