Un concept capolavoro che unisce heavy metal e vita contadina, per dare forma al metal agreste!
Un giorno verrà resa giustizia ad una band come i bolognesi Vade Aratro. Perché è inammissibile che un gruppo di tale originalità e grandezza, debba rimanere nelle retrovie, ed essere soffocato da questo fetore di nostalgia che aleggia da anni nel mondo del rock.
Nessuno prima di loro aveva raccontato storie agresti dell’Emilia, le leggende di campi di grano, di terre inchiodate sotto un sole che è vita e dannazione allo stesso tempo, di rane insanguinate che donano vita, di pollini magici, in modo così singolare, utilizzando chitarre elettriche, in un contesto quasi letterario.
Marcello Magoni, chitarrista e cantante e leader della band (e noto artista del rame), la mente a cui si deve molto dell’idea che c’è dietro i Vade Aratro, sviluppa soluzioni potenti, le sue canzoni parlano di chicchi di grano, di fango, di spighe morte, di pesci magici, di zanzare ribelli. Ma nonostante chitarre ed energia, c’è sempre un senso di mistico e di canto corale davanti ad una candela.
Ascoltate “La punturaia”, chi altri poteva rendere maestosa la figura della contadina che in una comunità sa fare le iniezioni e quindi conosce i culi di tutti, poveri e ricchi? E chi potrebbe trasformare una tradizione contadina, come “La festa del grano”, in una mattanza?
Canzoni come “Sotto la terra”, sorta di Iron Maiden, in versione popolar-italiana, “Sant’Antonio del Porcello”, sono meraviglie capsule di unicità metal, per non dire della crudeltà di un bambino in “Lucertola e libellule”, il gioco ritmica/solista di “Il galletto bianco”, la splendida “Carnavale” che rievoca i Blue Osyter Cult degli anni ’70, l’hard rock progressivo di “Dentro lo specchio”, la schiettezza ritmica di “Nel tempi di notte”. Fino alla conclusiva “La nave dei morti”, che evoca immagini cupe e terribili (“I morti sono morti più dei vivi…”).
Di tanto in tanto le tracce di questo doppio album sono intermezzate da furtive pillole, di un paio di minuti al massimo, con voce e pianoforte e chitarre acustiche, che fanno da ponte tra le tante storie che Marcello e la band ci raccontano. Ma non chiamateli riempitivi, perché splendono di oscura luce, nel loro tramare antiche storie.
Ma chiariamo, “Agreste Celeste” non ha niente a che vedere con il folk metal, un genere che da tempo è in affanno, qui c’è tutt’altro spessore, una ricerca storica che affonda le radici tra canneti e paludi, come un film horror di Pupi Avati, che si muove nelle campagne padane, raccontando storie di ieri, che suonano come un monito alla crudeltà di oggi.
Notevole l’apporto di Federico Negrini al basso e Riccardo Balboni alla batteria, che contribuiscono a rendere “Agreste Celeste”, disponibile in digitale e in versione limitata a sole 300 copie in doppio vinile apribile, con un libretto di 16 pagine a colori ed un adesivo, uno dei dischi più belli del rock italiano degli ultimi anni.
Con stili diversi ed un suono certamente più potente, ma sempre con l’idea di dare forma a musica metal ed arte, i Vade Aratro, seguono il solco (e mai parola fu più adatta…), dell’abruzzese Mario Di Donato, noto pittore e musicista metal con il suo decennale progetto The Black.
Mi viene in mente una sola definizione per questo album, dalla confezione al contenuto, è un’unica opera d’arte, in sintesi: un capolavoro!!
Dalla biografia:
“Vade Aratro canta in italiano storie che sono state raccontate tante volte nel corso dei secoli
Vade Aratro canta di piccoli semi, piccoli uomini, grandi misteri e grandi paure
Vade Aratro celebra il tormentato e fruttuoso rapporto dell’Uomo con la Terra”
Discografia Vade Aratro: Storie Messorie (2008); Il Vomere Di Bronzo (2016); Agreste Celeste (2020)