Sono stati la rivelazione del 2000 con il “Sussidiario illustrato della giovinezza”, album che ha vinto tutto quello che c’era da vincere. Non male per un gruppo indipendente, che arriva da Montepulciano (Siena), che propone una musica coinvolgente ed efficace, volta al recupero di una certa cultura italiana che tra gli anni ’60 e ’70 ha fatto tendenza. I Baustelle non guardano al passato con nostalgia, anzi se ne appropriano per fare appunto un’opera di “modernariato”, dove sonorità vintage convivono con gli strumenti più moderni. Ne abbiamo parlato con Francesco Bianconi (Fra) e Fabrizio Massara (Fab), che insieme a Rachele Bastreghi e Claudio Brasini, costituiscono il nucleo dei Baustelle. Con “La moda del lento” (Venus) il gruppo torna in pista: un lavoro tutto da ascoltare e, volendo, anche ballare a luci soffuse a passo di Baustelle.
“La moda del lento” arriva dopo il successo di critica e di pubblico ottenuto con “Sussidiario illustrato della giovinezza”. Come mai quasi tre anni per arrivare a questo secondo lavoro?
Fab: parafrasando una vecchia e per me indimenticabile canzone interpretata dalla Vanoni, risponderei a questa domanda dandoti tre motivi:
– la voglia di arrivare ad un risultato “estetico” che fosse soddisfacente
– la pazzia di pensare in grande, di desiderare un album pieno zeppo di melodie e parole che pesano, quando in giro invece tutto sembra andare nel verso opposto (soprattutto nella discografia italiana)
– l’incoscienza del tempo che passava, fra i cambiamenti nelle nostre vite, le tante canzoni via via scartate, ecc.
Nell’album prosegue la vostra opera di “modernariato” volta a recuperare certe sonorità legate alla musica italiana degli anni ’60 e ’70 e ad un certo tipo di cultura, che a distanza di tanti anni viene poco considerata come tale, ma solo rispolverata per brevi operazioni televisive. E’ stato facile per i Baustelle inserirsi nel contesto musicale italiano, che oggi tende nel complesso a dimenticare il passato? Penso, per esempio, al fatto che molti artisti da voi amati e citati non vengono neppure ristampati su CD. Vi ha in qualche modo aiutati la riscoperta, sul fronte internazionale, di certe sonorità vintage?
Fra: Sì, credo che in qualche modo ci abbia aiutato. Personalmente, senza gli Stereolab non avrei scoperto i Neu, senza Dj Shadow non avrei mai potuto venire a conoscenza di David Axelrod. Sono molto contento della riscoperta della musica da film italiana degli anni sessanta e settanta, e del magnifico lavoro svolto da etichette come Easy Tempo, Irma, Plastic, ecc. Ciò non toglie che certe influenze ‘vintage’ che puoi sentire nei Baustelle provengano da gusti nostri personali. Per Celentano, ad esempio, non devo ringraziare nessuno, mi piace e basta. Ho sentito “Storia d’amore” quando ero piccolo e ho chiesto ai miei se mi compravano la cassetta.
“La moda del lento” mi sembra sicuramente più maturo e curato rispetto al “Sussidiario”, che però forse era più spontaneo. In quanto tempo è avvenuta la scrittura dei vari brani?
Fra: Molte canzoni sono state scritte velocemente, subito dopo l’uscita del primo disco. Direi che più della metà delle canzoni del nuovo disco è stata scritta nei tre-quattro mesi successivi all’uscita di “Sussidiario…”
Come sono nate le canzoni “Arriva lo ye-yè” e “La canzone di Alain Delon”?
Fab: “Arriva lo ye-yè” nasce, come era già avvenuto ai tempi del primo album, da un incrocio fra una mia melodia che è poi diventata il ritornello, e le strofe composte in seguito da Francesco.
