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Pubblicato il 07/01/2015 alle 18:48:23Commenti alla notizia: Leggi - Inserisci nuovo

Caro Pino ... e' stato bello

di: Maristella Panepinto

Il mio ricordo di Pino Daniele. Dalle paghette messe da parte per i suoi dischi a quel concerto di nascosto dai miei genitori. Oggi, come migliaia di altri fans, piango e canto per lui.

Il mio ricordo di Pino Daniele. Dalle paghette messe da parte per i suoi dischi a quel concerto di nascosto dai miei genitori. Oggi, come migliaia di altri fans, piango e canto per lui.

Avevo 14 anni, ricordo il giorno esatto - era d’estate - quando decisi che Pino Daniele sarebbe stato il mio cantante preferito.

In radio girava a ruota libera Io per lei e quel video, con Pino dai capelli lunghi, tuta mimetica e chitarra “a intaglio” era un must di quegli anni ’90 sgorbi e un po’ tamarri. E io iniziai ad amare Pino, quella sua voce strana, quei suoi assoli nostalgici alla chitarra e quella musica diversa, dal resto della musica che mi girava intorno. Ho un padre con un talento musicale immenso, con la chitarra è un maestro, sebbene non abbia mai preso una lezione. Pino, però, non gli è mai piaciuto. Mi ha fatto una resistenza feroce quando ho iniziato a far girare i suoi dischi per casa. All’epoca, a Casteltermini, il paese dove sono cresciuta, c’era un negozio di “musica”, era di un certo Alessandro. Ricordo che prenotai non so quanti cd di Pino, da "Bella ‘mbriana a “Nero a metà”. Accumulai paghette e spiccioli con frenesia, pronta a devolvere tutto per realizzare il sogno di una discografia semi-completa di un artista di cui, d’improvviso e senza un perché, mi ero letteralmente innamorata. Intanto a casa mettevo a ripetizione “My name your name messi vicini per caso, nel blu di quel biglietto che non ti ho mai dato”. Pino mi aveva fatto scoprire la musica vera, quella grande, che ti accelera il cuore e ti spara dentro la testa ispirazione e ubriacature di quelle belle, che non stordiscono ma danno gioia. Non ricordo come, ma riuscii a recuperare due cd incantevoli: “Un uomo in blues” e una delle sue prime raccolte . Mi infilai nel mondo delle “Napul’è”, “Quanne chiove” e l’”Alleria”. Piangevo ad ascoltare quelle poesie napoletane, musicate con l’ispirazione di chi è grande e tale rimarrà per sempre. Fu a quel punto che convinsi mio padre ad ascoltare un brano, di cui non ricordo il titolo. Era un motivetto “puttaniero”, che cominciava con quattro note di chitarra: “Ma cos’è questa tristezza ehi ma che d’è sta musciaria, sarà o tiempo o l’aria strana o è sulu a capa mia”. Mio padre si innamorò di quella canzone senza successo e ancora oggi, quando ci dilettiamo a canticchiare insieme, è uno dei cult del nostro repertorio. Dovetti aspettare che passasse qualche anno per vedere da vicino Pino. Medina era una disco “contaminato” come diceva lui. Aveva suoni africani, quelli che cominciavano a piacere al bluesman di Napoli. Il teatro Metropolitan di Palermo era un tripudio, io ero riuscita a mettere insieme i soldi per meritarmi l’ultima fila: ottantamila lire per un sogno! Ai miei genitori avevo inventato una balla monumentale, con la complicità di Valentina, un’amica di quelle che resistono. Con me c’era il mio fidanzatino di allora, grande conoscitore di buona musica, al quale però non riuscii a contagiare l’amore per Pino. Fu una delle mie emozioni più grandi. Pino spuntò al centro del palco, tutto vestito di nero, imborghesito nei modi, nel look, financo nella remise en forme. Con lui una band di sole donne: bellissime, scollacciate e assatanate di musica. Prima di andare via, staccai da una parete del teatro un enorme manifesto con la foto di Pino. L’ho appeso sul lato della mia storica libreria, proprio di