Mantenere la stessa formazione per otto anni è sinonimo di grande intesa ed amicizia. E il rock dei Roommates sgorga limpido e diretto, proprio con una vera amicizia che sa essere leale, ma anche dura se serve!! Li abbiamo incontrati per farci raccontare i dettagli del nuovo album Roots.
– Potete raccontarci i punti fondamentali del vostro percorso artistico, in fondo otto anni di storia non sono pochi..
Otto anni con la stessa formazione, la stessa band, sono un ottimo modo per condividere tempo, passioni e modo di interpretare la Regina delle Arti. Abbiamo iniziato con l’idea dell’impatto musicale acustico, fatto di locali da luce soffusa e contesti che il distanziamento sociale ci avrebbe impedito di vivere, siamo poi passati nel 2014 ad una resa sonica più impattante con Alessio che ha radicalmente cambiato la nostra impronta sonora permettendoci un “appoggio” sicuro al suo drumming potente, preciso e roccioso. ‘Fake’, nella sua stesura nel 2016 ci ha fatto crescere insieme, scegliendo una linea omogenea per un unico disco, infine l’incontro con Pietro Foresti nel 2018 ci ha permesso uno step-up notevole in termini di composizione e di visione della musica per quanto riguarda l’enorme impegno del “dietro le quinte”. In mezzo, le scelte artistiche sono maturate di pari passo con quelle che sono state le nostre vite, cresciute in parallelo e fortemente intrecciate sia con che senza strumenti.
Siete arrivati a questo nuovo album consapevoli di voler fare il salto di qualità. É per questo che vi siete affidati a Pietro Foresti, un produttore con un vasto curriculum. Lavorare con lui cosa vi ha portato in termini di esperienza e come musicisti?
Lavorare con Pietro non è solo qualcosa di musicale dal punto di vista “strumentistico”: è un cambio di paradigma, di visione d’insieme. Per noi è stato come un “cambio di categoria”, per affacciarsi ad un mondo in cui la musica segue regole differenti rispetto a ciò a cui eravamo abituati. L’esperienza in sè è tanto semplice quanto complessa allo stesso tempo, in quanto rapportarsi con Pietro è semplice, ti fa sentire a tuo agio in ogni contesto che va dalla composizione, alle scelte di pre-produzione, fino ad arrivare al master, di mezzo ti mette anche a tuo agio al pub (aspetto che per noi è essenziale). La difficoltà è nella semplicità con cui lui richiede scelte, una sorta di gerarchia di priorità alla quale non è abituato chi, come noi, non ha mai lavorato con un Producer della sua caratura. Questo genera una notevole spinta nella scrittura, soprattutto dal punto di vista motivazionale.
Ho apprezzato molto che tra le vostre influenze, avete segnalato anche gruppi nuovi come Royal Blood e Rival Sons. Questo dimostra la vostra aderenza all’attualità, cosa che molte rock band sembrano non cercare. Pensate quindi che sia importante vivere anche l’attualità musicale?
Il Sacro Fuoco dei Mostri del Passato™ è ciò che ha fatto nascere e crescere gran parte delle nostre generazioni di musicisti. Questo, per quanto importante, rischia di chiuderci in gabbie composte dai canoni di un determinato gruppo o filone, impedendici di staccarci da quel suono, o da quel modo di cantare. La musica non è solo riproduzione: è reinterpretazione e stesura di nuovi filoni narrativi, e per questo è necessario evolversi, imparare da ogni periodo per sviluppare un proprio modo di intendere le sensazioni che la propria musica deve poter dare.
Come nasce una vostra canzone? É una scrittura di gruppo oppure ognuno porta un’idea finita? E nei testi cosa raccontate?
