Apparentemente gli Akroterion sono una band fantasma, non suonano dal vivo, i musicisti si celano dietro degli pseudonimi. Ma c’e’ tanta sostanza nella loro arte: un pensiero convinto, un’idea comune: le tenebre sono alle porte!
Apparentemente gli Akroterion sono una band fantasma, non suonano dal vivo, i musicisti si celano dietro degli pseudonimi. Ma c’e’ tanta sostanza nella loro arte: un pensiero convinto, un’idea comune: le tenebre sono alle porte!
Risponde: BP Gjallar (chitarrista, cantante e compositore del gruppo)
Questo è il tuo/vostro secondo album? Se il primo era un solo project, “Decay Of Civilization” è il frutto di una band? Che tipo di approccio hai usato rispetto all’esordio, sia per la scrittura che le registrazioni?
“Decay of Civilization” è il secondo album di Akroterion, una one-man-band nata nel 2015 in un periodo in cui ero molto ispirato dal black metal scandinavo “old school”. Il fatto di lavorare da solo mi ha consentito di essere molto libero nell’approccio compositivo e contemporaneamente molto rapido nella realizzazione del primo lavoro “Commander Of Wild Spirits”. Scrissi le tracce del secondo album mentre il precedente era ancora in fase di registrazione, seguendo praticamente lo stesso metodo (componendo in solitudine, generalmente nottetempo). I brani nascono partendo da un riff di chitarra o da una progressione armonica, oppure dalla visione di una situazione successivamente musicata e corredata da un testo adatto. Entrambi i lavori sono stati registrati nel mio studio personale ma, rispetto a Commander Of Wild Spirits (che è un esordio molto sperimentale), nel secondo c’è stata una maggiore cura negli arrangiamenti, nelle strutture armoniche, nel suono e nei dettagli in generale. La collaborazione con gli altri musicisti è nata in un secondo momento perché un risultato più ricercato poteva essere garantito solo da un apporto esterno. Registrammo le nuove tracce mantenendo il modus operandi artigianale arricchito però dall’esperienza passata: Francisco Verano ha interpretato le parti di batteria in maniera personale ma molto aderente a come le avevo pensate io, mentre H. Škrat ha riadattato i miei testi al suo modo di cantare mantenendo il senso e l’intenzione originali; io mi sono occupato delle chitarre, delle tastiere, del basso (in quasi tutte le canzoni) e delle clean vocals. Ci siamo rivolti ad uno studio differente per il mixaggio e il mastering, inoltre abbiamo voluto dare un taglio artistico più caratteristico anche alla parte grafica coinvolgendo Luka Morena degli Aganis che ha realizzato un artwork spettacolare. “Decay Of Civilization” resta un lavoro essenzialmente personale ma che, senza l’apporto degli altri musicisti, non sarebbe certamente riuscito allo stesso modo.
Il vostro stile è identificabile come black metal, ma tutte le recensioni parlano di una visione artistica più ampia. Pensi che questa sia la strada per distinguersi, ovvero fondere più influenze?
Attualmente riuscire ad emergere artisticamente è molto difficile, a mio avviso, per tre motivi: musicalmente è già stato detto praticamente tutto, inoltre il mercato discografico non sta vivendo un periodo molto fortunato, infine l’attuale interconnessione globale consente la diffusione di qualsiasi materiale (che sia o meno di qualità) ovunque e quasi istantaneamente. Il black metal è un genere che per sua stessa natura consente un certo grado di contaminazione con diversi stili senza andare troppo fuori tema e restando efficace nelle sue proposte. Tanto per fare due esempi mi viene da pensare agli Storm – un side project di Fenriz dei Darkthrone – che rivisitavano nel 1994 motivi popolari norvegesi in chiave decisamente più “robusta”, o agli italiani Inchiuvatu che realizzarono anni orsono alcuni lavori eccellenti mescolando il black metal a melodie mediterranee. L’obiettivo di Akroterion non è il distinguersi a tutti i costi ma il creare un prodotto artistico per il puro gusto di farlo partendo da una matrice black metal e, cercando di mantenere una coerenza stilistica, attingendo giocoforza dal variegato bagaglio di gusti ed esperienze musicali personali. La fusione di più influenze non è quindi ricercata per una maggiore visibilità ma è un aspetto inevitabile di questo tipo di approccio ed il fatto che il risultato sia in qualche modo originale ne è una naturale conseguenza.
Come ascoltatore e musicista sembri non avere confini, in campo rock e metal hai diverse esperienze? Ci parli del tuo curriculum e di cosa dobbiamo aspettarci dal futuro degli Akroterion, ma anche di te come artista?
