“Sono molto emozionato. Per me Sanremo è una partenza e non un punto di arrivo. E’ bello perché io e tutto il team siamo consapevoli che non è una cosa one shot, ma è uno dei tanti punti in cui si è fermato il mio aeroplanino di carta. C’è un disco pronto a uscire, che ho scritto tutto in quarantena, molto personale. Mi aspettavo molta chiusura in me stesso, e invece sono riuscito a riprendere la musica come la vivevo agli inizi e a usarla come arma di sfogo per stare meglio”. Wrongonyou (all’anagrafe Marco Zitelli), uno degli artisti italiani rivelazione degli ultimi anni, presenta così la sua prossima avventura al Festival di Sanremo, dove sarà in gara nella sezione giovani con il brano “Lezioni di volo”. Si tratta di un momento importante per l’artista. Il 12 marzo uscirà il nuovo album “Sono io” (Carosello Records), che arriva a un anno e mezzo di distanza da “Milano parla piano” (suo primo disco in italiano). Prima di Sanremo uscirà anche una cover di “Luce (Tramonti a Nord Est)” di Elisa, mentre il 2 marzo sarà disponibile lo speciale 45 giri di “Lezioni di volo” contenente il brano di Sanremo in versione originale e acustica, e l’inedito “Bon Iver”.
Per presentare tutte queste novità l’artista ha incontrato la stampa in una videoconferenza. A introdurre l’incontro è stato il direttore generale della Carosello Records, Dario Giovannini, che ha spiegato come il progetto di Wrongonyou “rientra nel nostro modus operandi, ovvero quello di cercare di essere un acceleratore per gli artisti, aiutarli a farli crescere per raggiungere un posizionamento importante per la musica italiana. Lo abbiamo fatto in questi anni con tanti artisti come Emis Killa, Tommaso Paradiso, fino ad arrivare a Diodato, vincitore della scorsa edizione del Festival di Sanremo e che mi sembra il nome giusto come trait d’union con Marco. E’ stato fatto un lavoro importante, da quando Marco ha deciso di scrivere in italiano. Non si è fatta un’operazione one shot. È stato un lavoro di un anno e mezzo di ricerca musicale, produzione e scrittura, in cui ha scritto più di 50 canzoni, collaborando con alcuni produttori della scena italiana, per chiudere il cerchio con Riccardo Scirè che ha prodotto l’album. Marco rappresenta un unicum nel panorama musicale italiano. Sanremo è un punto di partenza importante. Sono convinto che grazie alla forza delle sue canzoni e al suo talento possa raggiungere dei risultati importanti”.
Nel tuo disco precedente c’era un’ambientazione a Milano. In questo invece sei tornato più verso Roma. Come mai?
Avendo passato la quarantena a casa a Grottaferrata c’è inevitabilmente molta Roma in questo disco. Sono un artista che si geolocalizza. A seconda di dove scrivo, il disco parla del posto in cui mi trovo. E’ un disco sincero. Oltre a me, cantante e musicista, c’è anche molto Marco. Parla delle condizioni, evoluzioni e degli scatti mentali che ho avuto.
A Sanremo sarai in gara nella categoria giovani, ma visto il tuo background, non saresti potuto stare direttamente tra i big?
Io canto in italiano da un paio di anni e quindi è un mondo totalmente nuovo per me. Ti faccio un esempio pratico. Io ho assaggiato l’arancia a 21 anni. Non l’avevo mai mangiata prima. Allo stesso modo mi ricordo lo stesso momento in cui ho ascoltato Francesco De Gregori e Lucio Battisti la prima volta, che è avvenuta molto tardi, e ho trovato molta ispirazione. Quindi va bene così. E’ già una novità essere arrivato sul palco delle nuove proposte. Io sono un grande sostenitore della gavetta. Non si finisce mai di imparare. Il palco è quello. La pressione è quella. Magari in modo banale ci può essere meno attenzione da parte del grande pubblico televisivo, ma i sentimenti che prova l’artista sono sempre gli stessi.
Pensi di tornare in futuro a scrivere brani in inglese?
Al momento non mi viene spontaneo scrivere in inglese. Vado dove mi porta il cuore. L’inglese per me era una sorta di armatura: volersi bene verso e nascondersi. Con l’italiano invece devi essere chiaro e ho deciso di fare leva su quell’insicurezza di mettersi a nudo. Ho voluto raccontare di come ho passato la quarantena, che pensieri ho avuto e cosa ho sentito di voler dire.
“Sono io” è il titolo del nuovo album e anche di una delle canzoni. Come è nato questo pezzo?”
