Valentina Lupi “Non voglio restare Cappuccetto Rosso” (Altipiani/Edel)
di: Antonella La Carpia
IL disco d’esordio di Valentina Lupi, sembra nascere dalla voglia di accomiatare gli abiti di bambola, per indossare quelli del guerriero. Dodici tracce in cui ogni nota è un tassello, una nota biografica dell’autrice. “Non voglio restare Cappuccetto Rosso”, prima fatica discografica full length della giovanissima cantautrice romana Valentina Lupi, prodotto da Altipiani e distribuito da Edel.
Si tratta di un lavoro complesso, arrangiato e suonato dalla stessa Valentina, da Matteo Scannicchio e Corrado Maria De Santis dei Cappello a Cilindro.
Ma chi è Valentina?
Una bambola che vuol crescere, forse troppo o in fretta, una voce che arriva per non restare indifferente. Un personalità che tende a pesare ogni parola, a vivere le passioni caricandole di energia. Questo album sembra nascere dalla voglia di accomiatare gli abiti di bambola per indossare quelli del guerriero, prodromo molto probabilmente del forte desiderio di venir fuori, per andare avanti.
Come suona l’album?
Dodici tracce in cui ogni nota è un tassello, una nota biografica dell’autrice. Il disco, fortemente autoreferenziale, appare un pretesto per cantare la volontà di abbandonare la favola e il castello d’illusioni. La voce di Valentina, particolare nelle sfumature, scorre fluida tra le trame che compongono N.V.R.C, e si amalgama perfettamente alle linee melodiche e al contesto degli arrangiamenti; che seppur ben concepiti, perdono il passo con l’incidere dei minuti, spesso penalizzati dalla classica struttura “strofa – ritornello”.
“Il Giorno Del Samurai” apre la tracklist: si ha l’idea di un lavoro discografico tutt’altro che blando, grazie anche alla combinazione di elettronica minimale e strumenti vintage (rhodes e organetti). Il brano che da il titolo all’album, piacevolmente introdotto da un ritmo di valzer “acustico”, si distende con una fortuita suggestione di Desdenosa, brano tratto da “La llorona” della cantautrice messicana Lhasa, tuttavia rotto da un ritornello meno efficace e un finale “consoliano” (Contessa Miseria). “Casa di Bambola”, testo scritto da Emanuele Colandrea dei Cappello a Cilindro, ricorda la produzione “Scisma”, soprattutto nell’arpeggio iniziale di chitarra e dalle ottave di pianoforte sul finale. Di tono più cantautorale “Solo 21 anni”, una ballata di ottimo piglio: nonostante sia vicino alle sonorità di Irene Grandi, acquista dignità grazie al testo impegnato e mai banale. Nelle aperture hawaiane di “E’ questo il vero?” avviene l’esatto contrario: un brano arrangiato piacevolmente, ma con un testo spesso violentato da locuzioni aggressive e parole come “sfottuto” o dall’elisione di “questo “ in “sto” o dal quella frase “perché mi ostino a togliere le macchie” che sembra più una reclame per detersivi.
Ritorna un accenno di valzer in “Fiore Del Male”, altra lirica che colpisce soprattutto per l’uso di parole non sempre felici, come: “esacerbato”, “inacidire”, o “venefico” che suonano troppo stilose e non giovano di certo all’economia del brano. In “Come scriveva Benni” ritorna quel ritmo andante (qui accenno al ‘70s) tanto apprezzato nel brano di apertura che ridona vivacità e movimento all’intero lavoro.
L’episodio più felice “Satura”, brano dagli arrangiamenti più inglesi (influenze più Radiohead da “Fake Plastic Trees” o “No Surprise”) e da un testo nettamente superiore alla media. “In Modo Naturale” si fonda su un ritmo giocoso, quasi fiabesco in coerenza con l’idea dell’intero disco. In tre quarti si apre invece “28 gennaio 96”, brano suggestivo, molto commovente. Con “Voglio essere felice” si chiude il lavoro di Valentina, per alcuni aspetti ancora acerbo ma sicuramente una partenza importante per essere l’album d’esordio. Non Voglio Restare Cappuccetto Rosso è una valida alternativa al mercato pop - rock nostrano. Non ci resta che augurarle: all the best!
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