La mia ragazza mena davvero: J-Ax ci racconta Italiano Medio

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Sono da poco passate le 15, di un normale martedì di un normale 29 dicembre. Mentre sto a mettere in ordine i file contenuti nel mio PC, ecco ricevere sul mio portatile una telefonata da Milano. Chi può essere a quest’ora? Rispondo ed una voce abbastanza familiare mi rimbalza nell’orecchio. “Pronto Antonio” dice dall’altra parte della cornetta, “sono J-Ax. Come va?”. Si, non ci sono dubbi: è proprio J-Ax degli Articolo 31. La sua voce, mista ad una sorta di velata ironia, è inconfondibile. Che storia quella degli Articolo 31. Dopo l’esordio “Strade di città” (1992) trovarono notevoli consensi con “Messa di Vespri” del 1994, un album esplicito, diretto e volendo anche poco “politically corrett”. Era il tempo di “Maria Maria”. Poi il boom nel 1996 con “Così com’è” e una serie di hit micidiali come “Funkytarro”, “Trunkyfunky” e “Cosi e cosà”. Gli Articolo 31 erano diventati i protagonisti assoluti della scena hip-hop italiana. Avevano fatto diventare popolare un genere destinato a restare in una nicchia ristretta. Poi però per J Ax e D.J. Jad è arrivato il momento di dare una sterzata al proprio sound. Già in “Nessuno” si intravedeva qualche segnale (campionamenti da Natalino Otto a Bob Dylan) per arrivare alla svolta punk rock di “Domani”, fino al recente “Italiano Medio”, che ha portato i nostri ad un cambiamento radicale del proprio stile. Non è facile mutare pelle nella musica: se lo fai in maniera incondizionata rischi di bruciarti e di mandare tutto all’aria. Gli Articolo 31 consapevoli di rischi ed oneri sono andati avanti sulla loro strada ed il risultato è stato sorprendente: un nuovo pubblico oggi li ascolta, e sembra essere anche maggiore di quello del vecchio periodo. Tutto questo mi è balzato in mente nel lampo di un secondo, dal momento in cui J-Ax mi ha parlato e quello in cui ho detto “Ciao!”. Poi è iniziata una simpatica chiacchierata.

Con “Italiano Medio” viene rimarcata ulteriormente la vostra svolta in chiave punk rock. A cosa si deve questo mutare di pelle? E il pubblico che vi seguiva prima coma l’ha presa?

Più che si svolta punk rock io la definirei una svolta più verso la musica italiana e cantautorale. E’ possibile rintracciare nel nostro album vari stili, dal folk al punk. Credo che nel nostro discorso ci può rientrare sia il rap che il punk. Penso che la musica del 2002 non può essere definita. Quanto al pubblico, invece, ne abbiamo perso e guadagnato in eguale misura. Comunque lo zoccolo duro che ci segue sin dall’inizio c’è ancora. Quelli che abbiamo perso sono gli integralisti dell’hip-hop, ma nel complesso c’è stato un notevole ricambio.

Al M.E.I. di Faenza, dove avete ritirato il premio per il videoclip de “La mia ragazza mena” hai detto una frase che mi ha colpito molto. Ricollegandoti al discorso di Beppe Carletti dei Nomadi hai affermato che in tutti questi anni di attività gli Articolo 31 sono stati sempre coerenti perché in fondo sono stati sempre indipendenti. Voi incidente da molto tempo con la Best Sound, seppur supportati da una major. Ma è ancora possibile, e soprattutto facile, restare indipendenti nella discografia attuale?

Il problema è quando sei uno bravo a fare le canzoni e stai farti tutte le seghe mentali che vuoi. Alla fine il discorso è che ci sono tanti ottimi musicisti e gruppi in Italia che sono indipendenti, ma che non vengono considerati come tali. Pensa a Le Vibrazioni, che sono indipendenti da sempre. Il loro videoclip è stato prodotto da Demetrio Sartori, che per realizzarlo ha chiesto un prestito in banca, senza avere una major alle spalle. Sinceramente a Faenza ho visto tanta gente che se la canta e se la suona, come se volesse restare in un ambito elitario. A me francamente non interessa. La musica non è di élite, ma è per tutti.

Come è nata “La mia ragazza mena”?

L’ho scritta perchè la mia ragazza “mena” veramente. E’ cintura nera, 3° dan, di karate. Anche se a vederla sembra un uccellino. Una canzone d’amore molto scherzosa…

E’ stato facile per i vostri musicisti accettare questo cambio di stile così radicale?

Noi suoniamo da anni con la stessa band. I musicisti, che ci seguono dal nostro periodo hip-hop, sono contenti di lavorare con noi. Credo che sono molto stimolati da questo cambio di stile. Infatti adesso spaziamo dalle cover di Guccini ai brani di stampo punk-rock.

Hai definito “Italiano Medio” un album cantautorale. Quali sono i cantautori che ti hanno influenzato?

Due nomi su tutti: Vasco Rossi e Rino Gaetano. Vasco per il suo modo di scrivere decisamente unico. Con poche parole è riuscito a descrivere situazioni universali, che potevano condividere sia un ragazzo di Milano come me, che uno di Napoli, mentre lui è di Zocca. Rino Gaetano, invece, perché secondo me ha tre caratteristiche molto importanti: la satira, la poesia e l’ermetismo. Lo ascolto da 15 anni e ogni volta che sento le sue canzoni ci trovo sempre qualcosa di nuovo.

Hai preso parte all’ultima antologia degli Stadio, eseguendo la nuova versione di “Grande figlio di puttana”, ribattezzata per l’occasione “Un altro grande figlio di puttana”. Questo pezzo era stato citato all’epoca in “Funkytarro”. Com’era nata l’idea di citare questo grande pezzo degli Stadio?

Gaetano Curreri (voce degli Stadio n.d.a.), che conosco da alcuni anni, mi ha chiamato per partecipare a questa nuova versione di “Grande figlio di puttana”, ed io ho accettato molto volentieri. All’epoca di “Funkytarro” mi era venuto in mente questo pezzo. Siccome io sono uno che non si è mai fatto menate, allora decisi di citarlo. Tra l’altro non sapevo neanche che fosse un pezzo degli Stadio: ero convinto che fosse un pezzo di Lucio Dalla! Sai avevo 18 anni, più o meno…

Qual è secondo te lo stato attuale della scena hip-hop italiana?

A questa domanda preferisco non rispondere. La scena c’è sicuramente. Basta vedere i Gemelli Diversi, che con l’ultimo album hanno venduto 200 mila copie. Però è una cosa che a noi con ci riguarda più.

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