“My Sweet Lord”, un inno spirituale che, nella versione di George Harrison, diventa un successo mondiale… e diventa anche il primo brano di un ex Beatle a raggiungere il primo posto delle classifiche
Primavera del 1970: i Beatles si sono ufficialmente sciolti e ciascuno dei Fab Four sta perseguendo carriere soliste. Sotto la guida artistica di Phil Spector, George Harrison, per esempio, sta registrando il suo disco di debutto, un triplo album emblematicamente intitolato All Things Must Pass…
All’interno ha deciso di inserire anche un brano, My Sweet Lord, che aveva regalato al suo amico Billy Preston, formidabile tastierista afro-americano, unico session man ad aver lavorato sia con i Beatles che con i Rolling Stones. Il pezzo è una preghiera che attraversa le religioni, dedicata al dio indù Krishna ma che al tempo stesso usa la parola ebraica Hallelujah…
Un inno spirituale che, nella versione di Harrison, diventa un successo mondiale: primo brano di un ex Beatle a raggiungere il primo posto delle classifiche.
Qualche anno dopo, però, My Sweet Lord (presentata con orgoglio da Harrison il primo agosto del 1971 al Concert for Bangladesh insieme a Ringo Starr ed Eric Clapton) viene citata per plagio da Ronnie Mack, autore di He’s So Fine, un successo delle Chiffons del 1963. Harrison, accusato di aver plagiato seppure in modo inconsapevole, perde la causa anche se dichiarò che più di quel brano, per My Sweet Lord lui prese ispirazione dal classico gospel Oh Happy Day.