R.E.M. a Roma: nuotando la notte nel fiume delle suggestioni
di: Alessandro Mallozzi; Fonte: www.remfriends.com
La band americana inaugura alla grande la stagione dei concerti all’aperto regalando non solo emozioni a piene mani ma la perla delle perle: nightswimming!
Stadio Olimpico – 10 Giugno 2005
Diciamolo, è difficile per un fan scrivere una recensione obiettiva di un concerto del suo gruppo preferito.
Se poi quel fan, come nel mio caso, è così folle da seguire questo gruppo da quasi vent’anni, ancora più folle per essere stato insieme ad altri folli come lui il fondatore del fan-club italiano, quindi il creatore del primo sito italiano interamente a loro dedicato (www.remfriends.com), del relativo newsgroup (it.fan.musica.rem) solo per cercare altri amici che condividessero con lui la medesima passione ed infine così folle da aver visto un innominabile numero di concerti, beh diciamolo la cosa si fa molto più difficile.
Eppure non so, quando mi chiedono ma i R.E.M. li hai appena visti, a gennaio, a Milano e Bolzano, cosa ti spinge verso questi altri due show? (la band di Athens è stata una degli headliner del festival di Imola)
E io, giuro, non capisco questa domanda, è come domandare ad un buongustaio, insomma ad “un pranzano”, ehi ma i tortelli d’erbetta li hai mangiati la settimana scorsa, come mai li mangi anche oggi?
La risposta è una sola: sono ottimi, perché dovrei perdermi un’occasione per mangiarli ancora?
I R.E.M. sono così, come tutte le “band stellari” hanno avuto i loro alti e bassi, sia a livello compositivo che di vendite ma dal vivo non si discutono, sono e rimangono una delle poche band ancora in circolazione capaci di regalarti emozioni a piene mani.
Se non credete alle mie parole chiedete pure ad uno qualsiasi dei quindicimila fortunati spettatori della curva sud dello Stadio Olimpico presenti in un venerdì sera dal clima non troppo estivo.
La città eterna.
Era destino che i R.E.M. dovessero tornare a Roma. Dieci anni da quella serata dove tutto andò storto, quella dei due black-out, dieci anni dopo la morte dell’amico Kurt Cobain, dieci anni da Monster, l’album elettrico, l’album “cattivo”, dieci anni per riassaporare il caldissimo e lungo abbraccio del pubblico del Sud Italia, spesso, troppo spesso trascurato dai grandi eventi.
E così si riparte da li.
Dopo il non esaltante, completamente inutile e terribilmente pacchiano, siparietto di RDS con volume a palla e l’ingombrante presenza di Anna “prezzemolo” Pettinelli con tanto di DJ a seguito ed il prescindibile show degli emozionatissimi ZeroPositivo, un innesto non troppo riuscito delle Vibrazioni nei Velvet creato ad arte(?) dalla stessa major della band di Athens, arrivano sul palco e due schitarrate di Peter Buck ci portano nell’atmosfera di I took your name: this is music!
Il palco non è niente di faraonico, ma i R.E.M. sono così, non fanno proclami durante i loro show anche se hanno partecipato al tour Vote For Change e sono chiaramente schierati contro Bush, non vivono d’immagine, a loro basta la musica, qualche decina di tubi al neon che scendono e due megaschermi per gli spettatori che devono gustarsi lo spettacolo dagli spalti, dalla prima fila però è tutta un’altra cosa.
Nonostante qualche problema di audio si prosegue con Kenneth, beh se qualcuno non l’aveva ancora capito questo è rock, energia allo stato puro. Ma siamo solo all’inizio, Michael Stipe al solito truccato con la maschera ci dà il benvenuto, presentando These Days come “una nostra richiesta”. Non sappiamo da chi venga la richiesta ma il regalo è assai gradito dal sottoscritto e dal pubblico che canta e balla seguendo i possenti accordi di Peter Buck e l’incedere ritmico di Mike Mills.
“This song goes out to all the outsiders”
La batteria di Bill, no non Berry, l’altro e la chitarra sporca di Peter trasformano la canzone “rap” di Around The Sun, tanto amata quanto odiata, in una ballata ricca d’atmosfera che non lascia indifferenti. Ma non c’è tempo per fermarsi, è in arrivo un’altro tuffo nel passato con Driver8. I ragazzi sono in forma, si vede che le “Vacanze Romane” hanno fatto bene a tutti, la band composta inoltre da Ken Stringfellow alle tastiere e Scott McCaughey alle chitarre era infatti già da qualche giorno a Roma e non ha mancato l’appuntamento con il concerto di Bruce Springsteen.
Michael non fa a tempo a ringraziare il calorosissimo pubblico romano che parte Bad Day, “la vice” di It’s the end che purtroppo, con una scelta che non tutti hanno digerito, non chiude più da tempo i concerti dei R.E.M. E’ uno spasso vedere il cantante al lavoro con l’armonica in bocca ed il parapiglia per accaparrarsi il cimelio lanciato verso la prima fila.
