I Veronesi Ex non sono una delle tante band che circola in Italia. Con oltre venti anni di resistenza in prima linea sono autentici veterani del rock tricolore. Ad inizio anni è uscito “I nostri fantasmi”, il loro quinto album ufficiale, come sempre un concentrato di chitarre, riff elettrici, testi che non lasciano scampo ed una valanga di energia. Ma soprattutto un’attitudine che non accenna a venire meno. Ascoltiamo il chitarrista Stefano Pisani che ci racconta come tenere la schiena dritta e come vivere con una donna che odia il rock’n’roll.
Rispetto al precedente “Cemento armato”, questo nuovo lavoro mi sembra più diretto e allo stesso tempo più musicale, con canzoni che si ricordano dopo un paio di ascolti. Come avete lavorato nella scrittura?
Col tempo e con l’attività live la band ha preso una direzione che tiene conto di una maggior semplicità e immediatezza dei pezzi. È stato un processo naturale, non studiato a tavolino: se vuoi che dal palco il tuo messaggio sia comprensibile e incisivo, devi puntare all’essenziale. Sul lungo periodo, il nostro modo di suonare e di esprimerci, duro, d’impatto, in italiano, ha reso naturale e genuina l’interpretazione che diamo del rock. Per quanto riguarda invece la realizzazione tecnica di “I nostri fantasmi” abbiamo operato delle scelte precise rispetto agli album precedenti. Abbiamo ridotto all’osso gli effetti, le intro, abbiamo dato più risalto alla sezione ritmica, in modo che il disco andasse di pari passo con quello che proponiamo dal vivo. Diciamo che ultimamente tendiamo a lavorare di sottrazione più che di accumulo, per essere più essenziali e diretti possibile.
Durante le prove del materiale nuovo, le discussioni salgono a mille o siete quel tipo di gruppi dove c’è un leader non dichiarato che alla fine decide?
Leader dichiarati negli EX non ce ne sono, tutti possono partecipare attivamente alla costruzione del pezzo, innanzitutto occupandosi della propria parte, ma anche proponendo idee per gli altri strumenti, le armonie vocali, le sequenze, gli assoli. Può succedere che nella composizione di qualche canzone prevalga l’idea di un singolo componente, come può succedere che si discuta su differenti approcci a un brano particolare. In questi ultimi casi le decisioni vengono prese a votazione. A volte bisogna rinunciare a qualcosa, ma lo scopo, che non perdiamo mai di vista, è la creazione di una canzone degli EX. E la musica degli EX è esattamente il risultato di singoli musicisti che si mettono al servizio della band di cui fanno parte.
“La mia donna odia il rocchenròll” è un brano micidiale, sotto l’ironia nasconde la verità che spesso gli uomini debbono tenere separata dalla coppia, il loro amore per il rock. Terribile, non pensate? È così anche per voi?
Cose che succedono, ma non la vediamo in maniera così drammatica: per questo abbiamo affrontato l’argomento con ironia, ma anche con consapevolezza che chi ama il rock è poco disposto a scendere a compromessi, anche di questo tipo, nella vita quotidiana. È semplicemente il nostro punto di vista, senza pretesa di verità assoluta. Poiché amiamo che la nostra libertà venga rispettata, di certo dobbiamo anche rispettare quella altrui. Quindi, ognuno è padrone delle proprie scelte e della propria vita, ma questo di certo non cambia una virgola lungo la strada che stiamo percorrendo come band.
Cosa pensate di questi tempi per il rock? Insomma il rap e tutto quello che gli gira intorno, è una moda destinata a scomparire o ci dobbiamo arrendere che ai giovani il rock non interessa più? Eppure a leggere i social in tanti sembrerebbero interessati al rock.
Come dicevamo prima, ognuno ha i suoi gusti ed è giusto che possa esprimerli liberamente. Da quando abbiamo cominciato a salire sul palco – e anche da prima, da quando, singolarmente e in modi diversi, ci siamo avvicinati alla musica – tantissime cose sono cambiate, tanti generi nuovi si sono affacciati nel panorama musicale, per deviarlo, influenzarlo, accrescerlo, a volte smontarlo e rivoltarlo. I giovani degli anni 2000 di certo vivono in un tessuto socio-comunicativo diverso da quelli degli anni ‘70-’80, ma non per questo non hanno strumenti per fare le proprie scelte. Anzi, probabilmente ora c’è talmente tanta informazione che forse c’è il rischio di un’indigestione. Comunque la musica è passione e istinto, quindi ognuno segue i generi che sente vicini, che danno sensazioni. Che sia rap, trap, tribute band, band estere e tutto il resto. Il rock però ha una sua forza: pur se declinato in centinaia di sfumature diverse o contaminato, è ancora qui che spacca le orecchie e riempie gli stadi. Vivo e vegeto, magari autocitandosi, ma presente come non mai. Nel ‘54 la rivista Variety, commentando il fenomeno Elvis Presley, scrisse che questo genere di musica sarebbe durato poco più di un anno. Dopo 65 anni, il rock la fa ancora da padrone, e – nonostante i tanti approcci diversi – non dimentica mai le sue origini.
Perché suonare dal vivo è diventato così complicato? E non solo per le band underground? I locali aprono e chiudono, mentre in giro è pieno di band che vorrebbero esprimersi? Dov’è l’inghippo?
Per i gruppi di base suonare dal vivo è stato sempre complicato. Anzi, in verità è sempre stato TUTTO complicato, a cominciare da un mancato riconoscimento culturale ufficiale, nonostante le tante parole al vento di stampa e operatori più o meno professionali del settore. Di certo la tecnologia sempre più a portata di mano e il conseguente incremento di musicisti e band ha portato alla saturazione; una situazione che spurga attraverso fenomeni a volte grotteschi come le tribute band. Per quanto riguarda i locali, una volta chi apriva un music pub lo faceva per la musica, non per vendere birra, come adesso; oggi sembra che chi intraprende queste iniziative manchi del forte stimolo della musica, e perciò alle prime difficoltà economiche soccombe, in un teatrino di aperture e chiusure che – un po’ in tutt’Italia – a volte rasenta il prevedibile.
Siete dei veterani del rock italiano e in italiano, vi siete meritati la stima anche di chi ha altri gusti. Forse oggi a fare la differenza è la coerenza, il rimanere se stessi. Essere una combat rock band.
Assolutamente d’accordo. La coerenza e la perseveranza sono da sempre una nostra caratteristica. E, alla fine, è un modo di affrontare le cose che paga e dà anche (piccole) soddisfazioni. Perché, come si diceva dei locali, anche tra le band un grosso problema è la sopravvivenza. I gruppi che riescono a non perdersi per strada sono quelli che hanno ben chiaro ciò che stanno facendo. E quelli che mettono in primo piano la musica e tutto ciò che attraverso la musica si può comunicare. Per band come la nostra “la guerra non finisce mai”. Ed è guerra vera e propria: per conquistare spazi, per far sentire la propria voce, per un’identità univoca, per resistere ai tanti millantatori e incompetenti che gravitano attorno al nostro mondo, come avvoltoi. Purtroppo sono tanti quelli che mirano solo a guadagnare e cavalcare l’onda del genere del momento, sempre a discapito di chi si sbatte con vera passione. Per gente come noi, che non ama i compromessi e tanto meno l’ipocrisia, il combat rock è l’unica risposta possibile.
Stefano Pisani: chitarra;
Roberto Mancini: voce;
Gabriele gostinelli: basso, voce;
Loris Rigoni: batteria