I Les Fauves (armati del loro dildo) sono pronti a cambiarvi la vita
di: Francesco Ammannati; Fonte: www.slipperypond.co.uk
Dopo i successi live, la prima uscita ufficiale della band di Sassuolo Nati nel 2003 come duo (Davide Caselli e Roberto Papavero) e raggiunta la formazione definitiva un anno più tardi con l’ingresso della bassista Silvia Dallari, i giovani Les Fauves sono una nuova promessa dell’indie italiano, che li sta giustamente osannando come the next big thing.
Certo, c’è da dire che apparentemente nell’indie italiano rientra qualsiasi cosa che sia un po’ più originale di Ligabue (con tutto il rispetto): i Nostri sono quanto di più cool e modaiolo possa sfornare e accattivare il mondo musicale degli ultimi anni. Un look giovane-sexy, una musica facile facile, rock ballabile, richiami fortemente garage e tutto il resto. La Urtovox se n’è accorta e ha subito messo in cantiere il loro primo EP ufficiale “Our dildo can change your life”, che sta scatenando consensi non solo tra gli esperti del settore, ma anche tra il pubblico che assiste ai loro concerti (palchi anche prestigiosi come l’Heineken Jammin’ Festival, il Soundlab Festiva, il Festival di Benicassim).
Il disco è composto da 6 pezzi dalle radici chiaramente identificabili: Lou Reed e i Velvet Underground in generale, l’imperante garage, un tocco di punk e una spolverata abbondante di post-punk anni 80. Dal singolo che (quasi) dà il titolo all’album è stato tratto un video molto ben fatto che sta raggiungendo picchi di download dal sito ufficiale veramente interessanti (più di 7000 in un mese). Tutto, insomma, pare mettersi al meglio per i giovani Les Fauves, che dalla loro hanno sicuramente una buona tecnica (non che questo genere la richieda, dopotutto) e le idee molto chiare sulla direzione da seguire per raggiungere la meritata notorietà. In effetti le premesse e gli ingredienti ci sono, non ultima una scena musicale che negli ultimi tempi si è dimostrata altamente ricettiva nei confronti di questo tipo di progetto.
Per questo la mia critica (beh, sì, una critica c’è) non è tanto rivolta a loro, bravi a cavalcare una certa onda, ma a chi questa onda l’ha creata e corroborata, ai livelli più alti e soprattutto fuori dal ristretto ambito nazionale. Io capisco che questa musica sia piacevole, ballabile, orecchiabile, ma a mio parere più si cerca di collegarla a un movimento “giovanile” più scappa fuori l’odore di “già sentito”. Perché, diciamocelo, non una nota è fuori posto perché certi stili e certi suoni sono stati ampiamente canonizzati negli ultimi non dico dieci, ma trent’anni. Nulla di male, i risultati sono raramente brutti o noiosi, ma io continuo, come i vecchi rincretiniti, a ripetere la solita frase: se non ci pensano i giovani, giovanissimi musicisti a svecchiare la musica italiana (e internazionale), chi deve farlo? Alla fine paga davvero il continuo ripescare dagli anni 60-70-80 (ancora ai 90 non ci siamo arrivati, se non nelle immediate vicinanze del famigerato periodo-grunge)? Questa nostra fase attuale non rischia di venir dimenticata, o peggio ricordata come il periodo del grande riciclo di idee? Qui nessuno pensa che il giovane debba “nascere imparato”, ma la differenza tra il capire, valorizzare poi distaccarsi dalle proprie radici e il collage di vecchie trovate a me pare evidente. Altro che il nuovo che avanza, questo è il vecchio avanzato.
Finita questa amara riflessione, di cui, ripeto, i Les Fauves sono solo i protagonisti contingenti e non certo i principali, non posso che consigliarvi di dare un ascolto al loro EP (tre brani sono disponibili on line nella loro pagina MySpace), e farvi un’idea. E poi, nel caso, accanirvi contro il sottoscritto.
PS. Occhio a non confondere questi Les Fauves con un gruppo omonimo che fa folk-rock acustico…
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