Fra: La musica de “La canzone di Alain Delon” è stata scritta abbastanza di getto, in un pomeriggio. Per le parole è stato più complicato, volevo descrivere con parole colloquiali, se non oscene e volutamente logore, la corruttibilità della bellezza.
Anche in questo lavoro vi siete avvalsi della collaborazione di Amerigo Verardi, figura storica dell’underground italiano degli ultimi 15 anni. Francesco Bianconi, tra l’altro, ha collaborato anche al progetto “Lotus” di Verardi, cantando in “Nessuno è innocente”. Com’è lavorare con personaggio di questo calibro?
Fra: Per me è un grande amico, più che un personaggio. Mi sono sempre trovato benissimo a lavorare con lui: è un grande autore italiano, che ha la fortuna/sfortuna di essere alternativo all’immondizia per cui il nostro Paese è famoso. “Nessuno è innocente”, la canzone dei Lotus in cui canto, ha un’atmosfera da night club marocchino che mi fa impazzire. Un vero gioiello. Sono onorato di esserci finito dentro.
Le canzoni di “La moda del lento” sono pubblicate dalla BMG Music Publishing, ma l’album esce ancora una volta per un’etichetta indipendente. Si era ventilata la possibilità di uscire per una major, o la collaborazione con BMG è destinata a svilupparsi in futuro?
Fab: le major italiane, sul fronte discografico, continuano ad ignorare per il momento il fenomeno Baustelle. Non possiamo che prenderne atto, e continuare per la nostra strada. Ho sempre pensato che quella dei Baustelle fosse la musica che avrei voluto sentire in radio, nelle televisioni e dovunque vi sia un altoparlante; la musica che non c’è…
E allora se davvero desideri una cosa del genere, e non ci pensa nessun altro, devi darti da fare, essere tu quella musica.
Nel booklet del CD c’è scritto “Baustelle si rende disponibile per colonne sonore su commissione”. Quali sono i registi con cui vi piacerebbe lavorare?
Fab: Più che passare per i soliti nomi tanto in voga oggi e così benefici per le classifiche (vedi Muccino, Ozpetek, ecc.) mi piacerebbe andare agli estremi, qualche giovane regista magari al debutto con un’opera stimolante, oppure qualcuno dei grandi “vecchi” del cinema italiano. Fra gli stranieri mi vengono in mente i nomi di Baz Luhrmann e Atom Egoyan.
Fra: Mi piacerebbe lavorare, fra gli italiani, con Dario Argento.
E sempre a proposito di colonne sonore, anche in questo album si possono riscontrare atmosfere morriconiane. Che cosa significa Ennio Morricone per i Baustelle?
Fab: Morricone è uno degli elementi cardine della cultura pop di una certa Italia. Anche fra decenni credo sarà impossibile raccontare determinate fenomenologie, determinate visioni estetiche, senza citare anche solo per qualche istante uno dei tanti eccellenti frammenti del maestro. Fosse per me darei Morricone come materia per le scuole, e consiglierei anche qualche ripasso alla giuria degli Oscar statunitensi, che hanno sempre ignorato in maniera indecente questo artista.
Per quanto riguarda i Baustelle, detto dell’inevitabile presenza nel proprio dna di elementi morriconiani, potrei aggiungere che questi sono legati in gran parte alle sue colonne sonore più o meno conosciute (cito fra tante “Metti una sera a cena”) ed alle sue collaborazioni più pop, ad esempio con Mina, Milva, Gino Paoli, ecc.
Fra: Per me è il più grande autore di musica da film di tutti i tempi. La differenza fra una colonna sonora di Ennio Morricone e, che ne so, una di Jerry Goldsmith, è semplice. La seconda la puoi ascoltare, senza le immagini del film, come musica di sottofondo. Se tieni basso il volume e nel frattempo ti leggi un libro, la musica tendi a non sentirla quasi più, arrivi ad ignorarla. Prova a fare lo stesso, se ti riesce, con “Giù la testa” o “C’era una volta in America”: butti il libro e, se sei un ragazzo sensibile, ti metti a piangere.