E’ un disco che ha vita e linfa vitale. E a volte la linfa vitale va verso l’agrodolce e l’allegro. Ma non è mai allegria immotivata. C’è tanta energia e tanta anima. Non è un disco triste, non me lo sentivo nel cuore. Del resto c’era già tanta pesantezza fuori. Avevo bisogno di fare una reazione con la musica.. Così Ghemon presenta il nuovo album “E vissero feriti e contenti”, in uscita il 19 marzo. Il disco, settimo della carriera dell’artista di Avellino, sarà anticipato dal brano “Momento Perfetto”, in gara al 71° Festival di Sanremo. E a pochi giorni da questa partecipazione Ghemon spiega che, nonostante sarà un’edizione diversa, “l’emozione di salire sul palco è sempre la stessa. Mi spiace che non ci sia il pubblico in sala, ma per quanto mi riguarda non è la prima volta che canto in un posto vuoto” e aggiunge che all’Ariston troverà “tanti amici” che “anche il livello delle nuove proposte è molto alto”.
L’album, il secondo pubblicato da Ghemon (all’anagrafe Giovanni Luca Picariello) nell’arco di 12 mesi (“Scritto nelle stelle” era uscito nell’aprile 2020), rappresenta una fase molto viva e creativa del percorso musicale dell’artista, il quale mette in musica e parole la sua voglia di prendere il meglio dal presente e aprirsi alla vita, in qualsiasi momento ci si trovi. Ghemon abbraccia totalmente il “nuovo” e pubblica il progetto discografico che rispecchia la sua identità musicale e personale proprio ora, nel suo “momento perfetto”. L’artista ha incontrato la stampa per presentato questo nuovo lavoro.
Questo disco arriva dopo il periodo di lockdown. Viene naturale chiedere come hai trascorso quest’ultimo anno?
E’ stato un anno intenso sotto tanti punti di vista. C’è stato un primo momento in cui ho dovuto capire cosa mi stava succedendo intorno e, come tanti miei colleghi, mi sono sentito bloccato. Poi c’è stata una prima fase di reazione, di aggiustamento e voglia di vivere. E nonostante avessi scritto e realizzato da poco un disco non mi sentivo consumato e avevo ancora voglia di fare musica. E così ho fatto. A tempo record è venuto fuori un altro disco, fatto con grande desiderio. Di solito dopo che hai finito un disco, soprattutto se lo hai scritto da solo, non hai più le energie. Questo invece non è avvenuto. Le pile me le sentivo ancora cariche. A tempo record abbiamo fatto un altro disco. E’ una cosa strana di quest’anno: se la situazione fosse stata normale probabilmente questo lavoro non ci sarebbe stato. Non mi sarei chiuso in studio e concentrato su quello che amo di più.
In copertina trova posto un gatto. Come mai questa scelta?
Questo è il mio settimo album e i gatti hanno sette vite. Io penso di averne vissute altrettante. In questo momento il gatto mi è sembrato veramente simbolico.
Ascoltando il disco si nota anche un cambiamento di registro, dove passi alla terza persona. Come mai questo cambiamento?
Spesso nei dischi uso la prima persona. Ma la musica è un dialogo e ha bisogno anche dell’altro capo. La musica è comunicazione in senso ampio e le mie canzoni esistono perché sono figlie della mia esperienza. Ma se non fossi un osservatore e un ascoltatore non potrei scrivere. Devo scrivere quello che succede attorno a me. Quando scrivo un disco che si intitola “E vissero feriti e contenti”, mi guardo attorno e vedo la mia generazione. E capisco che crescendo si prendono e si danno delle botte, e si tiene botta. Lo si può dire lamentandosi e lo si può dire con il sorriso sulle labbra. E la fine di una fiaba e l’inizio di qualcos’altro. Ho cercato di mettere l’occhio anche sulle sensazioni quotidiane. Nella prima parte della mia carriera la poetica era un po’ quella di un poeta chiuso in biblioteca e annoiato. Mentre oggi devo guardare a quello che ho vicino. Tipo la mia fidanzata che fa confusione tra Star Trek e Guerre Stellari. Insomma, quello di avere un approccio più immediato alle idee, senza scrivere l’opera magna ogni volta. E metterci una cifra di me stesso che non so bene se sono riuscito a dimostrare bene.
In questo album si nota una varietà stilistica. Quale percorso hai seguito?
