Tra i cantautori della generazione degli anni 2000 Mauro Di Maggio occupa un posto decisamente particolare. Seppur debuttante giovanissimo sul finire degli anni ’90, il cantautore romano ha conosciuto all’inizio del nuovo millennio una grande popolarità. Complice sicuramente quella “Non ti voglio fermare”, che nell’autunno 2003 ha spopolato sui canali televisivi musicali e nell’airplay radiofonico e che ancora oggi continua a emozionare e far innamorare generazioni di ragazzi. L’artista, che ha tre album all’attivo, nel corso di questi anni non è mai stato fermo: oltre all’attività di cantautore si è particolarmente distinto come autore di colonne sonore per spettacoli teatrali e cortometraggi, ideatore di contest e performance musicali, e non ultimo anche come attore, arrivando a recitare in diversi film e a intrepretare il ruolo del giovane Renato Zero nel video che ha accompagnato l’ultimo tour di Zero. Di recente Mauro Di Maggio ha deciso di pubblicare una nuova versione di “Non so”, il suo primo singolo, che nel 1996 lo portò sul palco del Teatro Ariston di Sanremo. L’occasione è stata propizia per incontrarlo e ripercorrere con lui un pezzo di musica italiana.
Ben trovato a Mauro Di Maggio. Come mai hai deciso di far uscire una nuova versione del tuo primo singolo “Non so”, che nel 1996 segnò il tuo debutto ufficiale nella discografia?
Come sappiamo tutti ci troviamo in questo periodo particolare che non ci consente di fare concerti e altri eventi. Pur avendo preparato delle nuove canzoni, la mia scelta è stata quella di pubblicare delle cose, ma senza tirare fuori i brani del nuovo progetto. Così prima ho fatto uscire una cover di “A Love So Beautiful” di Roy Orbinson e poi “Non so”. In tanti in questi anni mi hanno sempre richiesto questo brano, che facevo poco anche nei live. E’ sicuramente una canzone cui sono molto legato, però riascoltando la versione originale è molto lontana dal mio fare musica oggi, dal mio modo di cantare e dal mio approccio alla produzione. Così l’ho registrata nuovamente avvicinandola a quello che oggi sento e faccio dal punto di vista musicale. L’ho riavvicinata a me con questa veste un po’ più scarna e semplice e, secondo alcuni, anche con un sound più attuale, anche se questa è una cosa che mi interessa fino a un certo punto, visto che le mie produzioni spaziano molto tra generi diversi. Dai primi riscontri che ho da Spotify e altri portali devo dire che c’è particolare entusiasmo intorno a questa canzone.
Facciamo un salto indietro tempo. Chi era e cosa faceva Mauro Di Maggio prima dell’uscita di questa canzone?
Ho iniziato a scrivere canzoni da quando avevo circa 9 anni. Prima di iniziare la mia carriera professionale ho studiato al liceo, al Conservatorio e coltivavo le mie canzoni. Affittavo gli studi dove registravo i miei brani chitarra e voce e poi, al quinto superiore, inviai una delle mie prime cassette al produttore Giancarlo Lucariello.
Giancarlo Lucariello è lo storico produttore dei Pooh, oltre che di tanti altri artisti come Riccardo Fogli e Gianni Togni. Come ci sei arrivato?
In quel periodo prendevo le Pagine Gialle e cercavo tutte le società musicali, soprattutto quelle che trovano nei crediti dei dischi che acquistavo. Ho scritto e inviato nastri praticamente a tutti: BMG, IT, Ricordi, la Pentagono. Del resto al tempo a Roma c’erano tutte le case discografiche. Il primo che mi rispose fu Giovanni Poggio della Ricordi. Mi convocò, mi fece molti complimenti, però mi disse che dovevo ancora scrivere. In quell’occasione mi fece ascoltare un nastro contenente il primo album di Daniele Silvestri, che doveva ancora uscire. Poi mi accolse Roberto Fia della BMG, e anche lui mi disse che ero ancora piccolo: avevo infatti 16 anni. Ricordo di averlo chiamato dal telefono a gettoni della scuola durante una pausa. Poi ancora la IT di Vincenzo Micocci, nella figura di Mauro Borzelino e anche qui nulla. Giancarlo Lucariello invece ricevette la cassetta, mi convocò e una settimana dopo firmai il mio primo contratto. Lui poi mi portò alla CGD / Warner e di conseguenza mi presentarono a Sanremo. Al tempo in CGD c’erano personaggi del calibro di Fabrizio Giannini (presidente) e Gianmarco Mazzi, che si occupava del marketing, e artisti come Laura Pausini.
