“In tutti questi anni il jazz non ha mai cambiato significato. E’ per me vuol dire sempre libertà”. E’ quanto ha affermato il produttore e musicista statunitense Quincy Jones, in occasione della conferenza stampa di presentazione dell’evento che, venerdì 13 luglio, lo vedrà protagonista all’Arena Santa Giuliana di Perugia, dell’apertura del 45° festival di Umbria Jazz.
Folla di giornalisti e fotografi per Jones, che nella sua carriera ha realizzato circa 40 album a suo nome, 24 colonne sonore e prodotti svariati artisti, da Donna Summer a Michael Jackson (porta la sua firma il best seller “Thriller”), vendendo tonnellate di dischi e ricevendo riconoscimenti in tutto il mondo. Umbria Jazz, in occasione del suo 85° compleanno, gli dedica una serata speciale. Ospite per la prima volta della manifestazione, l’artista presenterà sul palco alcuni artisti che hanno lavorato con lui, come Patti Austin, i Take 6, Dee Dee Bridgewater, Noa con Gil Dor, Ivan Lins, Alfredo Rodriguez e Pedrito Martinez. In più, ci sarà come ospite speciale Paolo Fresu. Dietro a loro, con gli arrangiamenti originali di Quincy Jones, la Umbria Jazz Orchestra diretta da John Clayton con Nathan East & Harvey Mason.
Ad aprire la conferenza stampa è stato il presidente della Fondazione Umbria Jazz, Renzo Arbore, che ha ricordato l’importanza di Quincy Jones per la musica e per il mondo del jazz in generale spiegando che “avere uno degli inventori del jazz moderno, il grandissimo Quincy Jones, per il 45° anniversario è un’emozione incredibile”. Con lui anche il direttore artistico di Umbria Jazz, Carlo Pagnotta e il regista della serata dedicata a Jones, Nanni Zedda, che spiegato che il concerto di Perugia è basato su arrangiamenti originali dello stesso Jones, abbracciando il meglio della sua produzione, dalle canzoni alle colonne sonore.
In apertura di conferenza stampa il musicista ha ricordato il suo rapporto con l’Italia e in particolare con i musicisti italiani. “Ho tanti legami forti con la musica italiana, da Romano Mussolini a Piero Piccioni, passando per Armando Trovajoli e Ennio Morricone”, ha detto l’artista, “Sono cresciuto con loro. In particolare quando ero nel comitato organizzatore degli Oscar sono stato promotore del Premio alla carriera a Ennio Morricone”, ha ricordato l’artista, “e devo dire che quando gli è stato consegnato l’Oscar mi sono commosso. Ricordo inoltre quando facemmo a Roma una delle date del mio progetto di charity We Are The Future (iniziativa del 2003, nda), dove vennero coinvolti diversi artisti italiani, come Zucchero e Carmen Consoli”.
Non poteva mancare una domanda sul singolo benefico di maggior successo della storia, ovvero “We Are The World”, da lui prodotto nel 1985 e che vedeva coinvolti i principali artisti dell’epoca. “Al tempo molti artisti statunitensi, sull’onda del progetto fatto in Inghilterra da Bob Geldof con “Do They Know It’s Christmas?”, furono molto motivati a fare qualcosa per la popolazione dell’Etiopia. In tanti vennero da me con la proposta di fare un tour con una quarantina di artisti. Io risposi che era impossibile, a causa dei costi elevati. Così dissi “facciamo una canzone e la registriamo in studio”. Alla fine riuscimmo a raccogliere subito oltre 63 milioni di dollari. Nel 2010 replicammo l’iniziativa con il singolo “We are The World for Haiti”. Però dico che ora basta parlare di We Are The World”.
Ospite di una manifestazione che nasce per un grande amore verso il jazz, Jones non ha mancato di rispondere sul legame che ha con questo genere. “Io ho vissuto tutte le fasi del jazz”, ha spiegato il musicista, “e ho frequentato ogni genere di musica. Ricordo quando a 14 anni con Ray Charles ci esibivamo nei locali e suonavamo di tutto, anche la musica classica. Questo è il concetto di libertà. Il jazz per me significa libertà di improvvisare, libertà di movimento, libertà di espressione. Insomma, la libertà di fare qualunque cosa. E in questo non ha mai cambiato di significato in tanti anni, anche se ha vissuto fasi di cambiamento. Il jazz è anche la libertà di poter spaziare, di frequentare altri generi”. Secondo Jones il successo è una conseguenza, non un obiettivo per chi realizza musica. “Mai l’ho fatto e mai lo farò di scegliere la musica per ottenere successi e guadagni”, ha detto l’artista, “Continuo a farlo per le emozioni che mi trasmette e che poi trasmetto agli altri”.
Uno sguardo anche al panorama rap e hip hop. “Ci si deve ricordare sempre di rimanere connessi alle proprie radici”, ha proseguito Quincy Jones, “Bisogna sapere da dove arriva la musica che suoniamo. Molti pensano, a esempio, che l’hip hop sia nato 30 anni fa. Niente di più sbagliato. E’ in giro da mille anni, è una ricostruzione di suoni che c’erano già. E’ un peccato che in America non ci sia un ministro della Cultura: potrebbe spiegare che la break dance viene dagli schiavi africani e dalla capoeira brasiliana”.
Infine, anche lo spazio per un simpatico ricordo legato all’Italia. Nel 1999 a Castel Gandolfo partecipò insieme a Bono Vox e Bob Geldof a un incontro riservato con il Papa Giovanni Paolo II per l’azzeramento del debito dei Paesi del Terzo Mondo. “Mi colpirono le sue scarpe, rosse”, ha detto Jones, “Che mi sembrarono fuori luogo e lo dissi a Bono. Il papa sentì il mio commento ma non se la prese a male”.