“Il progetto esisteva da tempo e con i miei amici Enrico Sisti e Stefano Mannucci, con cui nella vita ho fatto tante cose insieme, si pensava di raccogliere in un libro le lettere che ricevevamo ai tempi delle trasmissioni. Poi di quel progetto non se n’è fatto nulla e complice il lockdown ho ripreso l’idea da cui poi è venuto fuori il libro su Stereonotte”. Giampiero Vigorito racconta così l’origine di “Raistereonotte – Il libro” (Iacobelli Editore), volume che è stato un po’ il caso editoriale dell’ultimo periodo. Il libro, che ripercorre la storia del programma di Radio Rai in onda dal 1982 al 1995, ha raccolto a sé migliaia di appassionati di tutta Italia, che non hanno dimenticato gli anni in cui si faceva tardi per ascoltare conduttori entrati nella leggenda e musica straordinaria, che difficilmente si trovava altrove. Il volume, che vanta la prefazione di Carlo Massarini, raccoglie curiosità, retroscena e testimonianze dei collaboratori storici che si sono alternati per 14 anni ai microfoni del programma ideato da Pierluigi Tabasso e trasmesso in diretta dagli studi di via Po 14 a Roma, tra cui figurano Ernesto Assante, Marco Boccitto, Stefano Bonaugura, Giuseppe Carboni, Alberto Castelli, Massimo Cotto, Carlo De Blasio, Teresa De Santis, Stefano Mannucci, Marialaura Giulietti, Enrico Sisti e Fabrizio Stramacci.
Giampiero partiamo dall’inizio, ovvero dalle lettere che arrivavano a Raistereonotte. L’idea era quella di raccoglierle in un libro.
Si, ricevevamo un sacco di lettere, alcune molto confidenziali, da parte di ragazze che un po’ ci facevano il filo e che ci raccontavano come degli interlocutori privilegiati cose della loro vita. Per loro era un modo per raccontare e per sfogarsi, e si sa che la notte, con la radio e la musica, l’immaginario va a 3 mila. Insomma, noi volevamo pubblicare alcune di queste lettere perché erano toccanti, lungimiranti ed empatiche. Poi però l’abbiamo abbandonato. Quando c’è stato il lockdown avevo preparato un canovaccio, perché nel frattempo con alcuni dei conduttori di allora ci eravamo rivisti ad alcuni funerali, come quelli di Pierluigi Tabasso, Maurizio Iorio e Alessandro Mannozzi. Allora ho detto loro che non era più il caso di ritrovarsi solo in chiesa ma di rivederci tutti quanti per qualcosa di più positivo. Soprattutto dopo la scomparsa di Alessandro Mannozzi si decise che bisognava fare qualcosa tutti insieme. Così durante il lockdown ho preso coraggio e ho fatto la cosa più difficile: riprendere i contatti con tutti i conduttori. Anche perché pensavo che alcuni di loro fossero inaccessibili, più che latro perché magari non avevano voglia di raccontare questa parte del loro passato. E invece c’è stata una risposta incredibile. Manca solo Giuseppe Videtti. A ciascuno dei conduttori di Raistereonotte sono stati chiesti due contributi: uno sulla loro esperienza nel programma, e l’altro più musicale, in cui raccontano come si è evoluta la scena musicale o il genere di cui si sono sempre occupati in radio dopo la chiusura del programma. Una sorta di aggiornamento su quello che non hanno potuto fare in radio dopo la chiusura del programma.
Nel libro non mancano contributi autorevoli di esperti e personaggi noti, che all’epoca erano ascoltatori del programma.
Si, il tutto è stato integrato con gli interventi di Carlo Massarini, Luca De Gennaro che al tempo lavorava nei principali programmi della Rai ma non a Stereonotte, e della docente Marilisa Merolla. Molto significativo l’intervento di Fabrizio Stramacci che, per meno di un anno, prese le redini di Pierluigi Tabasso dopo il suo pensionamento. Lui è la memoria storica del gruppo, che ha conservato praticamente tutto. Il pezzo che ha scritto su Tabasso è una delle cose migliori contenute nel libro. Ma sapevamo che la parte più bella doveva essere quella relativa ai ricordi e ai contributi degli ascoltatori. E in effetti hanno scritto cose molto vere, vibranti e toccanti. Il libro viene chiuso da pareri di vip eccellenti, come Claudio Baglioni, Eugenio Finardi, Sergio Caputo, Nino Buonocore, e qualche scrittore come Sandro Veronesi e Giancarlo De Cataldo che al tempo lavorava a Radio Blu.