“This next song take places in the city of my heart: New York City”.
Tutto lo Stadio canta l’ultimo singolo di successo. Se qualcuno aveva qualche dubbio sullo stato di grazia del cantante dopo l’esecuzione di Leaving New York, pezzo dalle vocalità irte di difficoltà che in passato ci aveva riservato qualche cattiva sorpresa, sicuramente questi si sono sciolti come neve al sole.
Anche perchè con Leave versione “cattiva”, altro gradito regalo, non è solo la voce in primissimo piano, ma il carisma sensuale, il corpo usato come fosse un burattino animato da argento vivo che ti ipnotizza, e l’animale da palcoscenico che rimane sul palco con Animal, altra versione tiratissima.
E’ ora di riposarsi un’attimo, è il momento dell’intimità, lo stadio si accende, cellulari o accendini, qua cantano veramente tutti, è la sublime Everybody Hurts.
“Now we perform my favorite song from the last record and tonite this song goes out to the memory of our friends from sicily Francesco Virlinzi” è Electron Blue. Sarà, ma una volta le canzoni preferite di Michael erano altre.
“This next song take places in Los Angeles California” Mike Mills si scatena al piano, è Electrolite, dolcissima e meravigliosa come sempre “you are the star tonite!”
Altro giro, altro regalo, inaspettato, il successo di Out Time dovuto a Losing ha portato il grande pubblico a conoscere anche Me in Honey, tutto l’Olimpico intona il ritornello, si balla che è un piacere. Ma attenzione perchè sul palco compare un megafono, è Orange Crush da Green, ancora energia pura, il buon Bill fa un’ottimo lavoro alla batteria, Peter alla chitarra pensa al resto.
“Veniamo da lontano, da un paese strano e confuse chiamato Stati Uniti d’America. Questa è una canzone che abbiamo scritto per protestare contro l’azione di Guerra del nostro governo”
Sui megaschermi che noi non vediamo scorre il testo di Final Straw (L’ultima goccia) che dal vivo riacquista tutta la freschezza che si era volatilizzata nell’album.
Per il finale scoppiettante ancora rock dal passato con The One I Love, una di quelle canzoni senza tempo che solo i grandi possono scrivere, è sempre un immenso piacere passare 3 minuti così.
Si prosegue con quella Walk Unafraid, perla di assoluta grandezza da UP, altro album amato e odiato, “la canzone che mi ha salvato la vita” e non solo a Stipe. Ma ecco Peter che imbraccia il mandolino ed è tempo di turarsi le orecchie, sta per arrivare l’inno, la canzone del successo planetario, Michael inizia il solito sensuale spogliarello di rito mentre tutto lo Stadio canta a squarciagola la bellissima ed inevitabile Losing My Religion.
Prima dei bis compare la scritta “Roma” in rosso sui megaschermi a lato del palco, chissà cosa avranno pensato i tifosi della Lazio!
Si riparte ancora forte con un Michael veramente in stato di grazia, Imitation of Life, altra canzone dalle difficili tonalità affrontata di petto. Ma Get Up!, il concerto non è ancora terminato, i ventenni che hanno scoperto i R.E.M. con la canzone precedente forse sono increduli ma i fan di vecchia data si divertono, cantano e ballano. Due generazioni a confronto che si ritrovano a metà strada con The Great Beyond, la sfida vinta di scrivere un’altra canzone su Andy dopo Man on The Moon.
Spiace dirlo ma la scelta di Wanderlust, che anche se dal vivo guadagna punti, visto quello che seguirà sembra quasi una scelta suicida, un’abisso di distanza a livello compositivo e qui i rimpianti per il compositore Bill Berry ci stanno tutti.
Ci siamo, il sogno a lungo cullato, il sogno a lungo richiesto si materializza. Non sapremo mai se sia stato solo per esaudire la richiesta della cugina di Francesco Virlinzi, non sapremo mai se veramente il merito sia da attribuire a Scott che ha convinto i due che rimangono sul palco. Ma tantè, sta per accadere davvero.
Sul palco rimangono Mike al piano e Michael alla voce, solo in un secondo momento ci accorgiamo che è rimasto anche Ken alle tastiere nascosto nel buio.
E’ Nightswimming, dopo qualche applauso e coro cala il silenzio, quattro minuti di brividi per la perla delle perle della collezione R.E.M., il tabù, forse l’ultimo è caduto (la suoneranno anche ad Imola il giorno seguente)
Poco importa se Michael ci dichiara il proprio amore ringraziando tutti dagli Zeropositivo, ad Amnesty, da MJO On The Road all’Italian R.E.M. Fan Club, poco importa se la canzone seguente è I’m gonna DJ, “il singolo del prossimo album scherza qualcuno” un’altro abisso a livello compositivo, poco importa se il concerto sta per concludersi con Man On The Moon, noi siamo rimasti là, in quel magico momento anche se è ora di andare perché il sogno si è realizzato.
HERE WE GO!
Alex Mallozzi
www.remfriends.com
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