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Interviste
Pubblicato il 18/04/2017 alle 15:03:32Commenti alla notizia: Leggi - Inserisci nuovo

Lucrezio de Seta: non c’è sperimentazione senza tradizione

di: Manuela Ippolito Giardi

“Brubeck Was Right” è il secondo disco da solista che porta la firma di Lucrezio de Seta e pubblicato nel 2017 dall’etichetta Headache Productions.

“Brubeck Was Right” è il secondo disco da solista che porta la firma di Lucrezio de Seta e pubblicato nel 2017 dall’etichetta Headache Productions.

Un progetto moderno che alterna brani originali a famosi standard rivisitati, alternando tradizione e sperimentazione. Hanno partecipato alla nascita del disco Ettore Carucci al pianoforte, autore di gran parte dei brani del trio, e Francesco Puglisi al basso.

Lucrezio, partiamo subito dal titolo “Brubeck was Right!”. Nel disco c’è questo chiaro riferimento al celebre pianista e compositore. Ci vuoi spiegare, dunque, perché è così importante questa figura per questo trio?

Dave Brubeck è stata una figura straordinaria nel panorama della storia del Jazz dell’ultimo dopoguerra, nonostante sia raramente citato come punto di riferimento e/o esponente di punta di questo o quel movimento da giornalisti e musicisti. Aveva studiato la musica classica e se n’era allontanato favorendo le forme espressive più libere e legate all’improvvisazione. I suoi maggiori successi vengono proprio dalla commistione di sonorità estranee alla tradizione jazzistica e dall’uso di metriche dispari (“Blue Rondo à la Turk” e “Take Five”, firmato non senza dubbi sulla sua paternità dal solo Paul Desmond, ne sono gli esempi più luminosi), altro Tabù infranto grazie anche all’enorme successo che ricevette Take Five, notoriamente il 5/4 più conosciuto al mondo. Altro elemento caratterizzante del suo quartetto più conosciuto era quello virtuosistico, mai ostentato, ma sempre al servizio delle necessità espressive delle loro composizioni, che unito a un sempre presente collegamento alle radici Blues del genere lo rendono un perfetto riferimento all’atteggiamento di questo nostro lavoro discografico. Dico ‘atteggiamento’, anche perché in questo disco non troverete alcun brano del Maestro Brubeck.

Nel disco sono presenti standard con arrangiamenti nuovi e chiavi di lettura moderni: tra questi abbiamo notato anche una rivisitazione di “A night in Tunisia” in 7/4. Quali sono le linee guida alla base di queste nuove interpretazioni?

Siamo partiti da alcuni arrangiamenti che Ettore aveva elaborato anni fa per un suo progetto e li abbiamo adattati alle nostre sensibilità, cercando di mantenere una chiara riconoscibilità dei temi originali, ma dandogli quel pizzico di spezie in più che dessero a quegli standard ultra famosi una nuova luce e, a noi, lo stimolo a risuonali in modo diverso e divertente.

Oltre agli standard in questo disco sono presenti brani originali, alcuni dei quali firmati da Ettore Carucci, ci vuoi palare anche di queste composizioni?

Ettore è ormai uno dei miei pianisti di riferimento, avendolo coinvolto in entrambi i miei dischi solisti, oltre che un arrangiatore di rara sensibilità e originalità. Il fatto di avere pubblicato il disco a nome mio è quasi una sorta di formalità, ma si può tranquillamente dire che si tratta di un lavoro condiviso. Non ho voluto includere alcuna mia composizione in questo lavoro, proprio per non disturbare la coerenza che siamo riusciti a creare con l’alternanza di standard a brani originali provenienti da una sola penna, quella di Ettore!

Visto che si parla di standard e di arrangiamenti moderni una domanda secca! Tradizione e sperimentazione: cosa è più importante per te?

Questa è facile! Non c’è sperimentazione/progresso senza tradizione, e non sarebbe possibile identificare una tradizione se non ci fosse chi si è distaccato da essa evolvendone le forme e i contenuti.
Quindi la sfida più grande di un musicista che si muove all’interno di un qualsivoglia ambiente jazzistico è proprio quel ‘camminare sul filo’ del ‘progresso che parte dalla tradizione’. E chi suona jazz non può non amare le sfide, il jazz è di per sé un campo minato di cui si vanno a cercare proprio le mine, in modo da avvicinarsi il più possibile senza mai saltare in aria. Che fascino avrebbe suonare il jazz come lo si fa con le partiture della ‘Musica Seria’? Personalmente non ne trarrei alcuna emozione. Preferirei suonare Pop, perlomeno non sentirei quello stridere e scricchiolare proveniente dalle fondamenta di questo genere musicale.