Radio Blu era un’emittente da cui provenivano molti conduttori di Stereonotte.
Dal 1975 questa emittente era predominante e trasmetteva la musica migliore. Aveva i conduttori più in gamba e anche la programmazione musicale notevole. Roberto D’Agostino, Giancarlo De Cataldo e molti giornalisti sono partiti da lì. Era una specie di Radio Popolare legata al partito. Da Radio Blu sono usciti fuori l’80% di quelli che Pierluigi Tabasso ha chiamato a condurre in Rai: Giancarlo Susanna, Enrico Sisti, Ernesto Assante, Stefano Mannucci, Alberto Castelli e il sottoscritto. Quando Tabasso ci convocò perché doveva dare il via al palinsesto notturno, la Rai aveva deciso di rispondere all’incalzare delle radio private, che rischiavano di schiacciare l’emittente di Stato. Erano usciti i primi network e quindi la Rai fece una cosa che potesse contrastare l’egemonia delle radio private con Stereo 1, Stereo 2 e Stereonotte. Tutte e tre hanno attinto dalle radio private.
All’inizio fu una scommessa. Nessuna credeva che la notte ci fosse un pubblico ampio.
Succedeva questo. Al tempo alle 14.30 del pomeriggio la programmazione di Radio 1 in continuava in AM, mentre in FM iniziava Stereo 1; stessa cosa per il secondo canale con Stereo 2. L’idea era di fare una cosa in diretta anche la notte. C’era già il “Notturno Italiano” per l’estero. E proprio per questo trasmettevamo dagli studi di Via Po, 14 a Roma, dove c’era la sede della Direzione Esteri. Avevamo un piano tutto per noi e comunque non stavamo nei luoghi tradizionali deputati alla radio, come via Asiago. Pierluigi Tabasso era stato incaricato di organizzare questo programma e a dire il vero anche un po’ osteggiato. Si pensava che la notte non ci fossero ascoltatori al di là dei fornai e dei vigilanti. Invece c’era un pubblico della notte che ci seguiva e che era appassionato di musica.
Buona parte dei conduttori scriveva per le riviste musicali. Tu stesso hai lavorato per diversi magazine, tra cui Rockstar, di cui sei stato anche direttore.
Lavoravamo tutti nelle riviste. Devo dire che Pierluigi Tabasso quando andava alla ricerca di conduttori per Stereonotte se ne fregava abbastanza dei disc jockey. Per questo preferiva andare su altri canali, come le radio private. Oppure venivano convocate anche persone senza grande esperienza e lui ci parlava, ma a occhio capiva – per il tono di voce o per qualche discorso che veniva fuori – chi era giusto per condurre. Chiaramente molti di noi venivano dalla stampa specializzata. Primo tra tutti Popster, da cui poi nacque Rockstar, altri invece scrivevano su Stereoplay. Eravamo tutti dei cani sciolti. Eravamo abituati a scrivere articoli, recensioni e interviste e negli anni ’70 / 80 fino all’avvento di Internet lavoravamo con i mezzi a disposizione. Popster e Rockstar erano influenzati da un giornale francese che si chiamava Rock and Folk, dove c’erano dei giornalisti francesi molto in gamba più di quelli delle riviste inglesi, come Melody Maker, NME e Smahs Hits. Andavamo nelle edicole di via Veneto e della stazione Termini a comprare questi magazine dove reperivamo le notizie.
Rispetto a oggi, in cui si vengono a sapere gli avvenimenti praticamente in tempo reale, succedeva quindi che le notizie musicali in Italia uscivano con un certo ritardo?
Per farti capire, da ragazzino compravo Ciao 2001. Io non sapevo in tempo reale di un concerto dei Santana al Palaeur di Roma. Era tutto molto più dilatato. C’era anche un passaparola, ma era tutto molto modesto. Poi i concerti grandi avevano più appeal e riuscivano a fare più pubblicità, ma era un mondo che si muoveva con lentezza. Dei concerti che si erano svolti lo venivamo a sapere dopo tante settimane sul giornale. Era tutto più rallentato. Era un altro tempo. La gente però non era così legata alla temporaneità e alla tempestività perché tutto il mondo procedeva in maniera molto rallentata. Se uscivamo con un’intervista ai Simple MInds era per molti una novità assoluta. Non lo era solo per i pochi che con qualche fortuna erano riusciti a recuperare i dischi di importazione.
Quindi le lettere degli ascoltatori erano l’unico modo per avere un contatto diretto con il pubblico?
