L’amore per Edoardo Bennato e Francesco Guccini, i primi Police ed i nostri Dire Straits. Poi Lezioni Americane di Italo Calvino, ma anche Gianni Rodari. Su questo humus culturale si muove Antonio Altissimi di cui vi abbiamo parlato recentemente sul fronte discografico. Antonio Ranalli ha definito il suo Diario della notte con parole precise .. un album che non passa inosservato…Tra l’altro questo è un progetto che nasce da lontano, con canzoni quasi della sua gioventù; tutti elementi che hanno solleticato la mia curiosità e quindi telematicamente ho voluto intervistarlo…..
– Una laurea in Giurisprudenza, una vita passata ad insegnare, una passione per Ennio Flaiano… cosa mi sono scordato di basilare?
Ciao Giancarlo, grazie prima di tutto…. non hai dimenticato nulla… ma posso aggiungere che ho sempre avuto una particolare attenzione per la creatività che credo sia una delle principali doti italiane, spesso ce lo dimentichiamo .. anche a scuola. Ci sono scrittori da cui ho appresso tantissimo, in particolare Italo Calvino, del quale ho letto quasi tutti i suoi romanzi, ma che ha scritto un libro straordinario, secondo il mio parere, che è Lezioni Americane. E vorrei ricordare Gianni Rodari con un libro (anch’esso bellissimo) che è Grammatica della Fantasia.
– Quali sono stati gli artisti che Antonio Altissimi ha amato da ragazzo?
Sono cresciuto nel periodo degli anni settanta tipico dei cantautori italiani, ho iniziato a suonare la chitarra ed ascoltare musica all’età di dodici anni. Il mio autore preferito è stato Edoardo Bennato: devo dire i primi album li conoscevo e li suonavo a memoria. Poi è arrivato il periodo di Francesco Guccini: erano i tempi de La locomotiva, Stanze di vita quotidiana, L’avvelenata. A sedici anni è nato l’amore per Pino Daniele, che reputo il più grande innovatore della musica italiana, conoscevo bene i primi tre album, ma quando ho ascoltato per la prima volta Nero a Metà sono rimasto sbalordito! Dentro c’era di tutto, lo considero ancora oggi uno dei migliori album della musica italiana. Ho ascoltato anche altri cantautori, dal primo Vasco a Eugenio Finardi, da Claudio Lolli a Ligabue e tanti altri ancora. Poi c’è stata l’influenza del rock progressivo sia italiano che straniero.. PFM, King Crimson.. Successivamente mi colpirono molto due gruppi del finire degli anni 70 / inizio anni 80: mi riferisco ai Dire Straits, con la chitarra innovativa di Mark Knopfler ed i primi Police.
– Quali invece i cantanti che ultimamente ti hanno di più colpito?
Non sono un nostalgico che pensa che la musica vera c’era solo negli anni settanta! Io credo che ci siamo degli autori interessanti, anche oggi, mi vengono in mente Mirkoeilcane, Mannarino, Lucio Corsi, poi penso a dei giovanissimi come Emanuale Aloia. Non mi dispiacciono i Maneskin.
– Logico chiederti quali esperienze hai avuto da questa prima fase della lotta alla pandemia… spunti per delle canzoni?
La pandemia è giunta in un momento particolare per me, perché mi ha permesso di aprire un periodo di riflessione… abbandonando alcune cose in cui ero troppo sommerso. Sono un accanito lettore e durante la pandemia ho letto moltissimo e suonato altrettanto. Un tema che mi ha sempre affascinato è stato quello del potere, perché penso che non esista un potere buono. Quando sento qualcuno che dice di esercitare il potere nel rispetto degli altri sorrido, perché sta mentendo sapendo di mentire. In piena pandemia mi è venuto in mente il tema della biopolitica di Michel Foucault e di come aveva previsto quale sarebbe stata la nuova frontiera del potere, un potere sanitario, in grado di limitare qualsiasi forma di libertà. Ho ripreso una canzone che avevo in parte abbozzato negli anni della guerra fredda, ma che non avevo del tutto completato. Prima della pandemia l’ho conclusa ma il testo sembrava scritto per quello che stava accadendo, parla di società distopiche, dell’uso indiscriminato del controllo dell’identità, di divulgazioni catastrofiche e cosi via. Quindi ho iniziato a registrarla nello studio di casa, ora la devo solo sistemare presso lo studio di registrazione. Sempre durante la pandemia ho completato e registrato il mio ultimo singolo Il Cielo di Luca dedidcato appunto a Luca Pulino.
– Ti va di parlarci di lui? Raccontaci la canzone a lui dedicata ..
Certo che mi va di parlare di Luca Pulino, perché è un amico vero, prima di tutto, un amico particolare, perché è affetto dalla Sla da quasi ventanni, ma ha un cervello di una lucidità unica. Ci conosciamo ormai da diversi anni, e gli avevo promesso che un giorno avrei scritto una canzone su di lui, ma solo quando mi sarebbe venuta l’idea giusta, senza forzature e senza richiami alla malattia. Volevo scrivere una canzone sul cielo, perché è un tema affascinante, ci pensavo da diverso tempo. Poi un giorno Luca scrive un post su Facebook, in occasione del fatto che era stato portato in giardino con tutto l’armamentario, e dice una cosa di una bellezza e semplicità uniche.. ma da quanto tempo dovevo vedere il cielo?.. e da lì è nata Il Cielo di Luca. Non è una canzone scritta di getto, ci ho lavorato molto, perché non volevo cadere nella banalità, è una canzone credo di grande speranza che rappresenta lo spirito di Luca, che è come il cielo e che non si arrende mai.…
– Diamoci un appuntamento per domani, fra un mese e fra un anno: cosa avrà fatto Antonio entro queste scadenze?
Diciamo che domani farò quello che faccio da anni andrò a scuola ad insegnare, con tutte le difficoltà del momento, tenendo sempre in mente che i ragazzi sono una grande risorsa del paese e spesso ce lo dimentichiamo. Tra un mese spero di riprendere a fare qualche concerto e presentazione dell’album e del nuovo singolo. Tra un anno mi auguro di pubblicare nuove canzoni, ne ho già diverse in cantiere. Una cosa purtroppo la devo sottolineare come la pandemia abbia colpito duramente il mondo della musica e la classe politica ha dimostrato tutta l’inadeguatezza del caso. Torno a ripetere che diffido del potere, l’esercizio del potere ha in sé il rischio dell’abuso.