Simone Cecchetti: professione fotografo rock
di: Paolo Ansali
Per svolgere al meglio la professione di fotografo live, bisogna non solo amare il proprio lavoro, ma, se possibile, possedere una grande passione musicale. Sono qualità che di sicuro non mancano a Simone Cecchetti. Per svolgere al meglio la professione di fotografo live, bisogna non solo amare il proprio lavoro, e avere un buon gusto per l’immagine, ma, se possibile, possedere una grande passione musicale. Simone Cecchetti. Il giovane fotografo romano in questi ultimi anni ha intensificato la sua attività, che è iniziata nel 2001. Un lavoro non semplice ma di sicuro fascino che porta a conoscere gli artisti a stretto contatto, sia su un palco o in un backstage. Cecchetti ha avuto modo di riprendere il meglio del rock che è passato dal vivo nella Capitale, tra rock-star e gruppi internazionali e italiani, facendosi apprezzare per uno stile personale e incisivo. E’ stato “resident” in locali come Stazione Birra e ora il CrossRoads. Di recente ha raccolto i suoi scatti migliori nel libro From Heart To Lens (disponibile a richiesta al suo sito) e lo abbiamo incontrato per capire meglio l’attività di fotografo musicale
Quando è scattata la passione per la fotografia e hai capito che poteva essere il tuo lavoro? Ricordi il tuo primo concerto fotografato per lavoro?
Beh, la passione c’è sempre stata. Sono partito da una Canon AE-1 a pellicola, le polaroid e nel 2000 ho acquistato una delle prime digitali, una gigantesca (viste le dimensioni delle compatte digitali di oggi) Kodak da ben 1.3 Megapixel. Ho iniziato a fare i live per necessità con quella, gli altri fotografi mi guardavano male. Loro con le loro Reflex a pellicola e io con la mia digitalona. Ripensandoci è stato proprio un gran peccato, ho fotografato artisti come James Brown e Billy Preston con quella macchinetta e non mi è rimasto quasi niente. Ho capito che poteva essere il mio lavoro qualche anno dopo. All’inizio coprivo solo l’evento di Roma Estate al Foro Italico, dove ci sono sempre dei programmi eccezionali, nomi come Yes, Jethro Tull e Marillion. Poi ho iniziato a fotografare d’inverno. A quel punto ho pensato che poteva diventare un lavoro. Quando ho fatto il mio primo concerto al Palaeur ho capito che stava diventando molto interessante. Al Palaeur andavo più che altro come spettatore, a vedere McCartney, Rod Stewart, Clapton, Dylan, Van Morrison. Il primo concerto è stato traumatizzante, erano i Prodigy con i loro volumi assordanti, tutta quella gente, un bel delirio. Da quel momento è stato un “neverending tour” alla Dylan. Ogni sera un concerto indimenticabile. Dall’esperienza a Stazione Birra a Roma, con più di 300 concerti fotografati, e tutte le altre varie locations. A Roma ci sono le occasioni per fotografare, basta essere volenterosi e aggiornati.
Cosa cerchi di immortalare quando scatti una foto? Usi spesso dei ritratti ravvicinati degli artisti. E’ ormai la tua firma.
Ognuno ha il suo stile. Mi meraviglio ancora oggi quando vedo le foto degli altri fotografi, stessa attrezzatura, a 10cm uno dall’altro, ma foto completamente diverse. Io mi definisco un “ritrattista” live, cerco sempre di tirar fuori un bel ritratto, un primo piano, forse perché da spettatore mi ha sempre incuriosito il fatto che ad un concerto posso vedere per la prima volta il mio artista preferito dal vero, da vicino. Tutte quelle menate sull’anima dell’artista, catturare il momento e via dicendo. Mi piace semplicemente fare delle belle foto. Non sono uno di quei fotografi che cercano il momento spettacolare, anche se ultimamente ho cambiato attrezzatura e lavoro anche cercando un po’ di dinamicità. Ovviamente dipende dalla situazione. Se devi fotografare Gary Brooker dei Procol Harum, uno che ha quasi settant’anni, non è che metti un grandangolo. Meglio un bel ritratto “rugoso”. Se fai una band di ventenni che vengono ubriachi da Manchester a quel punto cerchi la cosa più spettacolare. Fondamentalmente cerco il ritratto perché in futuro vorrei concentrarmi un po’ più sui backstage e situazioni intorno al live. Non solo il concerto vero e proprio.
