Paolo Pietrangeli ci ha lasciato oggi a 76 anni: considerato il cantautore politico e impegnato per eccellenza, autore di brani immortali come Contessa. Un mese fa aveva vinto il Premio Tenco per la sua poetica esotica, eretica ed erotica che ritroviamo anche nel suo ultimo disco “Amore amore amore, amore un …”
Figlio del regista Antonio Pietrangeli (il cui massimo capolavoro è considerato “Io la conoscevo bene” del 1965 con Stefania Sandrelli, Nino Manfredi e Ugo Tognazzi), Paolo era nato a Roma il 29 aprile 1945, 4 giorni dopo la Liberazione dal Nazifascismo. A vent’anni era entrato nel Nuovo Canzoniere Italiano (con Ivan Dalla Mea, Giovanna Marini e tanti altri) per cui compose canzoni dal forte impegno politico e sociale. Sono del 1968 sia “Contessa” che “Valle Giulia”: la prima incentrata sulle lotte operaie, la seconda sulle proteste studentesche, entrambi i brani simbolo del Sessantotto. “Contessa” è stato un vero e proprio inno politico di un’epoca caratterizzata dalle forti contrapposizioni ideologiche, sociali, persino morali; tutto condensato in un brano che è il manifesto artistico di Paolo Pietrangeli, cantautore e regista televisivo, scomparso oggi a 76 anni. Il testo di “Contessa”, se riletto e rivisitato con gli occhi e le orecchie di oggi, potrebbe forse suonare persino “eversivo”, un’incitazione se non alla violenza quanto meno alla ribellione. “Compagni dai campi e dalle officine, prendete la falce, portate il martello, scendete giù in piazza, picchiate con quello, affossate il sistema“. E ancora: “Voi gente per bene che pace cercate, la pace per far quello che voi volete: ma se questo è il prezzo vogliamo la guerra, vogliamo vedervi finir sotto terra; ma se questo è il prezzo l’abbiamo pagato: nessuno più al mondo deve essere sfruttato!“.
Pietrangeli aveva lavorato anche come regista: nel 1974 aveva debuttato con il documentario di forte impatto politico “Bianco e Nero”, un viaggio nel mondo del neofascismo e una denuncia delle collusioni tra una parte dello Stato e settori eversivi dell’estrema destra, e poi dirigendo nel 1977 “Porci con le ali”, tratto dal romanzo di Lidia Ravera e Marco Lombardo Radice. In seguito è stato un regista televisivo (uno dei più apprezzati degli ultimi decenni, dal “Maurizio Costanzo Show” ad “Amici”) e recentemente anche uno scrittore. Nella sua ormai lunga storia è stato anche aiuto regista di mostri sacri come Luchino Visconti, Federico Fellini e Mauro Bolognini.
Nel 1996 si era candidato per Rifondazione Comunista con Bertinotti, senza essere eletto, per aderire poi a Sel, il movimento Sinistra Ecologia Libertà di Nichi Vendola e infine al partito Potere al popolo. L’ultimo documentario è dedicato alle giornate e alle violenze durante il G8 di Genova: teneva a ‘dire la sua’, dal ’68 al G8. Così lo ha ricordato Fausto Bertinotti: “Un amico caro e un compagno prezioso e coraggioso. Sua è stata la colonna sonora del ’68 a cui è rimasto fedele fin qui, sempre sperimentando e ricercando forme d’arte e di comunicazione. Ha scritto, composto, suonato e cantato dentro una storia sconfitta. Non avremmo mai voluto salutarlo per sempre. Ci mancherà ogni giorno mentre ci accompagneranno le sue canzoni. A salutalo con il dolore ci restano le parole di Franco Fortini che non ha mai abbandonato: “L’Internazionale fu vinta e vincerà. Ciao Paolo”. Questo il commento del segretario nazionale di Sinistra Italiana Nicola Fratoianni: “Ho appena saputo che Paolo Pietrangeli se ne è andato. È un grande dolore. Molte delle sue canzoni – prosegue il leader di SI – hanno accompagnato la mia infanzia, poi la formazione e i primi anni della mia militanza. Poi l’incontro negli anni di Rifondazione e la scoperta di una persona attenta e appassionata, ironica e generosa. Oggi piango un grande cantautore, un amico e un compagno. Senza dimenticare mai che ancora oggi occorre battersi perché anche l’operaio abbia il diritto di vedere il figlio dottore.”
Lo scorso ottobre aveva vinto il Premio Tenco con queste motivazioni: “L’esuberanza e il fervore giovanile che all’età di vent’anni gli hanno ispirato Contessa hanno creato di lui l’immagine di un autore esclusivamente orientato a inni roboanti. Nulla di più lontano dalla sua vera vena poetica, costruita casomai sulla bonaria ironia e sul dubbio continuo in grado di rimettere in discussione ogni verità che si ritiene assoluta. Maestro del linguaggio dai virtuosismi verbali, inventore di immagini esotiche, eretiche ed erotiche, dispensa aneddoti e riflessioni danzando su sintassi musicali sapienti e, al contempo, di immediata presa, come si addice ai veri creatori di canzoni popolari.”
