I partenopei Fireground, sono una delle realtà più interessanti del nuovo rock italiano, con retaggi grunge. Anche se è riduttivo, definirli solo epigoni di quel suono ruvido che he in Nirvana e Soundgarden i massimi esponenti. I Fireground spingono sull’acceleratore citando anche Foo Fighters e Black Keys. Tra ceneri vulcaniche ed un mare che incanta, ci racconta tutto il chitarrista Roberto Vagnoni.
Non c’è dubbio che i Fireground guardino al rock anni ’90 e duemila, a certo grunge tra Nirvana e gli epigoni Creed. Come ascoltatore ti sei formato e vi siete formati in quel periodo? E come è scattata la scintilla di cantare, suonare, formare una band insomma?
Nel caso nostro potremmo dire che “galeotta fu MTV”, quando era ancora un’emittente musicale (ti sto parlando della metà degli anni ’90) e il rock girava sui circuiti mainstream. Io e Fabrizio (Sensini, il bassista, nda), all’epoca compagni di liceo, tra una versione di latino e un’equazione trascorrevamo i pomeriggi incollati davanti allo schermo, affamati di musica nuova da scoprire. E quando nel 1995 vedemmo per la prima volta il videoclip di “Don’t look back in anger” degli Oasis, capimmo che tutto quello che volevamo fare era formare anche noi una band e sfornare musica nostra. Così coinvolgemmo Enrico, mio amico di infanzia, che sin da bambino suonava la batteria usando le pentole di casa, e formammo quello che divenne il primissimo nucleo dei Fireground. Avevamo un nome orribile, ci chiamavamo 4th Near Plain e provavamo nel garage di mio padre, per la gioia dei vicini! Marco, il nostro frontman, è entrato nel progetto nel 2017, e il suo ingresso è coinciso con la volontà di provare a produrre musica in modo più maturo e professionale, aspetto per il quale l’incontro con Pietro Foresti è stato poi decisivo.
Ho trovato i pezzi del vostro album di esordio classici, e sicuramente belli, ed allo stesso tempo moderni. Avete lavorato volutamente in questa direzione: ovvero conferirgli un suono più attuale? E come è stato lavorare con un produttore come Pietro Foresti? Secondo te quanto ha influito sul risultato finale?
Intanto grazie per l’apprezzamento; sicuramente una chiave di lettura potrebbe essere quella che fornisci tu, nel senso che nel nostro album puoi trovare influenze abbastanza distinguibili, ma al tempo stesso il sound e la produzione danno un tocco contemporaneo che secondo noi si sposa molto bene con i gusti di oggi, e che forse non ci fa somigliare ad alcuna band in particolare. Da questo punto di vista, l’apporto di Pietro è stato fondamentale nell’aiutarci a plasmare i brani in un’ottica moderna, cercando di ottimizzarli nell’ottica di una fruibilità adatta al pubblico contemporaneo. Senza contare poi il contributo di Matteo Agosti, che ha curato la parte di sound engineering ed è stato quindi fondamentale per raggiungere questo obiettivo.
Oltre alla musica rock ami altri generi musicali? E come vedi questo periodo: pensi che il rock, dopo anni nelle retrovie, possa tornare ad avere una valenza educativa, a conquistare quindi il grande pubblico?
Possiamo dirti che siamo davvero onnivori quanto a gusti musicali. Non ci precludiamo nulla perché riteniamo che la bellezza abbia tante forme diverse, al di là dei paletti imposti dai generi. Io ad esempio sono un appassionato di trip hop e musica elettronica, ma ascolto volentieri anche la musica ambient di Brian Eno e Harold Budd o il pop raffinato degli Everything But The Girl, senza contare la Bossa Nova; Fabrizio è un patito dello ska punk e dell’heavy metal, mentre Marco è un fan sfegatato di Evanescence, Lacuna Coil e Imagine Dragons. Con Enrico invece puoi davvero parlare di tutto in fatto di musica, dalla dance degli anni ’90 al pop italiano, fino ad arrivare al death metal. E’ un juke box umano! La musica che produciamo è un po’ l’intersezione di più insiemi, il terreno comune nel quale ci incontriamo tutti e 4. Chiaramente il nostro auspicio è che il rock possa tornare a guadagnare spazi e visibilità, anche se quello che manca oggi, probabilmente, è una “cultura” del rock…il desiderio di acquistare una chitarra nuova, la pazienza che serve per imparare a suonarla, trascorrere un sabato sera in sala prove anziché uscire, spostarsi di decine e decine di chilometri per 15 minuti di concerto, su un palco scalcagnato. Sembrano valori appartenenti a un’era geologica fa! Però insomma mai dire mai.
Se tu potessi scegliere: preferiresti suonare dal vivo in piccoli club con lunghi tour e quindi conquistare i fan uno alla volta, o provare poche date di apertura a grandi nomi, davanti ad un pubblico enorme? E perché?
In questo periodo, data la penuria di musica dal vivo, saremmo contenti di suonare anche alla bocciofila! A parte gli scherzi, riteniamo che la nostra musica abbia un potere comunicativo, espressivo ed emozionale tale da poter coinvolgere un pubblico ampio, quindi ci piace immaginarci su un grande palco davanti a tanta gente…sicuramente è quella la nostra dimensione ideale. Però anche l’idea di fare tante date in giro per l’Europa, anche in club più piccoli, ci alletta non poco.
L’immancabile domanda: le mosse future dei Fireground? E i vostri sogni nel cassetto?
A breve uscirà il 4° singolo estratto dall’album, “Hang on 2 U”, per il quale gireremo anche un videoclip promozionale. La nostra speranza è che, non appena si potrà tornare a suonare dal vivo, riusciremo a portare il nostro live su quanti più palchi è possibile, ed avere un contatto più diretto con il pubblico…perché se è vero che internet è un grande mezzo di diffusione per la musica, è innegabile che le emozioni trasmesse in un concerto rimangano sempre uniche e impareggiabili. Sicuramente, poi, abbiamo in cantiere un nuovo album, anche se i tempi non sono ancora maturi. Diciamo che abbiamo una quindicina di brani nuovi su cui inizieremo a lavorare nei prossimi mesi, ma non anticipiamo ancora nulla.
Sei anche l’autore della copertina. Quindi, visto che ti occupi anche della creazione dei vostri videoclip, oltre che musicista hai anche altre passioni artistiche?
(Risponde il cantante Marco Franzese) Si, la grafica è una passione, ma è anche il mio lavoro. Con i Fireground mi sono espresso liberamente e questo mi ha dato vari input creativi, in primis sulla copertina dell’album. Ho provato a trasmettere visivamente quello che significa per me e per noi questo progetto, quello che comunicano i nostri testi.
Marco Franzese: voce; Roberto Vagnoni; chitarra/synth;
Fabrizio Sensini: basso; Enrico Imparato: batteria/voce
Produzione: Pietro Foresti