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Stadio - L'amore volubile (Emi)di: Ambrosia J.S. Imbornone Gli Stadio offrono ai fan della musica italiana d’autore un album intriso di una malinconia struggente: in un disco liricheggiante e realistico ad un tempo, cantano un amore lacerato tra la realtà del distacco e l’indistruttibilità della passione Giunti al 17° album, il 13° di inediti, gli Stadio non hanno paura di cantare i sentimenti, con un pop d’autore mai scontato e appassionato. L’ormai consolidata accoppiata Gaetano Curreri/Saverio Grandi ha sfornato per questo cd canzoni struggenti, poetiche e malinconiche, che ben illustrano le varie sfaccettature dell’amore volubile del titolo. Protagonista del disco è difatti proprio l’instabilità delle relazioni, che espone anche la persistenza dei sentimenti al trauma della separazione. L’antagonista è invece la confusione del cuore, la distanza, l’impossibilità di spegnere la propria inquietudine interiore e di rassegnarsi allo sbiadirsi dei ricordi. “Rimane soltanto quel senso di cose perdute che non tornano più”, constata la title-track del disco, che anche musicalmente è non solo uno dei brani più efficaci e coinvolgenti del disco, ma anche uno dei più rappresentativi: il suo punto di forza è infatti il binomio composto da eleganti linee di piano e dai riff e gli arpeggi delle chitarre elettriche, che con le chitarre acustiche costituiscono una molteplicità di voci votate ad esprimere la dolcezza dei versi, la grinta dell’anima rock del gruppo, la qualità degli arrangiamenti. Se gli assoli anni ’90, senza mai essere eccessivi e virtuosistici, scandiscono con la loro espressività delicata lo scolorarsi delle immagini della memoria e lo stemperarsi dei rancori, l’organo di Nicolò Fragile apporta una nota di ulteriore raffinatezza ai pezzi, orchestrati sempre con attenzione e con maestria. Lo stesso Fragile, già collaboratore di Mina, Eros Ramazzotti, Irene Grandi, Renato Zero e tanti altri, ha scritto e diretto gli archi dell’ultimo singolo del gruppo, “Mi vuoi ancora”, una ballata che descrive la comunione spirituale e la passione che la lontananza non spegne, ma amplifica nel tormento interiore dell’inattingibilità. I violini dell’Orchestra dell’Associazione Italiana Musicisti, diretti nelle altre tracce dal fido Alessandro Magri, si fanno infatti nel disco voce dell’amore sognato; le linee di archi scritte da Saverio Grandi impreziosiscono così la stessa “L’amore volubile” e accompagnano il lirismo impagabile di “Fine di un’estate”, che vagheggia il sogno di un amore eterno e invincibile, aprendosi dopo un avvio in sordina all’insegna dell’oboe ad un ritmo più sostenuto, appassionato e travolgente. Il violino però arricchisce anche uno dei pezzi più ritmati dell’album, il singolo di lancio “Buona sorte”, incentrato sulla serena consapevolezza della legge naturale dell’alternanza gioia/sofferenza, illusione/delusione, nell’augurio corroborante di vivere la vita con positività ed energia, confidando nel futuro. Una bella ritmica sostiene anche la canzone scritta con il giovane cantautore Matteo Cocconcelli, “Le ultime parole famose”, che ironizza sugli scherzi dell’istinto e delle fragilità umane, sui brutti tiri del destino e della cattiveria altrui, in grado di sbriciolare convinzioni e propositi, giacché la razionalità non può controllare cuore e caso. Il brano si regge sull’originale accostamento di un tocco di elettronica alla tromba, qui suonata da Maurizio Piancastelli, combinazione singolare che anima anche la strumentale “Senza parrucche”, scritta con il grande trombettista jazz Paolo Fresu e degna chiusura pienamente in linea con il mood prevalente del disco, caratterizzato da una malinconia che si trasforma in serenità dolcissima. E’ questa infatti l’atmosfera per esempio della chiusa del pezzo “Mercoledì”, i cui archi sono stati scritti dal chitarrista storico della band, Andrea Fornili, arrangiatore anche di altri due brani impregnati di un passionale romanticismo, l’onirica, conturbante e fascinosa “Di nessun altro” e “Le mie poesie per te”; quest’ultimo pezzo canta la sudditanza psicologica a ricordi lancinanti, che rendono i giorni in solitudine una pena da scontare sopravvivendo, nell’assenza di un alibi per una separazione incomprensibile. Un po’ di amarezza affiora in “Sinceramente”, in cui l’amore si rivela essere stato per una lei ormai lontana solo un gioco dei sensi, una sfida che lascia strascichi di rabbia, nello svaporare delle speranze di una storia felice, ma in fondo la cifra stilistica degli Stadio, che è da tanto garanzia di qualità, è proprio nella mescolanza di “lacrime e sangue” (“Canzoni per parrucchiere”), che dona realismo, concretezza e vividezza alle storie narrate dall’inconfondibile e carismatica voce di Gaetano Curreri. Articolo letto 4435 volte Riferimenti Web
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