«Un album demodé con il quale ho voluto dare forti emozioni». Le parole di Claudio Baglioni durante la conferenza stampa, tenutasi questa mattina rigorosamente on line, hanno tracciato il profilo del suo nuovo album In questa storia che non è la mia, in uscita il 4 dicembre. Un lavoro che segue a distanza di sette anni Con Voi, nel quale viene messa in luce l’attenzione nei confronti dell’amore. Quello personale e universale.
«Gran parte della mia produzione ha come contenuto il parlare dell’avventura e dalla disavventura del vivere. Con una parte prevalente data alla parola “amore”. Un tema che, per quanto sia stato approfondito infinitamente, ha sempre qualcosa da raccontarci, proprio perché è la “materia”. Io ho pensato spesso che le canzoni siano delle canzoni d’amore, anche quando non parlano d’amore», ha detto il cantautore.
Un lavoro curato nei minimi particolari che spiega l’utilizzo del termine demodé, dandone un significato positivo. Pensato e realizzato come si faceva negli anni sessanta e settanta, in cui la perfetta esecuzione dell’orchestra e della band, in ogni singolo brano, conferisce un valore aggiunto ai testi che esprimono significati profondi. Dimostrazione di quanto Baglioni riesca sempre nell’intento di dare il giusto peso ad ogni singola parola.
«In questa storia che non è la mia è un concept con cui sono andato a pescare tanti momenti di una vicenda amorosa, con le sue curve, il suo inizio, la sua ripresa. Perché questo è l’argomento che più mi ha interessato e meno ho conosciuto nella vita. Come i cani che abbaiano alla Luna che non sanno cos’è».
Non solo canzoni d’amore ma anche di speranza, come descritto nel testo di In un mondo nuovo. «Un brano che è la speranza di sempre. Ma è una speranza diventata un po’ logora. Come una vecchia militante che ha partecipato e combattuto un sogno. E nel tempo ha conosciuto tante disillusioni ad aspirazioni che non hanno avuto una concretezza. È come se ci fosse un popolo che avanza con dei cartelli. Con le istanze che tutti possiamo ben immaginare. Non è un pezzo né di ottimismo né di pessimismo. È la necessità di ricominciare a fare sogni al plurale».
Nel corso della conferenza stampa, coordinata da Riccardo Vitanza, patron di Parole&Dintorni, non poteva non essere affrontato il tema della chiusura dei teatri e della impossibilità di esibirsi dal vivo. «Quello della musica è il mondo che, più di ogni altro, ha subito l’impasse di questi mesi. Io non sono d’accordo con chi dice che i concerti non si possano fare in streaming o a distanza. È chiaro che non è la stessa cosa. Ad esempio nel mio prossimo concerto ci sarà un’orchestra da oltre 100 elementi, con molti strumenti che potranno essere sentiti a “orecchio nudo”. Per questo – conclude – è importante riuscire a creare nuove letture dei concerti e nuove dinamiche, che comunque non sostituiranno mai i concerti live».