Roy Paci: “Quella volta con Joe Strummer...”
di: Massimo Giuliano
A quasi tre anni da “Suonoglobal”, il 4 maggio è arrivato nei negozi “Latinista”, nuovo cd di Roy Paci. Abbiamo incontrato il cantante e trombettista siciliano per stilare con lui un bilancio della sua attività, tra passato e futuro. A quasi tre anni da “Suonoglobal”, il 4 maggio è arrivato nei negozi “Latinista”, nuovo cd di Roy Paci. Abbiamo incontrato il cantante e trombettista siciliano per stilare con lui un bilancio della sua attività, tra passato e futuro.
Roy, iniziamo parlando del tuo ultimo album, “Latinista”. Come mai hai scelto di chiamarlo così?
Sicuramente c’entra il fatto che io ho vissuto per molto tempo nei paesi latini. D’altronde, questo stesso disco è stato preprodotto a Morro de Sao Paulo, in Brasile. Ma il titolo è anche un omaggio ai Clash e al loro album “Sandinista”, pubblicato nel 1980. Parliamo di un gruppo che è stato fondamentale per la mia formazione da musicista. I Clash mi hanno fatto capire che con semplicità si potevano scavalcare certi confini: hanno messo insieme diversi stili in maniera unica. E poi il loro impegno sociale è stato notevole. Credo che i Mano Negra siano i loro più diretti discendenti.
Hai mai incontrato Joe Strummer?
Sì, l’ho incontrato una sola volta, al Festival di Roskilde nel 2001 durante il tour mondiale di Radio Bemba Sound System, con Manu Chao. Joe stava in una tenda, e a un certo punto Manu Chao mi fa: “Andiamo a trovarlo”. E’ stata un’esperienza bellissima: io non ho spiccicato una parola, e sono rimasto immobile a fissarlo! Ricordo che lui è stato molto gentile.
In “Bonjour Bahia”, il primo singolo di “Latinista”, collabori con Jovanotti. Com’è nato questo sodalizio?
Il pezzo era impacchettato, finito. E’ dal ’91 che vado nell'isola di Morro De Sao Paulo, di fronte a Salvador de Bahia, e da sempre affitto una cameretta che si affaccia sul mare, proprio di fronte a dove attraccano le barche che portano i visitatori in gita tra le mangrovie e i canali fluviali. Osservo il mondo da quella postazione senza malizia, e tutto ciò che non va mi appare più chiaro. Ogni volta io e gli altri viaggiamo con un computerino, una scheda audio e un microfono, che ci servono per fissare le idee. Una volta tornati a casa, siamo andati a Lecce per registrare in studio, ma mi sono reso conto che il testo della canzone non mi piaceva. Così ho deciso di chiamare Lorenzo: lui conosce bene quelle zone, ne è pregno, e infatti ha descritto benissimo le mie emozioni. Noi due avevamo più volte jammato su un palco, ma non avevamo mai scritto nulla insieme.
Quando scatta la molla che ti fa venire l’ispirazione per un pezzo?
Non c’è un momento ben preciso a livello spazio-temporale. La maggior parte delle idee vengono fuori durante il tour dell’album precedente: vengo influenzato, ad esempio, da ciò che vedo durante i miei spostamenti. Sicuramente è l’improvvisazione lo stadio principale che ruota attorno alla mia musica: è da lì che parto per creare una nuova melodia. I testi nascono dopo, perchè io parto dalla musica, essendo soprattutto un musicista: metto giù l’intelaiatura armonica grazie all’ausilio di un pianoforte. Per le parole, invece, mi faccio aiutare dai territori che più amo: racconto la Sicilia, e in particolare Marzamemi e l’Isola delle Correnti, che sono posti bellissimi. Di sicuro non scrivo prima le liriche, come magari fanno i cantautori.
Colpisce il fatto che nelle tue canzoni vi siano musiche allegre associate però a testi socialmente impegnati…
I miei genitori erano dei musicisti, e ogni volta che ascoltavo i canti siciliani rimanevo incantato: “Vitti na crozza”, ad esempio, liricamente è di una pesantezza incredibile, ma ascoltando il suo incedere musicale non lo diresti mai. Lo stesso succede nella samba. A me piace fare così anche nelle mie canzoni.
Un ruolo importante, nel tuo processo creativo, lo giocano gli Aretuska…
Sì. I brani sono quasi tutti scritti da me, ma la rifinitura avviene a Lecce, nella mia factory, dove ci riuniamo tutti insieme e cambiamo tonalità, aggiungiamo bridge… Non sono molto geloso dei miei pezzi, e questo fa sì che con gli Aretuska ci si aiuti negli arrangiamenti. Molto importanti, poi, sono le esperienze individuali di ogni singolo componente del gruppo: c’è chi viene dal jazz, chi dal reggae, chi è specializzato nelle sonorità tropicali… quindi il nostro lavoro è un continuo work in progress.
Quali emozioni provi quando suoni dal vivo?
Devo essere sincero: io non provo emozioni quando suono. Certo, mi eccito, più gente c’è e più mi carico, ma la folla non mi spaventa. Questo avviene perchè ho fatto una grande gavetta: con Manu Chao, nel 2001, abbiamo suonato in quasi tutti i festival del mondo, con 150.000 persone a sera (e a volte anche di più) per 68 date. Quindi sicuramente il pubblico mi carica, ma non mi incute timore.
A proposito, come hai conosciuto Manu Chao?
L’ho conosciuto nel 1998, dopo aver suonato al Mercato della Musica di Vic, in Spagna. All’epoca suonavo con i Mau Mau, che lui conosceva bene. E sapeva che nel gruppo c’era questo trombettista. Mi chiese se avevo intenzione di entrare nel suo progetto. Me l’ha proposto per ben due volte: la prima volta ho rifiutato, poi il 24 settembre del ’99 ho lasciato i Mau Mau e nel 2000 sono partito in tour con lui.
In passato sei stato ospite fisso di “Zelig”. Cosa ricordi di quella esperienza?
Nacque tutto grazie all’amicizia con Gino e Michele. Zelig ha rappresentato per me un’isola felice in quanto io, essendo direttore musicale, potevo godere di assoluta libertà, senza alcuna pressione. Potevo suonare i miei brani senza alcun tipo di censura. Dopo tre stagioni c’è stata l’esigenza, da parte di entrambi, di cambiare, anche perchè io non volevo essere riconosciuto solo come “quello di Zelig”, ma è stato un periodo decisamente positivo. E poi Claudio Bisio è un grande mattatore.
Cosa pensi del rapporto che c’è oggi tra musica e televisione?
Credo che sia bello quando la musica ottiene spazio e libertà in tv, ma nel 90% dei casi ciò non accade, ed è un peccato. Siamo arrivati a un livello mediocre, e offriamo solo questo agli spettatori: “O te magni ‘sta minestra o te butti da ‘sta finestra”. Eppure io ricordo che anni fa c’era un programma, “Doc”, che offriva un meraviglioso spaccato della musica mondiale. Oppure vedevi Alberto Lupo che presentava il bandoneon, e subito dopo arrivava Astor Piazzolla che suonava un pezzo pazzesco. Adesso, invece, vengono passati solo i singoli di successo. Mi piacerebbe improvvisare, ma questo oggi in tv non è possibile.
A maggio è partito il tuo tour…
Sì, e andremo avanti per tutta l’estate. Sarà un tour che si snoderà quasi tutto in Italia, perchè ultimamente abbiamo suonato quasi sempre all’estero. Tuttavia, non mancherà anche qualche data fuori dal Paese. L’invito, naturalmente, è quello di venire a sentirci!
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