Si intitola “Teju” il disco d’esordio del chitarrista Filippo Loi pubblicato dall’etichetta Emme Record Label con la partecipazione di Carlo Bavetta al contrabbasso e Lorenzo Attanasio alla batteria. Un progetto in cui il jazz si sposa con la tradizione del Mediterraneo e con quella sarda lasciando ampio spazio alla musica rock. Ne abbiamo parlato con il leader di questo trio.
Filippo per cominciare l’intervista parliamo della storia di questo progetto: come è nato questo trio e come è partita questa nuova avventura?
Ciao! Durante il primo lockdown ho avuto un po’ di tempo da dedicare alla composizione. I brani sono stati scritti per la formazione in trio e avevo in mente di suonarli con Carlo e Lorenzo, conosciuti durante i corsi al conservatorio di Milano. Ci siamo ritrovati in sala prove nel post lockdown e abbiamo provato a suonare i brani e migliorarli insieme. Da quel giorno abbiamo deciso di continuare a lavorarci per dare alla musica un suono personale, parlando di quelli che sarebbero potuti essere i nostri progetti, come ad esempio Teju. Teju è un disco che unisce elementi della musica tradizionale sarda con il jazz e anche con il rock. Ce lo vuoi descrivere brevemente? La musica che ho sempre ascoltato è il rock. Questo genere è arrivato per primo ed è tuttora uno dei miei preferiti. Man mano che crescevo ho incontrato il blues e poi il jazz, decidendo così di intraprendere gli studi in conservatorio. La musica tradizionale sarda, nei suoi vari generi e nelle sue componenti sociologiche, mi accompagna da quando son nato. Per ovvi motivi, tutta questa musica sta nelle mie orecchie e mi ha formato come musicista. Ora sono diplomato in jazz e ho studiato i grandi del be-bop. Permangono comunque i lunghi anni di Ritchie Blackmore, Hendrix e Jimmy Page. E’ molto difficile non inciampare nel pedale dell’overdrive.
Quanto è importante per te la tradizione musicale del tuo paese e quanto ti ha influenzato nella tua produzione artistica?
La musica tradizionale sarda per me è importante. Sto cercando di studiarla in maniera approfondita. Oltre il lato storico e sociologico, suonare decentemente le launeddas, cantare con le tecniche utilizzate dai tenores o perlomeno studiarne il funzionamento richiede molto tempo e molta pazienza. Credo che studiarla e inserirla in altri contesti sia un buon modo per dar continuità alla tradizione.
Quali sono i brani in cui è più presente la tradizione sarda?
Dipende di quale tradizione parli. Se intendi quella enogastronomica, c’è in tutti i brani. Mi piace comporre con un bicchiere di cannonau sulla scrivania… Scherzo! La musica tradizionale sarda è incredibilmente vasta. Dai balli agli strumenti, passando per i canti a tenore e i cori. Per varie ragioni le armonie e i ritmi mi hanno influenzato da quando sono piccolo. In teju, tuttavia, mi è venuto spontaneo dare priorità alla funzione sociale della musica sarda. Ad esempio, “Anninnia” è la ninna nanna musicale sarda: fondamentale per educare i giovani alla musica, è caratterizzata da una melodia semplice, facilmente memorizzabile e priva di virtuosismi così da agevolare i piccoli all’apprendimento delle loro prime note. Inoltre l’armonia maggiore e la scansione ritmica nel mezzo del brano mi riporta alle sonorità dei balli della mia isola. Su Teju, d’altra parte è una nenia funebre antichissima. Ne ho ripreso il titolo dando la mia personale visione del genere musicale in questione.
Questo disco è nato nel 2020 durante i mesi di lockdown. Ci vuoi raccontare come ci hai lavorato?
Ho lavorato in casa senza distrazioni. Il processo è stato relativamente breve quanto intenso e concentrato. Nei giorni in cui ho composto Teju non ho fatto altro. A causa del covid facevo delle pre-produzioni con in Mac che spedivo a Carlo e Lorenzo. Loro registravano le loro parti. Abbiamo iniziato a provare così. Al mio fianco c’era sempre la mia amica a quattro zampe Hibbie, rispettosissima del lavoro di composizione, tranne quando aveva fame.
Invece quali sono i tuoi principali riferimenti musicali?
Tanti, troppi. Sono affascinato dal jazz che trova freschezza nella composizione. Primo fra tutti metterei Pat Metheny, unico e inimitabile. Ma ci sono anche tanti altri musicisti che potrei ascoltare per il resto dei miei giorni, musicisti per cui farei i salti mortali per trascorrerci un ora insieme. Wes, Miles, Parker, Monk sono solo alcuni nomi. Tra i contemporanei adoro il lavoro di Scott Henderson, vero punto d’unione chitarristico tra jazz e rock. Due musicisti di fama mondiale (nonché miei conterranei) che mi hanno influenzato sono Paolo Fresu e Paolo Angeli non solo per le indiscutibili qualità musicali ma anche per il lavoro strepitoso di recupero della musica sarda. Loro due l’hanno portato in giro per il globo.
Un’ultima domanda per concludere. Quali potrebbero essere invece le evoluzioni di questo progetto? Stai già pensando in sintesi a qualcosa di nuovo?
Teju, in tutti gli aspetti della sua realizzazione mi ha impegnato parecchio. Adesso mi butto nuovamente nello studio dei musicisti che ascolto sui dischi e proverò a comporre della nuova musica. Qualcosa c’è già. Mi piacerebbe inserire in qualche brano un pianoforte, una voce e degli strumenti a fiato.
E invece ci sono dei concerti o dei live di cui ci vuoi parlare?
Sicuramente il primo concerto del trio al garage moulinski, in occasione del festival jazz di Milano è uno dei miei migliori ricordi. La sala era piena di ascoltatori, tra cui numerosi colleghi dai quali ho avuto feedback positivi. Adesso, con il disco realizzato, proveremo a preparare un nuovo concerto in occasione dei festival della prossima stagione.