fronte al mio letto. E’ lì ormai da quasi vent’anni. Tutte le volte che torno a casa dai miei, guardo sempre quel poster con la soddisfazione di chi ha centrato un piccolo sogno. Pino l’ho rivisto dal vivo tante e tante altre volte. Ne ricordo un paio con un battito di cuore. Nel 2002 mise su un progetto con De Gregori, Ron e la Mannoia. Avrebbero fatto tappa al velodromo di Palermo. Con un mio amico di infanzia, tale Peppe, organizzammo una spedizione. Da Casteltermini saremmo partiti in treno e una volta arrivati a Palermo, in qualche maniera, avremmo raggiunto il velodromo. Fu un’impresa, era pieno agosto, i mezzi pubblici erano claudicanti e la meta era fuori città. Ciononostante riuscimmo nell’impresa e ci guadagnammo un posto proprio sotto il palco. E Pino faceva magiche le musiche sue e quelle degli altri con quei suoi arrangiamenti, che li riconosceresti tra mille. E quando intonò l’inizio di “Oh che sarà” sciolsi gli occhi in un pianto, che aveva dentro tutta la mia gioventù, i vent’anni, i sogni le paure e tutte le cose che ancora non conoscevo. Alla fine del concerto, carichi di felicità, raggiungemmo Palermo in autostop, ciondolammo per la città una notte intera, esausti per la giornata infinita, mentre la città dormiva e non ci concedeva il premio di un solo bar aperto. Nel 2004 realizzai il sogno. Facevo gavetta al Giornale di Sicilia e davo l’anima per un mestiere, che volevo diventasse l’alfa e l’omega della mia vita. Riuscii ad avere un lasciapassare per una trasmissione di Fiorello a Roma, al delle Vittorie. Quel sabato ospite d’onore sarebbe stato Pino. Misi in valigia il primo cd che mi capito tra le mani: “Dimmi cosa succede sulla terra”. Dietro le quinte incrociai Pino, mi avvicinai timida e gli allungai il disco. Lui lo autografò senza attenzione e io pensai di avere tra le mani un tesoro. Sarebbe bello dire che conservo quella copertina come una reliquia. Non è così. Smarrii quel disco a Roma, nella confusione delle valigie in albergo. Non lo ritrovai più e quando ci penso mi sale una rabbia senza confine. Ho un altro ricordo piccino, che ogni volta mi dà un sorriso. Era il 2004, uno dei dicembre più sorridenti della mia vita. Mi trovavo a Salerno e mi imbattei in una banda di ottimi amici musicisti: Alessandro Russo, un mago del pianoforte, Carmine D’Aniello, voce esaltante, Gianni Sorvillo, percussionista e degno allievo di Tony Esposito. Con l’egocentrismo dei vent’anni, chiesi loro di ospitarmi in un concertino, volevo cantare quella canzone che piaceva e piace tanto a mio papà: “Ma cos’è questa tristezza ehi ma che d’è sta musciaria”. E la cantai in una piazzetta di Salerno, con un freddo cane che mi penetrava la gola, il pubblico che voleva cantare con me, ma non conosceva una sola parola di quel brano, forse l’unico, un po’ sgarrupato, sebbene scritto dal maestro. Caro Pino ti ricordo con questa canzone e con una lacrima. Sei e rimarrai il mio cantante preferito. Alla notizia della tua morte, io Alessandro, l’uomo della mia vita, non ce la facevamo a prendere sonno. Lo abbiamo saputo dai social e abbiamo sperato si trattasse di una bufala. Abbiamo principiato che, da quando stiamo insieme, non è passato giorno senza avere ascoltato un tuo brano. La nostra preferita è “Sicily”. Amiamo alla follia anche “Quando”, ma non ne abbiamo mai compreso una strofa: “Chi vuole un figlio non insiste”. Ho sempre desiderato chiederti il perché di questa frase, tu che di figli al mondo hai avuto il privilegio di darne tanti. Ma oggi ti ricordo con quella sgarrupata, quella che canto sempre con mio papà: “E invece no, ridiamoci sopra un po’ na scarpa sì e una no, come in un film di Charlot…dibudi du du, da di bu di bu duuu”…

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