Pensi sia utile avere un contatto con i musicisti, oltre al concerto vero e proprio?
Si, mi piace avere un contatto con l’artista, non solo il concerto, due chiacchiere, entrare nel suo mondo ti aiuta a capirlo meglio e fare meglio il tuo lavoro. C’è gente che va a fotografare un concerto non sapendo nemmeno cosa va a fotografare. E’ un po’ difficile tirar fuori una foto che rispecchia l’artista senza sapere determinate cose.
Durante i concerti spesso i promoter impongono la regola di riprendere solo le prime canzoni in scaletta. Pensi sia troppo poco il tempo a disposizione? Come agisci in tali situazioni?
Su quello non mi sono mai preoccupato tanto. Il problema per me non è mai stata la durata dei pezzi da fotografare. Siamo arrivati anche ai primi 30 secondi di un concerto e ho fatto comunque delle foto che mi piacciono. Il problema è la distanza. Se mi metti a 50 metri dal soggetto da fotografare puoi anche darmi 15 giorni di tempo per fare una foto, ma sarebbe inutile. Questa è una battaglia che nel mio piccolo cerco di portare avanti, ma è dura. Con quelle distanze non serve essere bravo e non serve nemmeno l’attrezzatura da foto su Marte. Il discorso è molto semplice: Non si possono fare delle foto ad una persona che canta, al buio, da 50 metri. Tutto questo a scapito della qualità del prodotto che dai al tuo cliente. Che sia una rivista, un quotidiano o un sito web. Qui si vede la differenza tra l’artista e il fotografo. Chi deve documentare un evento, con una misera foto e chi deve stampare quella che potrebbe essere un’opera d’arte da mettere in una mostra o pubblicarla su una rivista seria, di settore. C’è chi dice, anche ai miei stessi colleghi, che questo non può essere un lavoro artistico, io mi considero un artista nel mio genere. Un primo piano mosso magari non sta bene su un quotidiano ma appeso al muro, in una bella cornice, ci può anche stare.
La tua attività non è solo dal vivo ma anche in studio. Ad esempio con i Rolling Stones. Come è capitato l’incontro con la più famosa band di rock’n’roll? Sei riuscito a riprendere anche il tuo idolo Paul McCartney?
Mi hai chiesto questa intervista solo per fare questa domanda eh? Mi spiace ma non posso rivelare tutti i miei segreti. Diciamo che fotografare gli Stones a mezzo metro è stata una bellissima esperienza. Emozionato? Beh, in quei frangenti devi cercare di razionalizzare altrimenti sei finito. Hai pochi minuti a disposizione e se non ti fai vedere professionale, freddo e soprattutto calmo, come se fosse per te una cosa normale fotografare gente di quel calibro, non ce la puoi fare. Io penso sempre di essere uno di loro quando faccio questo tipo di cose, anche quando sto sotto il palco. All’inizio ebbi la possibilità di fare Paul McCartney e mi sono presentato come il fan dei fan. A quel punto non sei credibile. Devi comportati come se normalmente vai a cena con Clapton una sera e con David Bowie al the delle cinque!
Abbiamo una tradizione di noti fotografi musicali in Italia, come Gallo e Harari. Oggi come vedi la situazione in Italia? Trovi ci sia professionismo nel settore?
