Riccardo Maffoni: Faccia
di: Paolo Polidoro
Ritorno in scena di Riccardo Maffoni con il disco “Faccia”, proprio chiamando in causa la title track del lavoro e ascoltandola con severità che trovo evidenti le tracce di questa dicotomia Ritorno in scena di Riccardo Maffoni con il disco “Faccia”, proprio chiamando in causa la title track del lavoro e ascoltandola con severità che trovo evidenti le tracce di questa dicotomia.
Disco irrequieto nelle vene, magma tiepido nel sottopancia, dietro le quinte, in realtà si presenta parco e riflessivo anche nei momenti dove la serenità sembra farsi fragile e in balia della rabbia, c’è questo continuo contrappunto dietro le 14 tracce di questo nuovo disco di uno dei rocker autorali più interessanti di questo momento indie-pop italiano.
Un suono si grintoso ma sereno nella facciata capace di nascondere del fuoco di rivoluzione dentro, al riparo da occhi indiscreti, perché con l’imtimità e i suoi segreti non si scherza e Maffoni a questo ci tiene molto, quindi se volete apprezzare davvero abbiate tempo e coraggio di oltrepassare la buccia delle apparenze, ed è probabilmente questa la ricetta che ha portato l’artista bresciano che forse conosciamo più per i suoi trascorsi tra gli omaggi alla Springsteen, a sfornare un nuovo disco altamente ispirato dopo circa 10 anni di silenzio dalla sua personalissima scena inedita.
Grandi riflessioni e dei testi in bilico tra l’impegnativo ed il commerciale, bellissime tracce di Vasco in “Sotto la luna”, ecco un altro punto, forse debole, che spesso ricorre nell’estetica del nostro, complice forse anche la timbrica e quel certo modo di chiudere le vocali e in genere le chiuse delle frasi.
Ad esempio un brano che ha tutto il diritto di vestirsi di epico fascino come “L’uomo sulla montagna” è nettamente ispirato e ricco di citazioni di stile in direzione del Blasco nazionale del suo vomito stupendo, ma non solo questo, sposa anche l’elettronica Maffoni nella splendida “Mi manchi di più” e non si trovano ragioni apparenti per giustificare un brano strumentale come “Scala D” eppure la commistione e il dialogo del tutto non si interrompe piuttosto si celebra, e le tracce del De Gregori più “rock” in “La mia prima constatazione” sono tutte scuse buone ed efficaci per tirar fuori l’anima blues che in Maffoni non deve mai mancare, e il dialogo, quando di blues si parla, sembra farsi coerente ed equilibrato oltre misura.
Un disco massiccio, grosso e per alcuni versi anche grasso, forse avrebbe dovuto limare i fianchi e mettersi un poco a dieta visto l’andazzo del tutto e subito di quest’era moderna, un rock d’autore come poche volte ancora capita di ascoltare, un bel disco da avere.
Articolo letto 1954 volte
|