Post Nebbia, fra David Cronenberg, i Devo e John Carpenter

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Un piccolo tesoro: così viene recensito dal nostro Silvio Mancinelli questo Canale Paesaggi, album anticipato dai singoli e dai video di Televendite di quadri, Vietnam e Persone di vetro. Ufficialmente pubblicato il 23 Ottobre (anche in vinile) per Dischi Sotterranei/La Tempesta.
Canale Paesaggi, secondo album della band padovana nata dalle esplorazioni di home recording di Carlo Corbellini, classe 1999. Il nuovo album esce a poco più di due anni dal disco d’esordio auto-prodotto Prima stagione. E’ un concept album che esplora l’esperienza emotiva e sensoriale dello spettatore televisivo, prendendo ispirazione dal flusso commerciale della televisione regionale, da alcuni scritti di David Foster Wallace e dalla nuova comicità americana dell’assurdo.

Fin dalla traccia introduttiva, lo svolgimento del disco è costellato da intrusioni di dialoghi provenienti da programmi della televisione locale, da audiocassette e video di youtube, quasi con l’intenzione di dare la percezione che cambiare pezzo sia quasi come cambiare canale. Canale Paesaggi è come gli occhiali di John Nada in They live (1988) di John Carpenter, un filtro che ci mette di fronte all’evidenza di una realtà ormai sopraffatta dalla rappresentazione, occultata dalla finzione mediatica, disintegrata dal nuovo mondo sintetico eretto dal capitalismo trionfante, in cui la reificazione dell’individuo è ormai completamente assimilata sia dall’individuo stesso che dalla collettività. È il flusso di Blob, è la colonna sonora della Società dello Spettacolo di Guy Debord, è la radiografia dell’esito drammatico di un conflitto che accompagna la storia del pensiero umano, quello fra realtà e rappresentazione. Nel caso ci fossimo dimenticati di ciò che hanno provato a dirci gente come David Cronenberg, George Orwell o Philip K. Dick, ci pensa questo gruppo di ventenni a ricordarcelo. E lo fa molto bene.
Bassi funkettoni, ritmi ipnotici, tastierine acide, fulminei accenni di virate jazz: un pop psichedelico di rara eleganza compositiva, sicuramente influenzato dallo stile internazionale di gente come Tame Impala, Arctic Monkeys e MGMT ma che affonda le radici in quel territorio fra new wave e art rock di fine anni ’70/inizi ’80 di gruppi indimenticabili come i Devo. A tutto questo si aggiungono un groove e alcune scelte melodiche di chiara derivazione black, con ispirazioni che vanno dai Thundercat a J Dilla, passando per Madlib. I testi sono brevi, asciutti, e allucinati, raccontano la nostra realtà facendola emergere come dimensione dell’assurdo. Sono versi che producono immediatamente immagini, con uno stile che rimanda chiaramente al cinema di genere degli anni’70, esplicitato ad esempio nell’uso ossessivo dello zoom sporco e veloce nel video della prima versione di Televendite di quadri (singolo uscito nuovamente dopo qualche mese in una nuova veste, con il featuring di Dutch Nazari). O nei versi di Vietnam: “L’effetto della nostalgia/un’Alfa della polizia/Che mi sta pedinando e non riesco a seminarla/Devo spingere sul gas”. Una scrittura che a volte ha anche un sapore fumettistico, come in alcuni passaggi di La mia bolla (“La mia bolla cammina con me/Io vedo solo ciò che vede lei”). La bolla, naturalmente, è quella dei social network, perché lo spettatore-merce al centro del disco non è solo quello televisivo ma in generale chiunque faccia esperienza del reale attraverso un dispositivo tecnologico o un’interfaccia mediatica. Seppur giovanissimi, i Post Nebbia hanno molto chiaro il legame che unisce la nascita della tv commerciale all’algoritmo di Facebook.

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