Noi non avevamo budget. Su Stereo 1 e Stereo 2 facevano investimenti consistenti: avevano numeri di telefono diretti per il pubblico e facevano anche giochi in cui mettevano in palio di tutto, anche tavole da surf. Noi al massimo ci siamo potuti permettere degli adesivi da regalare. Quindi il nostro unico modo per metterci in contatto con gli spettatori erano le lettere, che iniziarono ad arrivare in grande quantità. C’erano lettere lunghissime, in alcuni casi piene di pure ossessioni e fantasie. Alcune erano molto suggestive.
Tutti voi trasmettevate con dischi propri, che vi portavate da casa. Non c’erano dunque limiti di generi e stili?
Noi avevamo piena libertà e lavoravamo con i vinili. I primi CD arrivarono nel 1986. Facevamo tutto per conto nostro perché il tecnico si limitava ad alzare e abbassare il cursore. Dovevamo tirare fuori il disco dalla busta, metterlo sul piatto, annunciarlo, uscire fuori e rimettere il disco. Facevamo molta attività sportiva… Non c’erano tutte le agevolazioni che ci sono adesso nelle radio. Oggi le cose sono molto cambiate. Godevamo di una libertà assoluta, che era la carta vincente della radio. Ognuno aveva il suo spazio di competenza. Io inizialmente ero fissato con il rock progressive, anche se il prog di quegli anni non è quello che intendiamo oggi, ma era musica che in qualche modo sperimentava il rock con il jazz, tipo Gong e i gruppi della scuola di Canterbury. Quanto ai dischi agli inizi avevamo la possibilità di rifornirci da Goody Music, store romano che trattava dischi di importazione: potevamo andare a prendere i dischi che ci servivano e poi la Rai a fine mese saldava il conto. Purtroppo questa opportunità terminò e a quel punto ognuno si organizzato come poteva, rivolgendosi a store come Disfunsioni Musicali e Millerecords. Era un’epoca pionieristica per tutte le radio e che è svanita da quando è il computer a fare le playlist. Prima c’erano scalette libere, mentre oggi si va per format e ci sono un po’ di ritmi che vanno rispettati. La mattina tutti puntano sull’informazione, il pomeriggio si dà spazio all’intrattenimento e la sera c’è più musica, solo che tutte le grosse radio hanno scalette pre programmate.
Una domanda è d’obbligo sull’immagine di copertina del libro, che è un omaggio a “The Nightfly” di Donald Fagen. Quando avete deciso che questa era l’immagine giusta?
Si può dire che la copertina è nata prima del libro. Era inevitabile. Con il nostro grafico, che è un amante degli Steely Dan (band fondata da Donald Fagen, nda), abbiamo approfondito questa coincidenza. “The Nightly” uscì nel 1982 un mese prima che iniziassero le trasmissioni di Stereonotte ed è diventato il disco culto di tutti quelli che facevano la radio. Piaceva a tutti. Alla fine, dopo aver acquisito i diritti per utilizzare la foto, il grafico ha dato il giusto tenore all’immagine. La copertina di questo disco venne fatta da un fotografo che fece due scatti nella casa di Donald Fagen, attrezzata per diventare un set fotografico. Il disco narra una storia che va dal 1957 al 1958. Noi degli anni 2020 / 2021 abbiamo parlato di una trasmissione degli anni ’80, e Donald Fagen, che faceva musica negli anni ’80, parlava degli anni ’50.
Nei due capitoli che hai scritto per il libro ti incentri sulla musica dei Prefab Sprout, che al tempo hai trasmesso molto a Stereonotte. Fu una vostra scommessa?
