Per molti il nome di Ares Tavolazzi è legato indissolubilmente agli Area. Quella esperienza ne ha segnato il percorso musicale, facendolo diventare uno dei musicisti più influenti degli anni settanta. La sua carriera, però, racconta di molto altro. Nella sua carriera cinquantennale ha collaborato con numerosi artisti italiani, tra i quali Lucio Battisti, Paolo Conte, Vinicio Capossela, Mina e Francesco Guccini. Ma non si è fermato qui. Tra pochi giorni compirà 71 anni e nonostante tutto conserva l’entusiasmo di un ragazzino pronto a misurarsi sempre con nuovi progetti. Lo incontriamo prima del concerto che terrà giorno 20 nell’ambito del Catanzaro Jazz Fest, accompagnato da Joy De Vito e Piero Borri.
Nella sua lunga carriera ha attraversato la musica italiana e non solo, dalla musica leggera al rock al jazz. Qual è il genere a cui si sente più legato e in cui ritiene di aver espresso al meglio la sua sensibilità artistica?
Naturalmente il jazz, linguaggio che ho cominciato ad esplorare nei primi anni 70, durante la mia permanenza nel gruppo degli Area. Facevamo spesso delle sedute di ascolto a Milano durante la notte dove ognuno di noi portava del materiale registrato o in vinile. Fu così che imparai a conoscere musicisti come: John Coltrane, Bill Evans, Ornette Coleman, Miles Davis e molti altri grandi del jazz. Iniziai così una ricerca che non mi ha più abbandonato.
Tra i tanti musicisti importanti e rivoluzionari con cui ha collaborato, ne può ricordare alcuni e dirci quale le “manca di più”?
Sicuramente la mia esperienza con l’orchestra di Gil Evans per un piccolo tour in Italia nel 1982 che è stata una grande lezione di musica e di vita. Ricordo con grande piacere anche il grande trombettista Kenny Wheeler, con il quale ho collaborato in diverse occasioni.
Qual è il suo rapporto con i giovani musicisti ed in particolare con Joy De Vito che la accompagna in questa data del Catanzaro Jazz Fest?
Mi piace suonare e collaborare con i giovani musicisti perché portano un altro modo di pensare la musica, ed un’altra energia , idee nuove e la possibilità di mettersi sempre in discussione. Joy ne è un esempio, è un musicista preparato ed aperto che sicuramente farà parlare di sé in futuro.
Perché secondo lei pur se molti bravi musicisti suonano jazz non si riesce a far diventare questo genere popolare tra i più giovani? Cosa sarebbe necessario fare per attrarre le nuove generazioni?
Bisogna ricordare che il jazz è una forma musicale acquisita, che non fa parte della nostra cultura musicale, ma che proviene dalla quella americana. Si sta già facendo già molto con l’apertura dei trienni nei conservatori di musica e l’uso di internet come contenitore informativo. Una cosa che sicuramente manca, è l’insegnamento della musica nelle scuole elementari,che non riguardi solo il jazz ma la musica in generale insegnata seriamente. I bambini che imparano l’alfabeto e l’aritmetica, possono tranquillamente imparare il linguaggio musicale attraverso il riconoscimento delle note, il solfeggio e la teoria musicale in generale. Sicuramente durante la crescita avranno così la possibilità di discernere e riconoscere i diversi linguaggi musicali con maggior cognizione di causa.