C’è una differenza tra Gian Luca ascoltatore e Ghemon artista. Il reggae, l’house e il rap sono tutte cose che mastico come ascoltatore, ma finché non le sento sotto pelle e posso dire la mia senza essere banale allora non le faccio. Quando mi sono approcciato al rap, da ragazzo, aprivo il booklet del CD e leggevo: “Contiene un sample di Stevie Wonder”. Allora io dicevo: “voglio ascoltare questo disco”. E questo mi ha aperto a un modo di bella musica, che altrimenti non avrei mai ascoltato. Poi ho ascoltato molto Pino Daniele ed Elio e le storie tese, che sono i miei artisti italiani preferiti che spaziavano molto in quello che facevano. Lucio Dalla invece aveva l’unicità e la riconoscibilità. Per tanto tempo credo che è stato anche difficile incasellarmi perché non c’era un genere di riferimento. Ambisco a fare una cosa a parte.
“E fissero feriti e contenti” dà l’idea di un disco corale.
Il disco precedente era un disco scritto più in solitudine. Mi portavo delle idee di musica, mi mettevo in una stanza, scrivevo le canzoni e le registravo. Nell’anno delle grandi solitudini e delle grandi distanze ho fatto invece un disco di gruppo, rispettando ovviamente tutte le misure previste. Un po’ da remoto e un po’ in studio quando era possibile. E’ il disco in cui ho lavorato più di squadra. Si è creato uno spirito di gruppo talmente felice che non c’era mai stato nei dischi precedenti. Questa è la soddisfazione più grande. Aver ricreato un gruppo coeso di ragazzi che ci credono.
Nel disco spicca anche la collaborazione con Philip Lassiter, vincitore di 11 Grammy e che ha realizzato i fiati per “Momento perfetto”. Come è nata questa collaborazione?
E’ figlia di questo momento di lavoro di squadra. Prima, per come sono cresciuto e abituato, per ragioni di etichetta comportamentale, non andavo mai a chiedere e proporre. Ora, abituato a lavorare con ragazzi più giovani di me, quando abbiamo pensato che questo brano avesse bisogno di una sezione fiati, ci siamo detti: “vogliamo chiedere a Philip Lassiter”. Il tempo di mandare una mail e dopo mezzora ci ha risposto. Nell’anno delle grandi distanze queste cose sono diventate possibili. Forse sono anche più aperto io. Mi piace citare al riguardo Lucio Dalla che diceva che “per piacere alla gente ti deve piacere la gente”.
Tra pochi giorni salirai sul palco del Festival di Sanremo. Qual è il tuo pensiero in vista di questa nuova partecipazione?
Ricordo ancora il mio primo impatto di Sanremo. Nel 2018 andai per la prima volta ospite di Diodato e Roy Paci e ricordo ancora quando, camminando per il corso di Sanremo, mi venne incontro una ragazza che mi disse “Sei bravissimo, voto per te dalla prima settimana”. Per quanto riguarda questa edizione presento un brano molto realista. Non entro in punta di piedi. Dico subito di aspettative che vengono disattese. Un pezzo realista ma anche ottimista.
Nella serata dei duetti ci saranno i Neri per Caso. Come nasce l’idea di questa collaborazione?
Sui Neri per caso non ho puntato sull’effetto nostalgia. Nel maggio dello scorso anno il pensiero di Sanremo ancora non mi sfiorava. Ma in quel periodo ho riascoltato tutto il catalogo dei Neri per caso e ho pensato: “semmai dovessi andare a Sanremo e ci sono gli ospiti vorrei portare loro”. Mi piace perché nel pezzo il coro è predominante. E’ una cosa che mi riguarda artisticamente e per far capire come la musica italiana è malleabile. “Momento perfetto” è stato il primo pezzo che abbiamo registrato. E’ venuto fuori per conto suo. Un po’ come avvenne per “Rose viola”. Se avessi dovuto pensare a un pezzo fatto apposta per Sanremo non arrivavo in tempo per l’edizione 2025. Invece il pezzo era lì.
In quest’ultimo anno molti artisti si sono dovuti reinventare, ideando anche performance da remoto. Qual è il tuo punto di vista al riguardo?
Se non ci fosse stato quest’anno mia mamma non avrebbe scoperto Zoom, Meet e altre tecnologie per comunicare a distanza. La pandemia ci ha offerto delle opportunità. Poi uno deve decidere se il mondo non è cambiato, oppure alzarsi e camminare. Io ho sempre amato i concerti e gli spettacoli, dove pagavo per ascoltare e vedere qualcosa che non trovavo sul disco. Quindi io sono per i live, ma questa situazione ci ha offerto la possibilità di pensare a iniziative fatte apposta per lo streaming, ma che non vanno a sostituire quelle live.