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Pubblicato il 27/07/2007 alle 14:22:37Commenti alla notizia: Leggi - Inserisci nuovo

E' scoppiata la Cinebox mania: a Jesolo il fan club sul jukebox con le immagini, inventato in Italia nel 1958

di: Patty Busellini

Il Cinebox infatti conteneva 40 pellicole a colori di brani musicali che possono essere considerate i primi promo in assoluto, pertanto i primogenitori del tradizionale veicolo di promozione della canzone: il nonno dei videoclip ha ora un suo club!

Il Cinebox infatti conteneva 40 pellicole a colori di brani musicali che possono essere considerate i primi promo in assoluto, pertanto i primogenitori del tradizionale veicolo di promozione della canzone: il nonno dei videoclip ha ora un suo club!

Non si tratta della mania dell'estate, ma della rivalutazione di qualcosa che era passato nell'oblio: non c'e' bisogno di intonare l'Inno di Mameli, ma essere un po' orgogliosi del talento italiano... questo si'!

Con dati alla mano, possiamo affermare che al 99,9% le fanciulle qui ritratte (accanto ad un Cinebox originale) probabilmente non era nate nel momento in cui lui funzionava. Questo e' stato documentato dal bel libro di Michele Bovi (per la Coniglio Editore) e dalla mostra che e' un piacere vedere alla Reggia di Caserta. Dice Pasquale Panella (famoso poeta, coinvolto spesso nella stesura di testi di canzoni per artisti italiani) ...Una macchina commovente, perché piena di sentimento musicale, una macchina incoraggiante ma priva di un suo futuro, generosa, che dissipa il proprio presente nell’avvenire altrui, perfino fantascientifico. E’ il Cinebox, la scatola della musica, la macchina nata dal cervello manuale italiano, operaio e industriale. I francesi la plagiano, cambiando qualcosina, per esempio il nome: Scopitone. Conteneva pellicole di canzoni filmate, canzoni da vedere, ispirerà il videoclip. Era un jukebox con sopra MTV e tutte le emittenti musical-leggere a venire, con in testa la televisione commerciale al servizio della discografia (e viceversa). Era un mostro gradevole, affabile, una cosa che dall’altro mondo entrò nei bar, un alieno. Le pensò tutte per farsi accettare, conteneva e elargiva tutti i passi dei balli, le gambe, le scollature, la dolce estate, le mille luci, la storia di tutti, la partita di pallone, un piccolo raggio di luna… Aveva un testone proteso, in attesa, le pensava tutte e cercava un contatto, che qualcuno si affezionasse. Fallì negli Stati Uniti ma lasciò il segno. Quel segno, quel profilo restò così, nella reminiscenza, sempre in attesa. Di che? Di adozione, di futuro. Aspettò che un ragazzo se ne ricordasse, crescendo. Un ragazzo sensibile ai guizzi, agli accenni, agli slanci, alle ispirazioni, agli agguati di quelle figure che rimangono impresse e un po’ ossessionano, un po’ eccitano la fantasia, per esempio: le pinne dello squalo, un’autocisterna incombente sulla strada, un dinosauro rinato. Fu Spielberg, fu Rambaldi, fu nessuno dei due, fu la loro memoria? Il profilo di quella macchina dell’altro mondo, apparsa nei bar, riappare in E.T., così si mormora. Dice poche parole l’alieno: telefono, casa. Le poche parole delle canzoni, le piccole frasi con le quali i cantanti si fanno capire a colpo di vento, e il pubblico ancora si incanta davanti all’astronave di un palco. Le piccole frasi: “Se ti senti sola”, canta Peppino di Capri, “Io ci sarò”, canta Wilma Goich, “Devo parlarti”, canta Peppino Gagliardi… E ce n’è un’altra, di frase, nel film: “I grandi non possono vederlo ma solo noi ragazzini”, esattamente così si diceva del Cinebox. Una commissione governativa indagò, vennero fuori storie, intrecci, la commercializzazione della macchina pare interessasse la mafia. Fu la fine per il Cinebox. C’è un’altra frase nel film: “Il governo ha intenzione di portartelo via per i suoi esperimenti”. E poi c’è quel dito, il dito di E.T., nel film e su tutti i manifesti. È il dito di chi spinge un tasto, un tasto del Cinebox, che si illumina. Nel film si illumina il dito, perché la creatura extraterrestre ha ormai assorbito la macchina, creatura del lavoro italiano. E poi c’erano Coppola e Altman, uno investiva nel Cinebox, l’altro si dedicava alla regia di canzoni con vista, che alimentavano il testone della creatura aliena con parole e melodie, se non terra terra, terrestri, le piccole frasi. Spielberg ha l’età di un ragazzino, ai tempi dello sbarco del Cinebox negli Stati Uniti e, per il semplice fatto che è solo un ragazzino, può vedere la cosa, per fantasticare poi da grande e, da regista, in grande. E poi c’è il Maestro, c’è De Sica, testimone alla presentazione del Cinebox in Italia. C’è una foto immortale: De Sica, le mani in tasca, inclinato da signore sul lato sinistro, scruta il retro della macchina, la meccanica, intravede un futuro. Nella musica e nei suoi commerci? Ma quando mai. Nel cinema, nei commerci del cinema, sì, nel mondo futuro del cinema. E nel futuro dell’altro mondo, caduto in un film. Questa cosa la capirebbe anche un ragazzino. “E allora cercate un ragazzino…”: è la battuta di Marx, Groucho...

La storia del Cinebox (completamente sconosciuta così come risultava dimenticato lo stesso marchingegno) è stata ricostruita dal giornalista Michele Bovi prima attraverso una serie di reportage sul Tg2 poi in un libro appena uscito intitolato Da Carosone a Cosa Nostra: gli antenati del videoclip, uscito per la Coniglio Editore. Il Cinebox conteneva 40 pellicole a colori di brani musicali che possono essere considerate i primi promo in assoluto, pertanto i primogenitori del tradizionale veicolo di promozione della canzone, il videoclip appunto. A Caserta, il convegno parallelo alla mostra ha proprio stabilito questo: il videoclip è made in Italy, con tanto di ratifica di Giorgio Assumma, presidente della SIAE , uno dei relatori del dibattito campano. Roba di quasi mezzo secolo fa dunque. E i giovani che c’entrano? C’entrano perché la notizia ha fatto scalpore tra loro, consumatori abituali del videoclip, tanto che a Jesolo è nato il primo Cinebox Fan Club, presieduto da Massimo Celeghin che ha addirittura acquistato un paio di Cinebox originali e perfettamente funzionanti.

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