Arrivi a Sanremo dove passi le selezioni, ma non il turno. Quindi esce il tuo primo album.
Per la categoria giovani di Sanremo 1997 si svolsero delle selezioni in diretta televisiva nell’autunno 1996. Io arrivo alla finale con “Non so”, ma alla fine non passai il turno per andare poi alle serate dal 18 al 22 febbraio 1997. Era un’edizione decisamente incredibile. Quell’anno tra i giovani c’erano Paola e Chiara, Alex Baroni, Niccolò Fabi, Mikimix, ovvero il primo progetto di Caparezza, e persino Paolo Carta, oggi chitarrista e marito di Laura Pausini. Comunque dopo pochi mesi uscì il mio primo album, dal titolo omonimo per la CGD. Quel disco, tra cui “Non so”, contiene tutte canzoni che avevo scritto tra il 1994 e il 1995, ovvero quando avevo 18 anni. Il disco non ebbe grande riscontro e per questo la CGD mi lasciò libero. Roberta Cassani, che era la vice di Giancarlo Lucariello, decise di proseguire il percorso con me. Arrivammo così in Ricordi, dove c’era Giovanni Arcovito che mi scelse, e nel dicembre 2001 uscimmo con il singolo “Il tempo va”.
Arriviamo così al secondo album “InogniForma”, uscito nel 2003 e anticipato dal singolo “Non ti voglio fermare”. Una canzone cantata e ascoltata ancora oggi. Com’è nato questo pezzo?
E’ una canzone che mi dà ancora oggi tante soddisfazioni. Per esempio su Spotify, che oggi è un po’ un termometro per chi segue la musica, il brano viene ascoltato da circa 1500 persone al giorno. All’epoca è stata quattro mesi nella classifica dei dischi più venduti. Inoltre l’album “InogniForma” venne apprezzato molto anche dalla critica tanto che il settimanale “Musica!” del quotidiano La Repubblica lo considerò uno dei primi 2 migliori dischi dell’anno di artisti emergenti insieme al primo album omonimo di Riccardo Sinigallia. Tornando a “Non ti voglio fermare” è una canzone che nasce dal mio modo di osservare le cose e di raccontarle. In questo caso avevo vissuto una condizione come quella descritta nel brano. La mia visione dell’amore è proprio quella di vivere le persone nella più assoluta libertà. E’ il mio canto alla libertà.
Tra l’altro ho saputo che questo è uno dei brani preferiti di Federico Rossi del duo Benji & Fede.
Si l’ho scoperto, perché lo ha detto pubblicamente in un’intervista. Poi in seguito ho ritrovato delle email che lui mi aveva scritto prima di diventare famoso: mi mandava dei video in cui cantava e senza saperlo lo avevo pure tra gli amici di Facebook. Ci parlavo spesso ma non sapevo fosse lui. Devo dire che ci sono tanti artisti che hanno apprezzato e continuano ad amare questo brano. Chiara Galiazzo su Instagram ha fatto delle Stories con le mie canzoni, così come c’è l’influencer Camihawke che su Instagram ha cantato i miei brani; e di questo ne sono grato e felice.
“InogniForma” ebbe una grande promozione. Il 19 maggio 2004 avevi aperto al Forum di Assago l’unico concerto italiano di Britney Spears. Che ricordi di quella serata?