Mi piace ascoltare tutta la musica e cerco di suonare al meglio delle mie capacità quanti più stili possibile per arricchire le mie competenze sugli strumenti, anche se ti confesso che da giovane avevo molto più tempo da dedicare a queste cose. Iniziai a suonare metal alla fine degli anni ‘80 principalmente da autodidatta passando in seguito all’hard rock settantiano. Feci parte di diversi gruppi del nord est italiano suonando molti stili differenti e mi affinai studiando con Glauco Venier e Riccardo Chiarion. Prima di tornare al metal con i Sulphurea nel 2012, collaborai per molti anni con un longevo gruppo progressive rock (Il Fauno di Marmo) sia come chitarrista, che come produttore dei tre album che registrammo durante la nostra carriera. Attualmente faccio parte anche dei Revenants e collaboro col maestro Massimo Devitor nel suo progetto Pat Heaven che merita un approfondimento a parte per i suoi risvolti sociali, oltre che musicali. Per quanto riguarda il futuro di Akroterion ti posso dire che, visto il successo che sembra riscuotere un brano dell’ultimo album dalle coordinate stilistiche più morbide e dark rispetto alle altre tracce, stiamo considerando seriamente una collaborazione con lo stesso Massimo per registrare questa canzone in maniera più professionale con nuovi arrangiamenti, nonché la realizzazione di un video. C’è anche la possibilità in un futuro non troppo remoto di effettuare qualche esibizione dal vivo con il supporto di qualche ospite musicale, anche se è un po’ difficile da organizzare per i molti impegni di tutti. Nuovi brani verranno composti se ci sarà la giusta ispirazione, non credo sia necessario forzare nulla a questo livello. Personalmente continuerò a scrivere musica e a suonare finché mi sarà concesso, quando comincerò a reputare la cosa grottesca vuol dire che sarà ora di smettere.
Il nome Akroterion da dove arriva? È legato alle bellissime foto, in bianco e nero tra montagne, con maschere e mantelli, che vediamo sulla tua pagina Facebook?
Akroterion è un termine greco che indica un elemento decorativo architettonico dell’arte classica. L’ho scelto perché suona bene e non mi risulta sia già stato utilizzato da qualche altra band. Inoltre è perfettamente in sintonia con lo spirito delle composizioni le cui tematiche prendono spunto dalle antiche tradizioni pagane europee. Il fatto che tu lo abbia accostato in maniera così naturale alle belle foto dell’amico Fabio Gon mi fa piacere, perché significa che l’abbinamento è stato scelto bene ed è efficace.
Nei testi si coglie una certa rassegnazione e pessimismo verso il futuro del genere umano. Puoi dirci qualcosa di più sullo spirito che anima gli Akroterion?
Sul pessimismo mi trovi d’accordo, sulla rassegnazione decisamente meno. Il fatto che l’attuale società “occidentale” sia ormai da anni in una fase sempre più rapida di declino mi pare lapalissiano ed è altrettanto evidente che nel resto del mondo non vada meglio. Premesso che la pubblicazione del materiale di Akroterion non ricerca assolutamente un fine educativo ma ricreativo, ciò non esclude che qualcuno possa trovarvi, vuoi per l’energia della musica, vuoi per il tenore dei testi, uno stimolo ad una reazione attiva rispetto al degrado esistente. La presa di coscienza della nostra eredità ancestrale (che deriva dal paganesimo antico, non dal cristianesimo) potrebbe essere il punto di partenza di un lavoro interiore individuale che, se sviluppato seriamente ricercando anche una risonanza corale, porterebbe necessariamente alla formazione di eggregori con ripercussioni anche a livello sociale. Io percepisco il black metal come un genere elitario, schierato, che non esprime rassegnazione ma una decisa ribellione, a volte anche violenta, verso il degrado spirituale alla ricerca di una qualche forma di purezza perduta. Da questo punto di vista se questa “purezza” dovesse essere in qualche modo raggiunta probabilmente non avrebbe neppure più senso l’esistenza stessa del black metal. Questo è essenzialmente lo spirito che anima Akroterion. È chiaro poi che ogni persona risponde in modo diverso all’ascolto di una qualsiasi canzone percependo spesso sensazioni differenti rispetto all’intenzione iniziale del compositore; ma questo è anche il bello della musica.
Perché pubblicare un album di una tiratura di sole 150 copie e nemmeno in versione digitale? Forse in un’epoca di totale esposizione, scomparire è l’unico modo per farsi notare?
Potresti aver centrato l’argomento. Questa scelta è stata fatta, di comune accordo con Gianni Della Cioppa della Andromeda Relix, sostanzialmente per due motivi: primo (fondamentale) gli Akroterion non sono gli Slayer; secondo penso che “Decay Of Civilization” sia, nel suo piccolo, un lavoro di qualità e credo che una tiratura limitata di questo tipo realizzata solo su supporto fisico ne impreziosisca il valore.
Ti ringrazio per questa inaspettata intervista e saluto i lettori di Musical News, un sito che apprezzo molto perchè offre spazio all’underground musicale italiano, senza distinzione di generi.