Il professionismo te lo devi cercare dentro di te. Il fotografo professionista è quello che viene pagato per questo lavoro. E’ quello che investe nella sua persona o nell’attrezzatura. Sei tu che devi comportati sempre come un professionista. Il problema non è la professionalità del fotografo. Il problema è la mancanza di professionalità in tutto quello che c’è intorno. Quante sono le riviste che pagano i propri fotografi in Italia? Qual è la qualità del prodotto fornito dalle riviste italiane a differenza delle riviste internazionali? La risposta è semplice. Vai in edicola e compra qualche rivista e guarda la differenza. Investire sulla fotografia di qualità, sulla professionalità farebbe vendere di più. Compreresti più una rivista con delle foto belle o brutte? Il problema è che certe volte non si capisce la differenza tra una foto brutta e una bella. Ed ancora più grave di andare al risparmio. Non sono il tipo del “bello è soggettivo”, certe cose sono brutte a prescindere. Se uno le pubblica per risparmiare non cresce. E’ fondamentale crescere sempre. La professionalità forse è questo, saper crescere.
Hai realizzato il libro “From heart to lens” con le tue foto migliori, esposte anche in mostra. Con quale criterio hai scelto quelle da inserire?
Ho selezionato più di 500 foto. Le ho fatto scegliere ad amici e colleghi. Non è stato facile. Per me ogni foto è una storia, ma realizzare un libro con 500 foto era davvero un problema. Alla fine il libro è il risultato di più di un anno di selezioni. Il risultato mi piace. Il libro è disponibile solo online, a richiesta. Dal mio sito si arriva ad un negozio online dove ti stampa la singola copia. Il risultato mi piace. Bella carta, bei colori. E’ notevole ritrovarsi tutto il lavoro a portata di mano. E’ la chiusura del primo capitolo. Io la chiamo “Season One” come le serie televisive. Aspettiamo cosa di riserva la seconda stagione. Per la mostra è stato più facile, ho messo qualche foto del libro e altro materiale. Forse per me è meglio un discorso misto. Multimediale e di stampa. E’ in progetto. C’è già la location, forse a fine mese ne sapremo di più.
La copertina del disco di Francesco Forni "Tempi Meravigliosi" ha una tua foto, ti piacerebbe approfondire anche l’aspetto grafico legato alla realizzazione di un album?
Mi capita spesso di avere foto all’interno di un disco, vedi anche l’ultimo di Roberto Angelini “La vista concessa”. Per la copertina è un discorso che vorrei approfondire. Il disco di Francesco è fantastico, uno dei dischi più belli dell’anno credo. E’ stato un onore per me avere la foto di copertina. Se pensi che è il risultato di mezz’ora di lavoro. Io amo Annie Leibovitz, ma tre giorni per fare una foto che va su una copertina di un disco mi sembra un po’ troppo. Sono abituato a fare foto in cinque minuti di concerto, ancora meno in backstage. Avere tutto quel tempo a disposizione per fare una foto non è nel mio DNA. Poi chissà, magari quando sarò un fotografo più bravo o esigente ci metterò due giorni a fare le foto per una copertina.
Hai qualche buon consiglio da dare a chi inizia o sta scoprendo la passione per la fotografia? Organizzi anche dei workshop per accostarsi alla professione.
E’ uno dei lavori più belli del mondo, per gente come me che ha iniziato suonando, amando la musica, è fantastico far parte di questo circo. Guardare negli occhi gente come Mick Jagger e Elvis Costello, essere, in un certo senso, parte dello spettacolo è veramente incredibile. Auguro a tutti di fare il lavoro che più gli piace e quello del fotografo live è un gran bel mestiere. Vengo criticato perché ogni tanto faccio dei workshop in cui avvicino altre persone a questo mestiere. Altri colleghi mi hanno detto che sbaglio, che creo concorrenza, che non devo svelare certi segreti, le scorciatoie. Non mi importa, è un gran lavoro che ti da emozioni e se sei bravo riesci a darle a chi guarda le tue foto. Se posso aiutare qualcuno a fare un mestiere che ti rende felice. Ben vengano i fotografi ai concerti. Che siano trattati da professionisti però, da tutti.
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