Possiamo dire, dunque, che ancora oggi gli standard jazz, rivisitati alla giusta maniera, possono essere fonte di ispirazione e di innovazione?

Assolutamente, senza nulla togliere alla scrittura originale, che rimane in ogni caso l’unico veicolo di vera evoluzione.

Facciamo un attimo un passo indietro: “Movin ‘On” è stato il tuo primo progetto da solista. Cosa è cambiato rispetto alla tua prima pubblicazione? Ci sono delle differenze nel tuo modo di intendere il jazz e la musica?

Sicuramente, anche se sono passati solo due anni dalla prima pubblicazione. Quando ho iniziato a volere riprendere a occuparmi di jazz dopo la lunga pausa in cui mi sono cibato di Blues, R&B, Funk e Pop, ho dovuto rimettere in discussione tutti i risultati ottenuti in quegli anni e ricominciare, non dico da zero, ma comunque da uno o due, al massimo…
Suonare Jazz è tutt’altra cosa se ci metti la necessità di conoscere le sue radici, il controllo del suono del tuo strumento, la capacità di interagire con i tuoi compagni di formazione e, per un batterista più che mai, la necessità di adattare la tua tecnica a volume infinitamente più contenuti. Insomma lo studio porta intrinsecamente cambiamenti, e sono tutti cambiamenti che posso toccare con mano giorno dopo giorno.

Parlando invece della batteria possiamo dire che questo trio ti mette in condizione di utilizzare al meglio tutte le tue potenzialità di batterista (rispetto magari ad altre formazioni)?

Non saprei, in tutte le formazioni che porto avanti (trio, quartetto, quintetto) trovo sempre elementi di interesse e sfida continua. Certo il Trio ti da allo stesso momento molta libertà, ma anche responsabilità più pesanti. E’ vero che in tre c’è più spazio, ma c’è anche da dire che se non suoni nulla in tre si sente subito. Il che è molto stimolante, ti fa ragionare su cosa suonare nell’intento di trasmettere intensità e continuità ma contemporaneamente dando anche spazio a intuizioni e spunti estemporanei che alimentino l’improvvisazione. Poi sai, se ti trovi ad affrontare strutture non convenzionali, kicks, ritmiche inusuali, e interazione a 360 gradi, beh… direi proprio che c’è poco spazio per annoiarsi.

Prima di lasciarci parliamo un po’ del futuro: hai già in mente nuovi progetti da mettere in cantiere?

Tanti, fra cui alcuni già realizzati e pronti per essere pubblicati. Ma si sa, non si può seguire 4 o 5 progetti contemporaneamente, per cui i prossimi seguiranno in modo da fare da ponte fra questo e i miei prossimi impegni. Voglio potermi dedicare ad uno alla volta in modo da affinare le peculiarità sonore ed espressive di ogni formazione. Non trovo più piacere nel dimostrare a me stesso, come facevo in gioventù, che ero in grado di passare da una band di Root Blues al Power Trio fusion o da un’orchestra di 80 elementi al trio jazz acustico passando per il tour pop dell’artista di punta del momento. Oggi voglio potermi immergere in un suono alla volta in modo da sentirmelo bene addosso, il che non avviene in due giorni di prove, ma dopo mesi di concerti, se tutto va bene. Dopodiché sono pronto per mettere tutto da parte e ricominciare da una nuova idea di suono.

E soprattutto per quanto riguarda il live vuoi aggiornarci su qualche data in particolare?

Ho una manciata di impegni da qui all’estate fra cui molti jazz club e qualche piccola rassegna. Poi, a dicembre, faremo un giro che toccherà Italia, Svizzera, Germania e Paesi Bassi e non vedo l’ora di caricare la macchina e partire! Ci stiamo lavorando da mesi e ti assicuro che non è una cosa semplice, ma l’entusiasmo dei direttori artistici mi motivano ad andare avanti. Ovviamente i Festival estivi rimangono la preda ambita da tutti noi, ma si sa, sono pochi quelli che possono permettersi di confermare con 6 mesi di anticipo il loro cartellone, quindi invito chiunque a visitare la mia pagina facebook che viene aggiornata di volta in volta con tutte le mie date e impegni.



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