Un album di pregio l’esordio ufficiale del cantautore milanese Agostino Celti intitolato “Selvatico” (su etichetta Engine Records in tutte le piattaforme digitali), anche se all’anagrafe non è certo un ragazzino, seppur con precise e variegate esperienze in 40 anni di musica, che è possibile scorrere sul suo sito ufficiale.
Una lunga esperienza – la sua – di serate nei locali su e giù per l’Italia, partecipazioni a vari concorsi e qualche momento speciale da incorniciare (come aver firmato il brano “Come te lo devo dire“ per Mina) non è cosa da tutti. La dichiarata “selvaticità” – intesa più che altro come naturale purezza – è anche, al contempo, un modo per preservare e rispettare quello che ha di più caro: la musica e tutto il suo carico emotivo pieno di passione e poesia.
L’album – ascoltalo qui – col quale Celti festeggia 40 anni di attività ospita musicisti di altissimo livello: Massimo Moriconi, il contrabbassista storico di Mina, uno dei più grandi batteristi italiani come Ellade Bandini (già con Francesco Guccini, Fabrizio De Andrè e moltissimi altri), Marco Bianchi al flicorno (uno specialista dello strumento, già con Enzo Jannacci e Fiorella Mannoia), il poliedrico percussionista Francesco D’Auria, Fabrizio Bernasconi al pianoforte e la bella voce della “figlia d’arte” Marta Ferradini. In funzione di queste presenze è nata l’idea di rendere disponibile l’album anche in versione esclusivamente strumentale, per rendere omaggio ed esaltare il lavoro di questi musicisti. Il disco propone una miscela equilibrata fra brani di forte pathos cantautorale ed altri più leggeri e venati di divertente ironia (che gli valsero anni fa il Premio Rino Gaetano), che rappresentano il duplice marchio di fabbrica di Celti. Un lavoro curatissimo – mixato da una grande professionista del suono come Marti Jane Robertson, al lavoro in passato con Ivano Fossati e Eros Ramazzotti ma anche con nomi “stellari” come quelli di Marcus Miller, Steely Dan, Art Garfunkel ed altri .
Cosa ti ha ispirato maggiormente durante la scrittura dell’album?
Quello che mi ispira sempre: le cose di tutti i giorni. I fatti, gli incontri, il tempo, il mare, i colori del cielo o della terra… ed anche il mio giocare ironico con le parole. Spesso quando mi trovo con un foglio davanti, butto gli occhi da qualche parte e la prima cosa che vedo mi dà il via per la scrittura. E altrettanto spesso la matita (che preferisco di gran lunga alla penna), va avanti da sola…
Qualche aneddoto durante la lavorazione in studio?
Aneddoti ne ho molti… ma ne sceglo uno in particolare. Terminate le sessioni di ritmica del disco, per farci due risate ho fatto ascoltare a Massimo Moriconi un mio pezzo piuttosto goliardico. Massimo (grande bassista ma altrettanto grande mattacchione) ha insistito perché lo registrassimo e Francesco D’Auria,, che aveva appena finito di smontare la batteria, ha dovuto rimetterla insieme in fretta e furia. Una canzone che, ovviamente, non ho inserito nell’album, perché decisamente poco seria…
Da musicista come hai vissuto il lockdown?
Confesso di non aver patito molto questo periodo. Amo stare a casa mia. Ho il mio studio, ho un piccolo spazio verde al quale ho potuto dedicare più tempo, per cui il periodo di “clausura” mi è passato abbastanza velocemente. Questo stato, quasi “di guerra” che ci ha colpito (io vivo vicino a Bergamo), mi ha spinto ovviamente a scrivere alcuni nuovi pezzi dallo strano sapore, nati da quell’alone di vuoto che ci ha avvolto ma anche pieni di speranza per un tempo migliore, aspettativa che affiora spesso nei miei testi.
Cosa chiederesti al Governo a tutela della categoria dei musicisti?
Difficile rispondere senza cadere nella retorica. Occorrerebbe, come regola, eleggere rappresentanti del settore artistico per ogni gruppo politico. Poi considerare la categoria e tutto il movimento di risorse coinvolte, al pari di tutte le altre forme lavorative. Soprattutto definire meglio, nello specifico – e nel caso, per gradi – la qualifica del musicista, la sua figura e il suo ruolo nella società.