Un’esperienza grandiosa, perché cantavo in un palasport stracolmo di gente, a pochi mesi dall’uscita del disco. La mia canzone era già un successo e quindi il pubblico la cantò tutta. Mi ricordo il silenzio gelido appena entrai sul palco tanto che dissi “Scusate, io non sono Britney Spears”. In quell’occasione feci un set di cinque canzoni. Il disco funzionò anche per il video di “Non ti voglio fermare”, che piacque molto a MTV e All Music, i canali musicali più seguiti in Italia. Le radio si accodarono dopo, perché all’inizio non ritenevano il brano adatto al loro mood che difatti era distante.
Nei tuoi album hai avuto modo di collaborare con arrangiatori e produttori importanti. In “Inogniforma” ci sono per esempio Francesco Musacco (Simone Cristicchi, Povia ecc.) e Stefano Scarfone, mentre per il tuo terzo disco ti sei avvalso di Giorgio Baldi. Hai avuto campo libero nella scelta dei collaboratori?
Ogni album l’ho predisponevo da solo insieme a vari amici musicisti che mi affiancavano di volta in volta. Dopo la pre produzione la casa discografica mi suggeriva degli arrangiatori per finalizzarlo. Alla fine bisognava giustamente accontentare i gusti di tutti. Nel mio caso ogni passo in avanti fatto con i produttori è stato sempre positivo dal punto di vista produttivo. Con Carlo Martelli (ex ExtraLabels Virgin, nda), che all’epoca era il mio manager, ci indirizzammo su Giorgio Baldi per la realizzazione del terzo disco “Amore di ogni mia avventura”.
Ecco a proposito del tuo terzo lavoro, ho una curiosità che riguarda il brano “Devi andare”. Per tematica e atmosfera mi ha fatto sempre pensare a una sorta di seguito di “Non ti voglio fermare”. Sei d’accordo?
Si. C’è un filo tra i due brani nella magia che creano, ma non a livello di scrittura.
Tra i brani del disco c’è anche “Se Moana ti vuole”. Un omaggio alla porno diva Moana Pozzi?
L’ho scritta proprio pensando a lei. Avevo visto un documentario in televisione in cui veniva appunto raccontata questa sua vita così surreale. Mi ha molto affascinato la sua storia. Da lì ho pensato di scrivere questa canzone, pensando a come fosse stato se avessi avuto lei come compagna. E’ una canzone dedicata a lei. Tra l’altro c’è una frase nel testo in cui canto “lei è il punto più profondo del mare” perché avevo letto che il Moana coincide con un nome maori, che ha il significato di “oceano” e “mare”.
Chi è invece la “Mia superstar” della canzone?
E’ una canzone in cui racconto l’energia che può darti un evento o una persona, che ti fa vivere un certo entusiasmo. Oppure quando sei innamorato e acquisisci un’energia diversa. “Mia superstar” è anche quella che è in noi e che siamo.
“Amore di ogni mia avventura” è un ottimo album, che al tempo però fu penalizzato da una bassa promozione, dovuta probabilmente alla fusione tra Sony Music e BMG che avveniva proprio in quel periodo.
Si, è andata più o meno così. Ricordo che pochi anni fa andai in Sony per una riunione e c’era Gianluca Guido, che mi disse che al tempo i miei dischi avrebbero meritato più attenzione da parte della casa discografica. Proprio perché quelle canzoni sono state ben realizzate ancora oggi ne faccio dei piccoli video che mi piace proporre e promuovere sui social network. E ogni volta ci sono persone che le apprezzano e le scoprono per la prima volta. La fortuna di oggi è che con le nuove tecnologie e i social network, grazie anche al passaparola e alla condivisione sui social le canzoni continuano a vivere per sempre.
Dopo l’uscita di quel disco hai intrapreso una fortunata esperienza live, inventando il “Garlic Show”, con cui hai suonato in alcuni locali di Roma insieme a tanti artisti. Praticamente sei stato un talent scout visto che hai ospitato artisti come Diodato e Tommaso Paradiso (prima ancora di formare i Thegiornalisti), oggi apprezzati dal grande pubblico.