Su questo aspetto abbiamo vari sistemi differenti, in genere si parte da riff partoriti da uno dei due chitarristi a cui si aggiunge una linea melodica vocale in lingue ai più sconosciute. Da quì si lavora per consolidare “cosa ha da dire” la linea melodica del brano e cosa la voce, per poi aggiungere l’aspetto ritmico e poi procedere alla parte decisamente più lunga che è composta dall’arrangiamento. Quindi la scrittura è di gruppo, con fasi abbastanza codificate. Per i testi di Fake, solo Mr Breeze (chitarrista) e Marco (bassista) hanno scritto i testi, in parte insieme, per Roots essendo un concept solo Marco ha scritto i dieci testi, ma solo perchè è molto permaloso e insiste molto per scrivere le sue cose. Fake parlava di finzione applicata a vari contesti quali le esperienze interpersonali e i rapporti, Roots parla di un ipotetico e dantesco viaggio all’inferno, che vede l’espiazione delle turpi abitudini della nostra società attraverso la loro stessa conoscenza e accetazione, passando da un peccato all’altro fino alla completa consapevolezza di se stessi.
Vedo che sui social siete attivi, anche proponendo cover ed interventi di vario tipo. Quanto vi giova in termine di diffusione della vostra musica?
Attualmente si “esce” su Facebook, Youtube, Instagram e su un nostro Sito con blog. Nel 2020 soprattutto, vista la sciagura planetaria che stiamo ancora vivendo, chi fa musica ha la possibilità di usare il potente strumento di diffusione che è la rete in maniera sempre più massiva. Tutti gli ambienti social sopra nominati sono però dei terribili mondi a sè, con regole feroci che rischiano di fare sparire dai radar chiuque. Riuscire a gestire quella che è una “immagine” social riguarda quindi moltissimi aspetti, spesso cangianti di mese in mese, noi, nel nostro piccolo, proponiamo una rubrica settimanale di cover per omaggiare gli ambienti musicali di cui scrivevo prima, oltre a questa abbiamo due “stagioni” di Room120, una rubrica in cui le cover di artisti famosi venivano condensate in 120 secondi per incontrare l’attention span del tipico utilizzatore YouTube, e allo stesso tempo mostrare il gear utilizzato per QUEI suoni, avendo partnership di una serie di aziende italiane che producono strumentazione di fascia altissima. Sempre con cadenza settimanale sul nostro Blog presentiamo collaborazioni con vari blogger che ci raccontano ad esempio le contaminazioni tra arti visive e musica, o tra la moda e la musica. Tutto questo con la dovuta inerzia della rete inizia a dare interessanti ritorni di visiblità, serve tempo da investire, come in tutte le cose importanti, per questo siamo molto fiduciosi.
Anche la vostra immagine è rock, ma con un tocco moderno. Quanto pensate sia importante il look per un’artista?
Nella risposta precedente citavo la correlazione forte tra musica e moda, in quanto la rubrica Note di Stile ci racconta di come la moda sia stata basilare per artisti come David Bowie e Freddie Mercury, ma anche Lenny Kravitz, Prince e tantissimi altri. Anche oggi ovviamente il look, l’immagine, la forma con cui ci si presenta ad un pubblico sono importanti quasi quanto la sostanza del messaggio e della musica stessa: lo scopo nel 2020 non è quello di stupire, ma lo sviluppare una coerenza tra ciò che si fa e ciò che si è. La nostra immagine è quindi piuttosto aderente con l’idea di rock, con l’idea di “attuale”, anche perchè il nostro modo di porci è molto simile a quello che è il nostro impatto “fuori” dal palco. Se ci presentassimo con lunghe frange, o alte creste, o trucco nero sugli occhi, probabilmente daremmo una idea artefatta che non ci interessa..
In questo periodo dove il mondo dell’arte dal vivo è fermo, è facile dire cosa cosa vi ha tolto. Ma io vorrei sapere se e cosa vi ha portato in più?
E’ importante guardare alle positività, in mezzo a tanti disastri portati dal periodo. Noi, abbiamo scritto parecchio a distanza, confrontandoci, abbiamo avuto molto più tempo e abbiamo dedicato tante energie in quello che è l’immagine social. Con tanti vincoli fisici, la rete ci ha permesso di restare in contatto tra noi e con chi ama la nostra musica. Sorridiamo per questo…