Olden: tante musiche, un solo mondo

Tempo di Lettura: 4 minuti

Il cantautore italiano di stanza a Barcellona ci racconta il suo quinto album, delle sue speranze e di quando ascoltò i Queen per la prima volta.

Direi di iniziare con un po’ di storia. Raccontaci come ti sei avvicinato alla musica, il desiderio di suonare e comporre.

Sin da piccolo ho sempre avuto un certo interesse per la musica, in particolar modo per il canto, cantavo con il coro della scuola e mi divertivo abbastanza, anche se quel momento rappresentava un passatempo come altri. Poi a tredici anni i miei genitori mi fecero trovare sotto l’albero di Natale un regalo diverso dal solito, un oggetto di legno con sei corde: una chitarra!

Un mese prima era morto Freddie Mercury, e la notizia aveva avuto cosí tanta risonanza che arrivó forte anche a me, probabilmente attraverso un telegiornale o qualcosa di simile.

Tutta la sua storia mi ricordo che mi colpí molto, cosí tanto che cominciai ad aver voglia di ascoltare con attenzione la musica dei Queen,. Ancora oggi ricordo la sensazione incredibile che provai la prima volta che dal mio walkman uscirono le note (e le voci!) di “Bohemian Rhapsody”, lo stupore, l’emozione e mille altre cose che mi attraversarono in quel momento.

E da lì tutto è cambiato, per sempre.

Farò il cantante, scriverò canzoni, pensai.

Ed effettivamente andò proprio così.

Olden: oltre le nuvole c’è il sole.

E poi qualche anno dopo arrivó la musica d’autore italiana, un’altra bomba sconvolgente che ancora oggi mi porto dentro e che rappresenta probabilmente, il mio habitat di scrittura piú naturale.

Vivi da dieci anni circa a Barcellona. Cosa ti ha portato in Catalogna? Dopo dieci anni pensi di essere ancora uno straniero?

Me ne sono andato dall’Italia dodici anni fa e ancora oggi non saprei dire quale sia stato il vero motivo, suppongo che in qualche modo questa cittá mi stava aspettando ed io non lo sapevo.

E poi ho capito anche il perché, visto che ora é l’unico posto dove mi sento davvero, completamente, a casa. Quello che ricordo é che avevo voglia di ripartire da zero, in ogni ambito, la musica ma anche tutto il resto, conoscere persone nuove, perdermi per poi ritrovarmi.

Non mi sono mai sentito uno straniero, nemmeno per un attimo, ed ora ancora meno ovviamente. Ma poi davvero ha senso oggi parlare di “straniero” quando ci si muove e ci si sposta all’intero del nostro continente? L’Europa é ormai un grande Paese, per fortuna molte barriere non esistono piu’, e sarebbe bello che fosse cosi’ in tutto il mondo (“Imagine there’s no country”, diceva il buon Lennon…)

Com’è la scena musicale da quelle parti? É vero che in Spagna si tutela la musica autocna?

In Spagna c’e’ molta attenzione nei confronti della musica “tradizionale” e di tutti i movimenti che ne derivano, penso ad esempio al flamenco o alla rumba catalana (nata proprio qui a Barcelona). Per quanto riguarda la musica “pop” non credo ci siano troppo differenze con la scena italiana, anzi credo che forse nel nostro Paese ci sia maggior fermento, soprattutto nella scena che definiamo “indie-alternativa”, da noi c’e’ davvero un sacco di gente che suona, che scrive canzoni, qui ne ho trovata un po’ meno, o forse semplicemente ancora non l’ho incontrata. E poi come dico sempre, é difficile parlare di Spagna, conosco bene solo Barcelona e la Catalunya dove, ad esempio, la musica in catalano é molto sostenuta ed appoggiata, sia a livello “politico”, sia per quanto riguarda il pubblico che la segue.

Cosa pensi che abbia in più e di diverso dei tuoi dischi precedenti “Prima che sia tardi”?

Innanzitutto questo é il primo “concept” della mia carriera, ho sempre avuto il pallino di farne uno prima o poi, ma non ci ero ancora riuscito.

Credo che abbia un’uniformitá ben chiara, che sia piú compatto rispetto ai miei lavori precedenti, che abbia una coerenza piuttosto evidente ed un’idea di base forte e chiara.

E voglio anche pensare che i testi siano piú “maturi” dei precedenti, forse meno “pop” e piu’ “d’autore”.

É interessate che l’album sia un concept, come nella tradizione del rock progressivo, come tu stessi citi. L’idea è nata prima o scrivendo i pezzi ti sei accorto che c’era un filo comune che li univa?

Sí il concept “fa molto anni ‘70”, senza dubbio, e nel mio caso particolare mi fa pensare a dischi che hanno segnato profondamente la mia vita, come “Tommy” o “The Wall”, capolavori assoluti che ho consumato e amato alla follia. L’idea é nata prima dei pezzi, ho scritto addirittura una sorta di piccolo romanzo, per costruire una narrazione, una storia che avrei poi raccontato per “capitoli” attraverso le canzoni. E poi i pezzi sono arrivati quasi da soli, in pochissimo tempo.

Molti artisti dicono che “Il miglior disco è quello che ancora si deve scrivere”. É davvero così?

Nonostante non ami molto l’abuso di certe frasi preconfezionate,  nel mio caso é cosí, o almeno lo spero. Altrimenti non avrebbe senso continuare a fare questo mestieraccio da idealisti incoscienti!

Hai una carriera abbastanza lunga oramai, cosa ti aspetti seriamente che possa succedere per il tuo futuro artistico?

Mi aspetto e spero di avere sempre qualcosa da dire, di non perdere la voglia di raccontare e di mettermi ogni volta alla prova con qualcosa di nuovo. Ed ovviamente mi aspetto sempre piú gente davanti al palco che canta a memoria le mie canzoni. Ma prima di tutto speriamo che una volta finita l’emergenza Coronavirus, tutto il mondo della musica possa ripartir. Sará davvero dura ma ce la faremo!

Exit mobile version