Caparezza - Habemus Capa
di: Francesco D'Elia
Il secondo album era il più difficile? Il terzo non può esser da meno e Caparezza conferma le aspettative. Il secondo album era il più difficile? Il terzo non può esser da meno e Caparezza conferma le aspettative.
Satira, società, cinismo e irriverenza: benvenuti nella terra di Caparezza, un mondo grottesco e cinico, deformato ma maledettamente simile a quello reale. Diciamolo con chiarezza, soltanto un’artista unico come il Capa poteva uscirsene con l’idea del “disco postumo di cantante ancora in vita”, dando il via all’album con una marcia funebre e riprendendo il discorso lasciato in sospeso nel precedente disco; sintetizzato nella frase “mamma quanti dischi venderanno se mi spengo”.
Il disco vende di più quando l’artista è passato a miglior vita? E allora Caparezza muore. E già che c’è, s’impossessa delle vite altrui compiendo un percorso che porta l’ascoltatore ad esplorare i lati più disparati della società odierna fino a ritornare in vita. Un percorso inverso che ci introduce ad una miriade di situazioni, citazioni, autocitazioni, pensieri (politici e non) dove potersi immergere senza timore di perdersi. La ricetta è succulenta: abbiamo il rap (che ne “Il Silenzio Dei Colpevoli” ricorda in più passaggi il primo Eminem), il metal/punk (ascoltatevi “Ninna Nanna Di Mazzarò”), il contenuto politico (prendete “Inno Verdano”, dal testo affilatissimo) e la società (“La Mia Parte Intollerante”, “Felici Ma Trimoni”). C’è altro? Citazioni, persino musicali, se ascoltiamo attentamente l’intro in “Torna Catalessi”.
Forse questo disco di elementi ne ha troppi, il risultato però è interessante e pregno di spunti, con contenuti non possono che far riflettere. Da assimilare attraverso molteplici ascolti, cogliendo però di primo acchito i pezzi migliori: “Gli Insetti Del Podere”, “Ninna Nanna Di Mazzarò”, “La Mia Parte Intollerante”, “Inno Verdano”, “Sono Troppo Stitico” e “Titoli”.
Articolo letto 5223 volte
|