“Sono io” è un disco sincero. Ma è anche il primo pezzo che ho scritto in italiano e che non ho fatto uscire nel disco precedente. Wrongonyou in inglese era molto paesaggi, suoni, luci e sensazioni. In Italiano ho ripreso quella cosa di spiegare con le immagini e senza filtri.
In “Lezioni di volo” canti “Voleremo da fermi per stare meglio”. Come è nata questa frase?
È una frase che è uscita durante il lockdown. E’ stata la prima estate / inverno che passavo sempre a casa. In quel periodo c’era tanta voglia di spaziare e andare in giro. E come vola uno da fermo? E allora immaginiamo di andare da un’altra parte. All’inizio la frase era “Voleremo alle Hawaii per stare meglio”, ma poi non mi sembrava il caso. E’ una canzone che ho scritto con tanta sincerità.
In vista di Sanremo uscirà anche una tua versione di “Luce (Tramonti a Nord Est”) di Elisa. Perché hai scelto questo brano?
E’ una canzone che ho sempre ascoltato. Nel febbraio 2001 avevo 10 anni. Mi era rimasta impressa e ho continuato ad ascoltarla negli anni. Questo omaggio sanremese è anche per farmi conoscere a quel pubblico che mi guarderà per la prima volta a Sanremo. Ma soprattutto è nato per dimostrare l’apprezzamento che ho per questa canzone. Una cosa che mi colpisce è che ha un testo dove si riesce a infilare la natura, che è una delle parti integranti del mio progetto. Inoltre canto nella stessa tonalità ed è stata una bella sfida.
C’è un’artista / brano sanremese cui sei legato?
Da ragazzo suonavo in band metal e quindi lo seguivo di nascosto. Però se c’è un’edizione che mi è rimata più in mente è quella del 1999, quando Alex Britti vinse Sanremo giovani con “Oggi sono io”. Allora aveva la mia età di oggi. Sono sempre stato un suo fan. E se vogliamo fare una similitudine la mia “Lezioni di volo” è un po’ come “Oggi sono io”.
Sei stato definito dalla critica il Bon Iver italiano. E allora hai fatto anche un brano chiamato “Bon Iver”. Ti ci ritrovi in questo paragone?
Il brano “Bon Iver” è stato un po’ uno sfizio che mi sono tolto. Uno dei miei primi concerti lo feci al Circolo degli Artisti, locale fondamentale per la scena romana: quando si arrivava lì voleva dire che avevi un minimo di attenzione. In quell’occasione sono stato notato da una webzine. In pratica aprivo un concerto di un gruppo romano dell’epoca e chi ha scritto l’articolo ha scritto, arrivando dopo la mia performance scrisse: “Purtroppo mi sono perso Wrongonyou, però tutti mi hanno detto che è il Bon Iver dei noantri”. Da allora mi è si è attaccata questa definizione. E allora dedico una canzone ai Bon Iver e l’ho fatta in pieno loro stile.
Nel disco c’è anche “Nonno Bruno”, dedicata a tuo nonno.
Nonno Bruno è stata la persona più importante per la mia vita. E’ stato come un papà e mi sembrava il minimo dedicargli una canzone. Ho cercato di mettere in mezzo i ricordi che ho con lui, come quando andammo alla festa per lo scudetto della Roma con lo spogliarello di Sabrina Ferilli, oppure quando lui cantava le canzoni di Jimmy Fontana. Non volevo fare il solito brano “Dio che tu sei in cielo…”, invece ho voluto chiedergli “Com’è il mondo senza la terra sotto i piedi”.
In “Nada” affronti del tuo approccio con le donne. Com’è nato questo brano?
Parla del mio essere imbranato con le donne. La maggior parte delle canzoni di questo disco le ho realizzate nello studio della Carosello e nel palazzo della casa discografica c’è anche un centro Yoga. Allora un giorno mi sono detto “ti immagini che imbocca una di queste ragazze nell’ascensore e ci devo provare nella mia lingua, dicendo magare cose sceme?”. Nella canzone c’è una frase che è un pizzico della situazione odierna: “vorrei una birra, è tutto chiuso e sono aperte solo le chiese”. E’ sicuramente la canzone più scherzosa del disco, ma anche quella rappresenta me.
E invece “Prima che mi perda ancora”?
E’ una delle canzoni che mi piace più di tutte nel disco. Non vedo l’ora di cantarla dal vivo. E’ nata dopo una serie di vicissitudini, rendendomi conto che le strade intraprese non sono quelle giuste. E’ un abbandono del passato per andare verso una nuova cosa.
Tra i tuoi colleghi in gara a Sanremo c’è qualcuno che apprezzi particolarmente?
Tra le nuove proposte ho sempre detto mi paice il pezzo di Folcast. E’ interessante e ha una bella evoluzione melodica.