Nell’autunno del 1968, uno studente sedicenne di nome Danny Scher sognava di invitare il pianista e compositore Thelonious Monk e il suo stellare quartetto ad esibirsi presso la sua scuola superiore a Palo Alto, in California. Tra complicazioni, annullamenti, giravolte e inciampi organizzativi, che si sommavano alle tensioni razziali e politiche, il concerto alla fine ebbe luogo, e fu registrato dal custode della scuola. Palo Alto verrà pubblicato il 31 luglio dalla leggendaria etichetta Impulse! – risultando in tal modo il primo album (un debutto postumo) di Thelonious Monk per la casa discografica indissolubilmente legata al nome di John Coltrane.
“Quella performance è una delle migliori registrazioni dal vivo di Thelonious che io abbia mai sentito” dice T.S. Monk, batterista figlio del maestro pianista-compositore e fondatore del Thelonious Monk Institute. “Non avevo neanche idea che mio padre si fosse esibito in una scuola, ma lui e il suo quartetto lo hanno fatto. Quando ho ascoltato il nastro a prima volta, già dalle prime note ho capito che mio padre quel giorno era in gran forma.”
Nei vibranti 47 minuti di musica della registrazione è di scena il quartetto stabile con cui Monk era in tour (completato da Charlie Rouse al sax tenore, Larry Gales al contrabbasso e Ben Riley alla batteria): anche il repertorio ricalca quello usuale di quelle occasioni, in cui figurano alcune delle sue migliori composizioni.
Il 1968 era un anno di tumulti negli Stati Uniti, segnato dalle uccisioni di Martin Luther King e Robert Kennedy, dalle rivelazioni di quanto veniva compiuto in Vietnam, con proteste e rivolte in tutto il Paese. Paolo Alto e la vicina East-Paolo Alto (abitata da una maggioranza nera) non facevano eccezione. Questo era lo scenario in cui si trovava ad operare il giovane studente delle superiori Danny Scher, un idealista appassionato di jazz con il pallino di diventare un organizzatore di concerti (cosa che realizzò anni più tardi, quando si conquistò una meritata fama lavorando anche al fianco del leggendario rock promoter Bill Graham).
Dice Scher: “Ho sempre pensato che la musica fosse in grado di sospendere i problemi, o a costringere le divergenze (fossero di natura politica o sociale) a confrontarsi. Il 27 ottobre 1968 ci fu una tregua fra Palo Alto e East Palo Alto. E questo è quello che la musica è in grado di fare.”
Nel 1968, Thelonious Monk era per molti versi all’apice della sua carriera – il suo quartetto era al meglio della forma, ed era noto al grande pubblico per avere conquistato (un paio d’anni prima) la copertina della rivista TIME. Tuttavia, la realtà dietro la superficie era ben altra: le sue finanze navigavano in cattive acque, e i problemi di salute andavano peggiorando. Quando ricevette una chiamata nel mezzo di un ingaggio di tre settimane al Jazz Workshop di San Francisco, diede ascolto alla voce di ragazzo all’altro capo del ricevitore. Forse rimase toccato dall’intraprendenza del giovane organizzatore.
E così il 27 ottobre 1968, Thelonious Monk e il suo quartetto (con Charlie Rouse al sax tenore, Larry Gales al contrabbasso e Ben Riley alla batteria) discesero dall’auto di famiglia degli Scher, attraversando sotto una pioggia scrosciante il parcheggio gremito a attoniti abitanti di Palo Alto e East Palo Alto, per raggiungere l’auditorium della Palo Alto High School e travolgere tutti con uno set di 47 minuti muscolare e straordinario, pronto ad entrare nella storia.
Nel repertorio troviamo la lirica “Ruby, My Dear” (tocca a Rouse esporre il tema, seguito da un abbagliante assolo del leader), la dinamica e trascinante “Well, You Needn’t” (ben 13 minuti, con assoli di tutti i membri del quartetto), la personalissima rilettura in piano solo dello standard di Jimmy McHugh “Don’t Blame Me” , una danzante, epica “Blue Monk” e una versione quasi spensierata e giocosa di “Epistropy”. Lo show si conclude con un abbozzo di un datato successo del 1925 di Rudy Vallee, “I Love You Sweetheart of All My Dreams”: anche qui piano solo (in cui Monk evoca lo “stride piano” di quegli anni), un bis concesso in fretta, salutato a una standing ovation: il quartetto doveva far ritorno a San Francisco entro la sera (il Jazz Workshop attendeva).