Il “Garlic Show” è stata un’esperienza incredibile, che è durata cinque stagioni dal 2006 al 2011. Avevamo iniziato al Fake a Testaccio per poi stabilirci al Lian Club a San Lorenzo, e per poi concludere nell’ultimo periodo alla scuola “Musica Incontro” su via Tiburtina. Tutto è nato perché il Fake mi chiese di fare un concerto fisso a settimana. Io però, pur avendo fatto tre album, non avevo un repertorio vastissimo. Allora accettai ponendo però la condizione di poter ospitare di volta in volta altri artisti. Nel giro di poco tempo le serate ebbero un certo successo. Ogni lunedì c’erano almeno 300 persone, in un giorno che è considerato morto per i locali. Venivano anche tanti addetti ai lavori, discografici, giornalisti e personaggi dello spettacolo. Sul palco ci sono stati sia artisti emergenti come Tommaso Paradiso, che era già sul palco del Fake con i Kosmoradio, progetto che condivideva con Francesco Bellani, oggi anche tastierista di Calcutta, poi ancora Diodato e Marta Gerbi. Ma abbiamo avuto anche ospiti famosi come Niccolò Fabi ed Edoardo Bennato. Tommaso Paradiso mi ha seguito per cinque anni e ho condiviso tanti palchi con lui: ricordo anche una serata a Piazza Sempione, in una sorta di versione estiva che feci con Fausto Paddeu dove c’erano artisti noti come Marco Masini ed Enrico Ruggeri.
Sei molto attivo anche come autore di colonne sonore per spettacoli teatrali, e in particolare collabori da tempo con Ambra Angiolini.
Si con lei ho iniziato a Radio 2 nel 2002, dove l’ho affiancata nella conduzione di “Musica anarchica” de la Notte di Radio 2. Poi nel 2008 ho scritto le sigle, da lei cantate, per il suo programma “Stasera Niente Mtv”. Nel 2018 ho composto le musiche dello spettacolo teatrale “Balkan Burger” di Stefano Massini sempre con Ambra Angiolini, mentre quest’anno abbiamo debuttato con lo spettacolo “Il Nodo” diretto da Serena Sinigaglia con Ambra Angiolini e Ludovica Modugno. Purtroppo il Covid ci ha fermato e speriamo di riprendere presto con le date in programma. Ho lavorato anche per Michele Placido, per cui ho prodotto e realizzato le musiche del suo spettacolo “Piccoli crimini coniugali” e per due cortometraggi. Quello di autore di colonne sonore è un aspetto artistico che amo molto.
Hai scritto anche per altri artisti, come Ron, ma forse pochi sanno che sei anche attore. Molti sono rimasti sorpresi nel vederti impersonare il ruolo del giovane Renato Zero nel video che ha accompagnato il tour dello scorso anno dell’artista (trasmesso di recente anche su Canale 5). Come è nata questa passione?
E’ stato tutto un caso. Hanno iniziato a chiamarmi per piccoli ruoli e figurazioni, più che altro per amicizia. Ho lavorato per esempio in “Loro” di Paolo Sorrentino e in “Euphoria” di Valeria Golino con Riccardo Scamarcio. Tramite questi giri alla fine sono arrivato al ruolo del giovane Renato Zero, che devo dire mi ha dato grandi soddisfazioni, visto che è stato un video molto visto, anche per effetto della messa in onda televisiva. Ho lavorato anche nel recente film, di cui si parla molto, “L’isola delle rose” (ora su Netflix).
La discografia è completamente cambiata e oggi la musica viaggia in rete, tra servizi streaming e social network. Tu come ti trovi in questo contesto?
Personalmente bene, perché oggi è possibile avere accesso a tutta la musica sempre. E poi sono possibili nuove forme di promozione. Prima una volta uscito un album bisognava avere un supporto dalla stampa, radio e tv. E se un disco andava male veniva subito dimenticato. Oggi invece ci sono mille possibilità per poterlo promozionare e rendere sempre vive le canzoni.
Per concludere, quali altri progetti bollono in pentola?
Adesso cerchiamo di capire quando usciremo da questa pandemia. Farò ancora uscire qualche brano speciale, come ho fatto per “Non so”. Poi però spero di poter uscire con un mio nuovo album di canzoni nuove.