Nel disco in uscita per Squilibri, il cantastorie ricostruisce un racconto di voce in voce lungo le sponde del fiume
Simone Saccucci, muovendosi in un territorio contiguo alle sue abituali frequentazioni, esplora qui la dimensione narrativa del canto, sovrapponendo alla parola nuda registri espressivi che vanno dalla preghiera alla ninnananna, dalla leggenda al ricordo. Non c’è spazio però per autoindulgenti nostalgie o per seppiature incorniciate: che si tratti di brani originali o tradizionali, il suono asciutto della voce e degli strumenti – accostati con criterio per nulla filologico ma con esito assolutamente credibile – ha il sapore aspro e sacrale della verità e tiene avvinti come un racconto intorno al fuoco. Tra le ombre proiettate dalla fiamma, al confine labile tra realtà e immaginazione, prendono forma storie di vita e di morte, di padri e figli, di partenze e ritorni, di lavoro d’amore.
La poesia di Erri De Luca, restituita alla voce antiretorica dell’autore, ha l’essenzialità del pane e la precisione del coltello nel tagliare il silenzio che monta tra un canto e l’altro.
Sullo sfondo, l’acqua dell’Aniene che scorre in un eterno divenire, abbracciando ora come una madre amorevole ora come un padre severo, le piccole grandi vicende dei suoi figli senza nome, consumate ai margini della Storia.
Simone Saccucci, “Dejj’arbole. Canti e storie della valle dell’Aniene” (Squilibri, collana Crinali, 2022)