Dal 1968 è considerato il cantore dei rapporti politici e sociali, quello di “Contessa”, “Valle Giulia” e tante altre, ma Paolo Pietrangeli aveva anche un’altra faccia della sua poetica, quella che parlava di amore e indagava i rapporti uomo-donna, che ci ha fatto scoprire con il suo ultimo disco, “Amore amore amore, amore un …” uscito nel 2020 per Ala Bianca. Un addio alla discografia, ad un mondo musicale così diverso da quello in cui aveva iniziato, che per questo simbolicamente è stato pubblicato solo in vinile (oltre che in digitale). Il titolo dell’album è tutto un programma, e fa capire che all’interno non manca l’inconfondibile, aguzza ironia dell’artista romano, così come il suo lucido sguardo al mondo intorno. In tutto tredici canzoni, delle quali tre inedite, tra cui la traccia che ha dato lo spunto per il titolo dell’album, “Amore un cazzo”. Il lavoro è stato pubblicato in vinile per dare il giusto valore a canzoni che hanno un peso specifico elevato, che respingono la superficialità, che hanno bisogno di essere trasportate, ascoltate, accolte in un oggetto di fascino e bellezza com’è un lp. “Ho iniziato dal vinile e concludo con un vinile”, dichiarava il cantautore romano. Sono tante le cose che aveva da raccontare. Per questo tra una traccia e l’altra dell’album, Pietrangeli ha infilato ricordi e aneddoti sui suoi 75 anni, sulla sua gioventù, sul rapporto conflittuale con suo padre, Antonio Pietrangeli, talentuoso regista, su com’è nata “Contessa”, sulla Roma di Visconti e Fellini. In sintesi, tutto ciò che ha formato la sua poetica fatta di ironia (“Amore un cazzo”), giochi di parole (“La merendera”) e metafore. Storie e filastrocche divertenti (“Lo stracchino”), ma anche intrise di melodia ed emozione (“Le sirene”, “Circonferenza”). L’album è stato pubblicato da Bravo Records/Ala Bianca, con distribuzione Warner, e conteneva anche un cadeau: nella terza di copertina si trova infatti un QR Code che – scansionato con fotocamera dello smartphone – porta all’ascolto in streaming e al download di un memorabile concerto di Pietrangeli al Teatro Parioli di Roma del 1995, con Giulia Salsone Benlian, Luca Casagrande, Vittorio Sonsini e Maurizio Lazzaro (a cui il disco è dedicato).
Così Paolo Pietrangeli aveva raccontato il suo ultimo disco: “Amore, Amore, Amore…un c.” nasce come reazione all’insopportabile uso della parola e, peggio ancora, della sua abbreviazione: “Amo’”. Come repulsione a ogni vezzeggiativo, sdolcineria verbale, lallazione di adulti rincretiniti ma capaci delle peggiori nefandezze… ma forse è colpa dell’età, la mia, che mi fa essere intollerante. Detesto la plastica e amo il vinile. Odio i CD e non so di che quale materiale siano fatti i files per cui di loro diffido. Mi ricordo i settantotto giri di mio padre su cui ho cominciato ad apprezzare la musica. A forza di sentire “L’Italiana in Algeri” da un 78 giri con sopra l’effige del cane di fronte al fonografo e intorno la scritta “disco grammofono”, i solchi erano diventati trincee per difendere Arturo Toscanini dai fascisti. L’esecuzione di “Katia” da un altro 78 mi ha accompagnato lungo tutti i settantacinque anni della mia vita, svaniti con la leggerezza e la rapidità di un soffio. “Katia danzava nei tabarin eleganti tra mille rose e fior, Katia danzava tra mille spasimanti e inebriava i cuor, Oh Katia, d’un tratto il principe le chiese, Oh Katia, è Pietrogrado il tuo paese? No rispose Katia, ma però un certo fascino ce l’ho, caro. Son puro sangue bolognese”. E gli archi concludevano con un sonoro “Zan-Zan”. Dei dischi, che a ragione potevano chiamarsi tali (non la loro parodia, i CD), apprezzavo le dimensioni, il lieve fruscio, il suono umano e non astratto, ascetico, asettico, insopportabile nella assenza di difetti di cui gli esseri umani sono pieni, le copertine: DEI QUADRI e non delle stitiche miniature che hanno costretto i grafici a costringere in maniera irreparabile la loro creatività. Come ho aperto tantissimi, troppi anni fa così adesso chiudo con un vinile. Buon ascolto se avete ancora il giradischi. P.S. La vendetta del digitale mi costringe a inserire nel pacco un QR code. Fotografatelo col vostro telefonino e buon ascolto di un concerto (una cantata) tenuta da me nel ’95. Vi prego almeno ascoltatelo con le cuffie. Sentite che tiro, che forza, che emozione. Allora. E che musicisti! Paolo Pietrangeli