C’è da fare una premessa. Al tempo potevamo mandare anche brani di 10 minuti e fare lunghe conversazioni, come capitava con Ernesto De Pescale che raccontava aneddoti riguardo a dischi e artisti. Però non veniva fuori l’idea di una radio compatta. Noi eravamo riconoscibili perché di notte le radio tacevano, mandavano nastri di copertura, mentre noi venivamo trasmessi sui tre canali. Come sintonizzavi la manopola ci beccavi subito. All’inizio ognuno di noi approfondiva il proprio arco di conoscenze. Per quanto mi riguarda, guardando tutto con il senno del poi, forse ho esagerato: rock di Canterbury, rock inglese, King Crimson, Soft Machine e anche musica elettronica tedesca, che non ha nulla a che fare con la radio. Facevo contenti alcuni però facevo fuori l’ascoltatore medio. Quindi dopo circa tre anni ognuno di noi capì che bisognava amalgamare meglio la trasmissione, senza creare orticelli e creare barriere. Abbiamo cercato una cosa che fosse più impastata tra di noi e meno differente nella programmazione. Quindi iniziammo a mandare brani di 4 minuti. Iniziarono a uscire tanti dischi importanti di genere post punk, new wave, new romantic, e di gruppi come Cure, Spandau Ballet, Duran Duran e Depeche Mode. Io mandavo anche dei dichi tormentone, musica inglese, scozzese e artisti come Todd Rundgren e Steely Dan. Musica raffinata, ma di facile ascolto. E su tutti c’erano i Prefab Sprout che sono stati la nostra scoperta. Loro già passavano in radio perché avevano avuto un periodo di egemonia. Li avevo visti dal vivo tante volte. Negli anni ‘90 a un concerto al Teatro Olimpico di Roma c’erano già meno persone. È stato un po’ un gruppo meteora, che ha vissuto delle vicende abbastanza strazianti. A me e a Enrico Sisti piacevano molto. Su Rockstar e in radio li presentavamo sempre noi. La grande conquista è stata quella di lavorare su una riconoscibilità maggiore. Cercavamo di trovarci un ascoltatore tipo, che veniva fuori dalle lettere che ci arrivavano. Quindi mi ero specializzato in questi gruppi inglesi e in artisti come David Sylvian e Ryūichi Sakamoto, non musica new age, ma costruita secondo canali innovativi e suggestivi, con suite più lunghe.
Visto il riscontro che sta ottenendo questo libro si potrebbe riprendere il progetto di pubblicare le lettere più significative degli spettatori?
Credo di no. Io le ho conservate tutte. C’è una foto all’interno del foto book che abbiamo organizzato dove ci sono io con la maschera subacquea in una vasca zeppa di lettere. Difficilmente verrà fuori. Bisognerebbe tirare fuori le lettere anche di altri conduttori.
Nel corso della tua carriera hai pubblicato diversi libri, tra cui “Burt Bacharach / The Book Ok Love” dedicato al grande compositore statunitense. Ci sono altri libri in vista?
Devo dire che non amo molto scrivere. Ho scritto molto in passato e forse mi sono molto consumato. Scrivere di musica non è per niente facile. Ricordo che le recensioni per Rockstar erano molto difficili. In primo luogo perché eravamo sotto la scure del nostro editore, che voleva che scrivessimo in maniera diretta e quindi qualche recensione veniva cassata. Bisogna dire che il grande merito di Rockstar, più che di testate come Il Mucchio Selvaggio e Buscadero, e che aveva un’impaginazione molto curata e foto particolari. Negli anni ’80 vendeva 100 mila copie. Quando io presi la direzione di Rockstar la testata stava a 7 mila copie e sono riuscito a portarlo a 25 mila copie mensili. Ci si confrontava con un mercato enorme e con Internet che metteva tutto a tacere. Tornando al libro su Burt Bacharach, quello è venuto fuori perché ero reduce da un’operazione alle corde vocali. Sono stato un anno senza voce. Poi mi hanno fatto degli interventi e ho riacquistato un po’ di voce. E infatti da allora anche le mie presenze in radio si sono diradate. Bacharach è venuto fuori durante questo periodo di mutismo alle corde vocali. Avevo preparato 30 cartelle per il programma di Radio 3 Rai “Storyville” in cui si prendeva un libro su un personaggio famoso e un attore e l’attore leggeva alcuni passaggi. Io invece mi sono incartato in un’operazione più proibitiva. Siccome non c’era nulla di Bacharach in italiano misi su una serie di cartelle, alternate a sue canzoni. Vennero fuori 5 puntate, che andavano in onda dalle 16 alle 16.30. Quindi durante quel periodo di riposo forzato decisi di passare il tempo riprendendo quelle 30 cartelle, integrandole e facendo un lavoro più consistente, portando a compimento questo libro e sfogando le mie allora decenti velleità narrative e romanzesche. Anche il libro su Stereonotte è nato durante il lockdown, quando non avevamo nulla da fare. E così ho approfittato del fatto che i vari Assante e Mannucci erano più liberi. Quanto al futuro c’è un libro che mi accingo a scrivere, di cui non ho ancora parlato a nessuno. Si tratta di un volume sulle leggende olimpiche. Quindi cambio completamente genere. Parlo di sport, di cui mi sono occupato in radio con alcune monografie dedicate a personaggi famosi.