B.I.T.: La melodia e il canto sopra ogni altra cosa

Tempo di Lettura: 4 minuti

Come Again è il disco d’esordio dei B.I.T., duo composto da Danielle Di Majo al sax e Manuela Pasqui al pianoforte. Gran parte dei brani che fanno parte di questo progetto provengono dalla tradizione classica e sono stati riarrangiati e rivisitati in chiave moderna. Un disco che inoltre rappresenta la voglia di ricominciare in un periodo difficile come quello che stiamo vivendo.

Come Again è il titolo del disco: visto che è nato in momento difficile come quello della pandemia rappresenta qualcosa di particolare per voi?
Come Again è nato proprio a cavallo dei primi lock down e considera che siamo entrate in studio a dicembre del’20! Ci sono voluti circa nove mesi, quelli più difficili di questa pandemia, e quindi si, ha rappresentato moltissime cose per entrambe. Il senso di impotenza e l’isolamento che tutti abbiamo sperimentato, sono diventati la spinta per inventare e costruire delle possibilità alternative di espressione. Come Again è questa possibilità, rappresenta la voglia di ricominciare a essere insieme, di resistere, di comunicare e di farlo attraverso la musica. Da un punto di vista ideologico Come Again è il nostro grido di resistenza al silenzio e all’immobilità imposti dalla gravità di questo evento sconvolgente che è stato e in parte ancora è la pandemia: una speranza, un augurio, una direzione.

Visto che in questo disco ci sono diversi brani appartenenti alla tradizione riletti in chiave jazz, c’è un filo conduttore tra loro?
Lirismo. Cerchiamo la melodia, il canto sopra ogni altra cosa, spesso a discapito dei fuochi artificiali e degli esibizionismi tecnici che in genere sono argomenti di facile presa, soprattutto nell’ambito del jazz e dell’improvvisazione. Abbiamo cercato di ridurre, spogliare la musica e portarla a una essenza quasi embrionale, e lavorare su brani della tradizione, la nostra tradizione (quella del bel canto per intenderci), ha un significato proprio per questo. E’ un patrimonio potremmo dire genetico, che abbiamo cercato di ricontattare, come un’analisi dell’inconscio. Altri due importanti fili conduttori sono il dialogo (e più profondamente la relazione); è ciò di cui abbiamo sentito fortemente la mancanza durante questo isolamento pandemico; I brani presenti sono temi d’amore. Amore corrisposto o no, ma sempre amore salvifico, che dà un senso, che cura dalla ferita del vivere. Altro filo conduttore è quello legato al nostro approccio alla musica e all’improvvisazione: molti dei brani del disco provengono dalla tradizione classica; non è un’operazione nuova quella di attingere al passato, soprattutto per musicisti trasversali, cioè che affondano le loro radici in linguaggi diversi, dal patrimonio classico, al folk o al jazz. Entrambe abbiamo queste caratteristiche, seppur con esperienze e approfondimenti differenti e questo ci ha da subito messe in grande sintonia. Manuela lavora da tanto sulla rielaborazione in chiave improvvisativa del patrimonio antico e con Danielle ci siamo riconosciute anche nella direzione, nella ricerca del suono e dell’espressività. E’ una sintonia intellettiva e emotiva che ci conduce attraverso il lavoro sui brani originali, sull’interazione e sugli arrangiamenti.

Quali sono, quindi, le influenze musicali o meglio ancora le fonti di ispirazione che possiamo ritrovare in Come Again?
Nessuna fonte di ispirazione. Abbiamo attinto dal nostro patrimonio personale, dalle emozioni che sentivamo nel suonare insieme. Le take sono tutte spontanee, “buona la prima” per intenderci, e questo perché c’era voglia di far fluire l’emozione del momento senza influenze di linguaggi già esplorati o sentiti. C’è stata la volontà di esprimere con semplicità soltanto la nostra voce, il nostro suono; questa è stata la cosa più importante per noi, senza troppe sovrastrutture.

Come è nata la vostra collaborazione artistica e poi come si è evoluta nel tempo?
Abbiamo cominciato a collaborare all’interno di un altro progetto musicale, un quartetto dedicato a Wheeler, nell’anno precedente la pandemia. Lì ci siamo conosciute musicalmente e personalmente. E’ stata proprio la pandemia a darci la spinta per fare altro. Un modo per approfondire legame e ricerca in un momento molto, molto faticoso e penoso. Cantava il nostro De Andrè “dal letame nascono i fior”.

Come avete lavorato invece ai vostri brani?
Ecco, questa è una domanda complicata. C’è un lavoro iniziale, concettuale, dalla scelta del brano, la sua veste armonica, a una idea, magari abbastanza generica, sul groove; poi ci siamo noi, l’ascolto reciproco e l’interazione. Si, diciamo che lavoriamo cercando di ascoltarci al massimo, di sostenerci e di non perdere mai di vista l’obiettivo e cioè la Musica. E poi… ci divertiamo, un sacco. La cosa più significativa è che il disco è sostanzialmente un live. Diciamo che quello che ci è sembrato davvero importante è stato fotografare con totale realismo il momento presente, senza trucco, senza paura.

Live o studio: cosa preferite maggiormente di questi due aspetti legati alla musica?
Del live ovviamente il riscontro del pubblico e l’interazione che si stabilisce tra noi e l’ascoltatore. In studio c’è una particolare cura del suono, dell’ascolto. Ci piace l’atmosfera magica che si crea mentre registri sapendo che la musica che suoni in quel momento è qualcosa che rimarrà, come una foto dell’attimo esatto in cui ci troviamo.

Per concludere ci sono dei prossimi concerti di cui ci volete parlare?
Filibusta Records sta organizzando una presentazione all’Auditorium, più o meno a ottobre, insieme a Antonella Vitale Quintet che presenterà il suo cd “Segni invisibili” nel quale Danielle ha collaborato come solista.

Exit mobile version