Fabrizio De Andrè e la musica francese, il filo che li unisce trova forza nella musica di Valerio Sanzotta, cantautore romano che nel nuovo album “Naked (oltre lo specchio)”, canta di donne, anzi di femminilità, come ci tiene a precisare. Ci siamo fatti raccontare di più, dallo stesso Valerio.
Ciao Valerio. Dove pensi che questo terzo album si differenzi dai precedenti, non tanto negli argomenti, quanto nella scrittura e negli arrangiamenti?
Ciao Gianni! La cosa che emerge con maggiore evidenza, io credo, è una certa ricerca della riduzione all’essenzialità; questo vale tanto sul piano testuale, con una minore levigatura del verso, quanto sul piano musicale: la canzone “Sono solo”, per esempio, è costituita da un unico accordo; in altre la tavolozza armonica è più ampia, ma la scrittura resta deliberatamente semplificata. Per quanto riguarda gli arrangiamenti, io e il produttore Lorenzo Scrinzi ci siamo posti l’obiettivo di creare volume e massa sonora non con la moltiplicazione degli strumenti, bensì per sottrazione. I pochi elementi che suonano si sentono molto, fosse anche solo una nota o un colpo di rullante nel silenzio, come avviene in “Never give up”.
Perché un disco sulle donne e penso per le donne? Ma che forse dovrebbero ascoltare più gli uomini.
Sicuramente dovrebbero ascoltarlo più gli uomini. Più che un disco sulle donne, è un disco sulla femminilità, intesa in senso molto largo: le donne, certo, ne sono le portatrici privilegiate, ma non esclusive. C’è del femminile nella mitezza, nella fragilità, nel sottrarsi – questo vale per gli uomini – allo stereotipo virile.
Oltre alla “difesa” delle donne, anche un bel brano contro il bullismo. A pensarci è incredibile che dobbiamo ancora parlare di questi argomenti, perché sono aspetti negativi del nostro quotidiano. Vedi passi in avanti a livello educativo?
“Never give up” non è una canzone di protesta o di denuncia in senso tradizionale (rappresenta piuttosto l’emersione della femminilità ancora in un altro ambito, quello dell’infanzia, e prelude a lavori futuri che ho in cantiere). Però certo è che nello scriverla ho avuto a cuore il tema, ho cercato di approfondirlo. Non me la sento di esprimere pareri su argomenti di cui in fondo conosco poco, anche se la mia impressione è che il tasso di violenza sommersa e tollerata si sia molto abbassato negli ultimi anni. Spiccano gli episodi eclatanti, ma noto un cambiamento di sensibilità tanto tra i ragazzi che tra gli insegnanti e i genitori. Però, ripeto, si tratta di un giudizio puramente impressionistico e potrebbe facilmente essere smentito da chi ne sa più di me.
Quanto la professione di filologo, influenza la tua scrittura nei testi? Ti condiziona o pensi che possa essere un aiuto concreto?
Mi ha aiutato molto in “Prometeo liberato”, il mio album precedente, i cui testi erano fittissimi di allusioni e di citazioni non dichiarate. Non si trattava, ovviamente, di sfoggio intellettuale, ma di multiformi chiavi di lettura che consentivano, una volta individuate, di scardinare il senso nascosto dei testi e di attingerne il significato. In “Naked”, la mia formazione non solo di filologo, ma di studioso della tradizione antica, medievale e rinascimentale, rischiava invece di zavorrare di erudizione canzoni che invece dovevano andare in direzione totalmente opposta. Non è stato un lavoro semplice, ma mi è venuta incontro la tradizione anglosassone, sia poetica sia musicale, che si muove sui medesimi binari di “Naked”.
Hai già idee per il prossimo disco. Dobbiamo aspettarci ancora una sorta di concept o sarà meno vincolato da un argomento?
Ci sarà abbastanza presto un EP dedicato a Leonard Cohen, di cui proverò a far emergere il lato più oscuro, quasi punk. È stata Angela Baraldi, che insieme con l’amica Diana Tejera (la quale peraltro canta con me in “It’s sunday in this mirror”) offre delle prove coheniane davvero degne di Nico e dei Velvet Underground, a suggerirmi implicitamente questa chiave di lettura: una rivisitazione di Cohen molto diversa dal cliché, un po’ funereo e noioso, che si è imposto nei decenni passati. Verrà poi un album originale sul tema dell’infanzia, ispirato alla lontana alle opere di Danilo Kiš, uno scrittore serbo che amo moltissimo. Più che sull’infanzia, in realtà, sarà su quelli che con Kiš chiamerei ‘dolori precoci’: le minime sofferenze dell’infanzia, ma minime solo dal punto di vista degli adulti, che segnano inesorabilmente l’esistenza futura. Non saranno solo canzoni, ma anche testi poetici.
Ultima domanda. Qualcuno pensa che questo periodo di lontananza da teatri e concerti, possa aver convinto molte persone, che se ne possa fare a meno e che televisioni e computer hanno vinto. Tu cosa ne pensi al riguardo?
La straordinaria opportunità offerta di internet pone una serie di sfide anche ai musicisti, nonché al mercato musicale, e penso soprattutto all’insostenibile gratuità dei contenuti. Tuttavia mi sembra illusorio nutrire atteggiamenti nostalgici e covare il sogno di un ritorno al passato, che non ci sarà. La televisione non ha scalzato la radio, ma quest’ultima ha saputo trovare uno spazio di crescita e ha potuto rinnovarsi insieme con i tempi; l’ebook non ha finora intaccato il predominio del libro cartaceo, con il quale convive pacificamente; internet ha sostituito il disco fisico e addirittura la vendita degli Mp3 (con un interessante revival del vinile, però), ma al netto della necessità di un ritorno economico per gli artisti e per le case discografiche non sostituirà di certo il contatto umano, di cui tutti sentono il bisogno dopo un anno di giusti e doverosi distanziamenti. Se ben utilizzato potrà fornire nuove opportunità, potrà amplificare le possibilità, le conoscenze, le occasioni. Non credo si rinuncerà mai ad andare di persona a teatro, al cinema, a un concerto. L’amante dell’arte, della letteratura e della musica è un animale particolarmente sociale, nella sua aspirazione all’incontro si forgeranno le alleanze tra vecchio e nuovo.